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Altra Informazione, Blog, Comitati di Lotta, Cronache di Lavoro, Cronache Politiche, Cronache Sindacali, Cronache Sociali, OSS sanità, Politiche di Rifondazione, sanità e salute — Aprile 21, 2017 8:22 am

Breve viaggio in una realtà di confine. Alcune lavoratrici delle cooperative sociali svolgono da anni varie mansioni, da oss ad educatore generico, da assistente di base a insegnante di sostegno. Questa versatilità, che riguarda una minoranza comunque della forza lavoro, non dà loro diritto ad un contratto full time, anzi continuano ad essere sotto inquadrate, mal pagate e al momento della chiusura delle scuole o dei campi solari restano a casa senza retribuzione. Nelle loro cooperative non esiste la banca delle ore (un istituto contrattuale che vorrebbero applicare per le ore mancanti e non per quelle eccedenti), talvolta parliamo di soci\e lavoratori\trici che hanno sottoscritto l’adesione con tanto di statuto che prevede una sorta di solidarietà tra socio\dipendente e cooperativa stessa, da qui la rinuncia a rivendicare un lavoro retribuito 365 giorni all’anno. Abbiamo rivolto loro (l’anonimato è d’obbligo) alcune domande alle quali sono seguite risposte e riflessioni che fanno piena luce sul sistema di sfruttamento intrinseco al modello cooperativo

Dipendenti delle cooperative sociali tra sfruttamento e auto-rassegnazione.

Pubblicato da franco.cilenti

Cancellare diritti

Nelle cooperative sociali finisci a lavorare dopo un diploma o una laurea, ci sono anche lavoratrici senza istruzione che fanno servizi di pulizia ma nella maggioranza dei casi devi almeno avere conseguito un attestato, quello piu’ ambito è l’oss.

Molti ragazzi\e, dopo la laurea, hanno iniziato a lavorare part time (e in part time sono rimasti) e a tempo determinato, una situazione che in tanti casi si è protratta per anni. La nostra paga oraria è da fame, prendiamo meno di 7 euro l’ora ma quello che ti fa piu’ arrabbiare è il divario tra quanto percepisce la cooperativa e le tue spettanze, il rapporto talvolta arriva al 300%, nella maggioranza dei casi a te 7 euro all’ora e alla cooperativa 16\8. In tanti casi , una lavoratrice sopra i 40 si trova ad avere avuto solo un datore di lavoro (la cooperativa) e dei contributi cosi’ bassi da ipotizzare una paga da fame.

Se poi vogliamo essere espliciti, i 7 euro netti (quando va bene) corrispondono a 13\14 lordi, alla cooperativa resta comunque una cifra (4 o 5 euro) che a nostro avviso dovrebbe essere piu’ bassa per retribuire adeguatamente la forza lavoro. Vogliamo focalizzare l’attenzione sui percorsi formativi, da molti di noi conseguiti prima di un contratto vero e proprio preceduto da stages, lavoro gratuito o volontario.

Indigna l’assenza di un sistema di regole condiviso e uguale per tutti\e, per anni la formazione professionale era su base provinciale e regionale e alla fine i requisiti richiesti sovente cambiavano da regione a regione, come se per accudire un bambino o un anziano non serva personale qualificato e formato alla stessa maniera. Ci sono state anche cooperative che sulla formazione e sul rilascio delle qualifiche hanno costruito un business e tra i docenti poi troviamo molte figure della pubblica amministrazione. Si capisce bene leggendo i nomi di tanti formatori come prende corpo quella sottile linea di demarcazione tra il pubblico e il privato, con un privato sociale che spesso in accordo con la Pubblica amministrazione fa il bello e il cattivo tempo.

Ma ancora piu’ grave è il fatto che le gare di appalto dovrebbero tenere conto di una figura professionale con relativa paga e contratto di riferimento (solitamente quello delle cooperative sociali, forse il peggiore in assoluto), invece troviamo un conteggio del costo orario che si differenzia da provincia a provincia, da regione a regione, insomma senza un costo standard e non al ribasso è possibile costruire delle gare che ammazzano diritti, tutele riducendo al minimo il costo della forza lavoro. Una figura di riferimento unica con relativi attestati uguali per tutti sarebbe stato preferibile ma cosi’ non è accaduto.

E l’ente pubblico risparmiando sulla nostra pelle appare anche virtuoso perché diminuisce i costi. Oggi le cose sono in parte cambiate con l’obbligo di far lavorare solo chi ha superato i corsi OSS, capita spesso che una lavoratrice sia oss ed educatrice ma per arrivare ad uno stipendio decente debba barcamenarsi tra Residenze per anziani, assistenza domiciliare , scuole e campi solari. Frequenti poi i casi di chi, con la chiusura dell’anno scolastico o dei campi solari, va a casa senza retribuzione, lo stesso avviene per le vacanze di Pasqua e di Natale e solo una minima parte di questi giorni potranno essere pagabili con le ore eccedenti o con le ferie.

I corsi obbligatori , siano sulla sicurezza o per acquisire le qualifiche funzionali ai servizi da svolgere, sono quasi sempre fuori dall’orario di lavoro e quindi non retribuiti, gli spostamenti da una casa all’altra per chi fa assistenza domiciliare vengono conteggiati non sempre con il contratto alla mano, non si rispetta neppure il contratto nazionale, si erogano rimborsi chilometrici inferiori e il tempo del viaggio viene solo parzialmente inteso come tempo lavorativo a tutti gli effetti.

Un capitolo a parte meriterebbero i requisiti, ci sono alcune figure non riconosciute ma non esiste una definizione univoca dei criteri di idoneità e degli stessi percorsi formativi specie quelli dipendenti dalle Regioni.

La situazione nostra diventa ancora piu’ problematica se prendi in considerazioni figure professionali specializzate come il logopedista, lo psicoterapeuta, un’ora della loro attività magari costa alle casse dello stato oltre 50 euro ma solo un sesto arriva direttamente al lavoratore

Le cooperative spesso hanno cambiato natura e pelle, sono diventati dei colossi economici, vere e proprie spa con tanto di proprietà immobiliari ed è difficile raccontare al personale dipendente la storiella della cooperazione solidaristica. Forse peggio di noi stanno i dipendenti di associazioni no profit del terzo settore, sappiamo di colleghi con orari di 9\10 ore giornalieri per 1000 euro al mese.

Peggio di noi stanno gli stagisti, per conseguire un requisito professionale devi frequentare tante ore presso strutture accreditate, ebbene ci raccontano di casi nei quali lo stagista non è sempre affiancato e si conta su di lui, o su di lei, risparmiando sull’interinale (vedi residenze per anziani) o sull’educatore di ruolo a cui magari riducono l’orario. Non vogliamo dire che lo stagista sostituisce un lavoratore contrattualizzato ma ci andiamo vicino. Tra gli stesso stagisti poi viene alimentata una assurda competizione, chi è disposto a fare tutto spera, un domani, nella chiamata della cooperativa e questa disponibilità si tramuta in sudditanza psicologica e rinuncia ad avanzare nel tempo rivendicazioni quali un contratto di secondo livello, un inquadramento migliore, aumento delle ore di part time, la partecipazione alle assemblee che contano in cooperativa con diritto di voto e di veto..

Pensiamo in molti casi di essere destinati\e solo a soccombere perché in cooperativa ci viene detto che i tempi di pagamento del pubblico sono sempre in grave ritardo (e lo sono visto che l’impegno del Governo Renzi di dare tempi certi per i pagamenti da parte della Pa sono rimasti lettera morta), il pubblico spesso non adegua neppure il costo orario tenendo conto dei rari rinnovi contrattuali, le cooperative hanno paura a fare causa perché rischiano poi di trovarsi penalizzate al momento degli appalti.

Allo stesso tempo hai un contratto da fame e il sindacato che lo ha sottoscritto è lo stesso che in nome della sua rappresentatività siede ai tavoli delle cooperative con atteggiamenti spesso passivi, di collaborazione con i nostri datori di lavoro e mai conflittuali. Qualcuno di noi ha anche chiesto tutela sindacale per il rispetto dei profili professionali ma la risposta è stata sempre deludente, ci invitano a fare di tutto e di piu’ per arrivare al completamento orario, a tacere sul sistema di sfruttamento cooperativo, a non cercare insomma corrispondenza tra i profili e il lavoro effettivamente svolto , né tanto meno hanno intenzione di denunciare gli appalti pubblici al ribasso se non con parole alle quali non seguono mai fatti reali.

E cosi’ perfino quel pessimo contratto nazionale delle cooperative sociali potrà essere aggirato . Nei fatti, in molte situazioni, non ci si rivolge neppure al sindacato, si ha paura di una ritorsione per gli iscritti (che significa anche solo avere gli orari piu’ svantaggiosi ) o si prende atto che l’ingresso in cooperativa del sindacato non porterà alcun beneficio. Ovviamente noi siamo di avviso diverso, in certi casi è nato il sindacato di base al quale tuttavia molti lavoratori danno una delega in bianco senza comprendere che per cambiare le cose vanno rimesse in discussione le basi dell’intero sistema. Non c’è sindacato senza partecipazione attiva e consapevolezza che la tua condizione di vita e di lavoro non è una variabile dipendente dai bilanci della cooperativa o dai tempi decisionali di un ente pubblico.

Attenzione, senza generalizzare, riflettiamo sulle situazioni appena descritte, molti di noi sono entrati 20 anni fa in cooperativa pensando che la loro scelta fosse un valore aggiunto, un lavoro ma anche un impegno sociale, erano disposti a rinunciare al pagamento di qualche ora lavorata se in cambio venivano assunti nuovi dipendenti, se il progetto sociale della cooperativa era oggetto di confronto e discussione, se insomma avevi la certezza di una valenza anche sociale della tua prestazione. Forse parliamo di pochissimi casi legati a cooperative formate da chi aveva un passato di militante politico, anche in questo caso le generalizzazioni sarebbero sbagliate

Gli assunti negli ultimi anni sono quasi costretti a prestazioni lavorative aggiuntive e gratuite , debbono farsi in 4 per coniugare esigenze di vita e lavorative, percepiscono salari da fame, ad essere cambiate sono soprattutto le cooperative ch e spesso rappresentano lo strumento migliore con cui abbassare il costo del lavoro

Dentro l’universo cooperativo si è ormai costruita una cultura di tanti dipendenti inclini alla auto rassegnazione e all’auto sfruttamento, atteggiamenti che gioco forza penalizzano la forza lavoro ma soprattutto la nostra stessa dignità umana e lavorativa.

Capiamo che senza le cooperative oggi saremmo a casa e privi anche della bassa retribuzione percepita (spesso con giorni di ritardo) ma il debito di riconoscenza non significa tacere e assecondare certe logiche, parlarne pensiamo sia anche di aiuto per promuovere una discussione nel mondo cooperativo, insomma guardare meno ai fatturati e piu’ al destinatario delle nostre prestazioni e al lavoratore o socio che sia senza cui questo grande sistema di sfruttamento non esisterebbe.

Perché dove esiste una cooperativa c’è una privatizzazione o esternalizzazione dei servizi.

Federico Giusti

20/4/2017 www.controlacrisi.org

Tags: 35 ore aborto e salute agenzie interinali alimentazione e salute alimentazione sana alimentazioni e salute Altra Europa per Tsipras Altra Informazione ambiente ambiente beni comuni ambiente e inquinamento Ambiente e salute ambiente e tav ambiente e terremoti Ambulatorio popolare Ampi antifascismo Antonello Patta appalti in sanità asl to1 asl to2 assicurazioni e sanità assistenza sanitaria attac italia bambini migranti bambini poveri beni comuni Beppe Grillo braccianti migranti Brigate di solidarietà capitalismo caporalato e migranti caporalato in Puglia Casa delle Donne Cecilia Strada cgil cisl citta della salute Civati civiltà cobas Comitati di Lotta comitati unitari di base comportamenti a rischio contratti e diritti contratto pubblico contratto sanità cooperative infermieri corruzione in sanità Corte Costituzionale costituzione e lavoro Costituzione e salute Costituzione Italiana crisi e equitalia crisi e ludopatia crisi e povertà educativa crisi e religione crisi e salute 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