Diritto di fuga dall’Ucraina e razzismo selettivo

  • 1. Le persone ucraine e tutte le altre. A fuggire in seguito all’invasione dell’esercito russo non sono solo gli/le ucrainə. Ci sono tantissime persone dalle provenienze più disparate che hanno esigenza di lasciare il paese o spostarsi da quelli limitrofi. Ricordiamocene costantemente: non dobbiamo (soltanto) «accogliere gli/le ucrainə» ma è indispensabile favorire la libertà di movimento e l’accoglienza per tutte le persone che sono in viaggio o che vorrebbero partire.
  • 2. Contro le politiche di differenziazione. La tendenza alla classificazione e alla selezione è una caratteristica di fondo del governo dei confini. Nelle prossime settimane e nei prossimi mesi saremo costantemente portatə a pensare che sia giusto che gli/le ucrainə possano muoversi liberamente attraverso le frontiere e che, viceversa, per gli altri gruppi nazionali – in fuga dall’Ucraina o da altri luoghi – sia fisiologicamente più difficile o impossibile. Il punto di partenza di questo ragionamento è da rifiutare con forza: la scelta di favorire il transito di alcunə e impedire quello di altrə è compiutamente politica e, come tale, è necessario e possibile metterla in discussione.
  • 3. La strada per chi è Ucrainə non è in discesa. Allo stesso tempo dobbiamo rifiutare l’idea per la quale per le persone ucrainə lo spostamento attraverso i confini e l’ingresso nei paesi di destinazione sia facile e privo di conflitti. Nonostante le parole enfatiche dei leader europei, è ragionevole pensare che il transito e l’accoglienza (anche) delle persone ucraine possano essere segnati da difficoltà, blocchi, processi selettivi, ambivalenze. È un tratto tipico della gestione dei confini che emerge a più riprese nei contesti più distanti.

Nel recente passato, anche i gruppi nazionali per i quali, per contingenti motivazioni politiche, la mobilità e l’accoglienza sembravano assicurate, nel medio periodo sono stati esposti a ostacoli, esclusioni e processi di marginalizzazione. Anche l’applicazione della protezione temporanea va letta con queste lenti: sarà indispensabile seguire, in tempo reale, come funzionerà il meccanismo predisposto, che relazione svilupperà con i canali classici di accesso alla protezione internazionale, quale impatto avrà sulla qualità della vita delle persone che ne beneficeranno e che ne sarà delle/degli esclusə.

  • 4. La migrazione è un processo strutturalmente selettivo. Nonostante il forte impatto delle immagini delle persone che attraversano i confini dell’Ucraina verso ovest, non dobbiamo pensare che tutte le persone che vogliono spostarsi abbiano effettivamente la possibilità di farlo. A essere bloccati nel paese non sono soltanto gli uomini da inquadrare nell’esercito. Il superamento del confine è un processo selettivo fin dal primo passo. Moltissime persone, pur desiderandolo, non riescono a partire per le ragioni più disparate: mancanza di risorse economiche e non, difficoltà personali o familiari, asimmetrie informative, assenza di network di sostegno, ecc. Teniamolo costantemente presente: non c’è alternativa all’immediata fine della guerra.
  • 5. Immigrati o profughi? Il movimento delle persone in fuga dall’Ucraina mette in crisi le categorie utilizzate nel dibattito mainstream degli ultimi anni per definire chi approda – o prova a farlo – nello spazio europeo. È sintomatico che il termine immigratə sia stato finora pochissimo utilizzato per leggere il movimento degli/delle Ucrainə. È la parola che per eccellenza allude alla supposta alterità culturale e alla povertà, oltre che alla condizione da extraeuropeə.

Non a caso, nelle circostanze attuali è profugə la parola più inflazionata. Ha anch’essa una dimensione contraddittoria e spesso è utilizzata nel dibattito pubblico per periodi circoscritti, caratterizzati dalla tendenziale apertura, per lo meno discorsiva, verso specifici gruppi nazionali. È utile prestare costantemente attenzione all’utilizzo dei termini e rifiutare tutte le parole stigmatizzanti, gerarchizzanti, vittimizzanti. Non è solo una questione di forma: la violenza discorsiva e quella materiale spesso si alimentano a vicenda.

  • 6. Non solo vittime: pensare l’agencyLa tentazione di inquadrare le persone in fuga dalla guerra unicamente come oppressi è comprensibile ma è da rigettare. È necessario interrogarsi sulla complessa dimensione soggettiva del migrare anche quando si sviluppa verso contesti apparentemente accoglienti. L’attraversamento di un confine è un’attività sempre faticosa, che molto spesso implica il dispiegamento di molte energie personali e collettive, e l’intensa messa in tensione della propria soggettività.
  • 7. Muoversi agilmente tra continuità e discontinuità. Il movimento delle persone attraverso e oltre l’Ucraina è di ampissima portata. Si iscrive in un vasto scenario di guerre e conflitti diffusi nello spazio euromediterraneo e asiatico. Ha caratteristiche in parte nuove e in parte sovrapponibili a quelle osservate lungo le rotte migranti tracciate negli ultimi anni. Non dobbiamo pensare che sia la solita guerra alla quale segue il solito transito dellə migranti, né che il conflitto e il conseguente movimento delle persone attraverso i confini sia un’assoluta novità per l’Europa contemporanea. È necessario cogliere ogni novità nei transiti attuali, tenendo costantemente presente che si inseriscono in un groviglio articolato costituito da movimenti pluridirezionali e blocchi selettivi su larga scala.
  • 8. Contro tutti i confini. Il movimento delle persone in fuga dall’Ucraina è un’occasione per ripensare complessivamente le categorie con le quali ci relazioniamo alle frontiere. Non sono diventate liquide con la fine del ‘900 né, allo stesso tempo, sono tutte rappresentabili con l’immagine del muro invalicabile. I confini sono strutturalmente porosi: allo stesso tempo accolgono, separano e respingono. Soprattutto, non sono un elemento dato: hanno una precisa dimensione storica e politica, che può essere messa in discussione e finanche ribaltata dal movimento delle persone e dalla solidarietà politicizzata. 

Se vogliamo essere d’aiuto alle persone che sono in migrazione, è necessario, accanto alle fondamentali attività di sostegno materiale, formulare una critica complessiva, non selettiva, nei confronti di ogni confine del nostro tempo e rivendicare libertà di movimento generalizzata, trasversale agli status giuridici, al paese di origine e alle ragioni per le quali si esercita il diritto di fuga. I processi di confinamento che vanno in scena in Niger, lungo il Mediterraneo centrale, nei Balcani, in LibiaPoloniaUcraina e in mille altri contesti globali sono strettamente connessi: meritano tutti il nostro più profondo disgusto e le nostre azioni di contrasto più ingegnose, radicali ed efficaci.

Francesco Ferri

3/3/2022 https://www.meltingpot.org

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