Disabili gravi: dall’indennità ai servizi “su misura”

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Integrare indennità e servizi 

I bisogni delle persone non autosufficienti e dei famigliari che si prendono cura di loro sono affrontati in Italia pressoché esclusivamente con erogazioni monetarie: una miriade di indennità che compone un puzzle complesso. Così, pur con una spesa non indifferente – circa 15,4 miliardi a livello nazionale nel 2015, cui va aggiunto quanto si spende in Trentino e Valle d’Aosta – rimane ampiamente sguarnito il settore dei servizi. In particolare, sono carenti quelli domiciliari che consentirebbero alle persone anche gravemente disabili di rimanere il più a lungo possibile a casa propria e ai famigliari che se ne prendono cura (per lo più donne) di non dover rinunciare alla propria vita o di non dover affrontare conflitti di lealtà tra le diverse domande di cura che provengono dalla rete famigliare. Nessuno controlla che le indennità siano spese a beneficio della persona non autosufficiente e in modo appropriato ai suoi bisogni. Il problema è diffuso: l’Istat stima che in Italia le persone con limitazioni funzionali gravi siano circa 3 milioni, anche se coloro che ricevono una indennità, secondo i dati Inps, non superano i due milioni. Le famiglie in molti casi fanno fronte alla carenza di servizi rivolgendosi al mercato del lavoro migrante. Tuttavia – e vale anche nel caso della cura famigliare – non è detto che una badante abbia le competenze necessarie per fornire cure appropriate. In più, nonostante la figura sia stata individuata come particolarmente meritevole nelle varie regolarizzazioni dei migranti che sono succedute, rimane un settore dove è diffuso il lavoro nero e grigio. Proprio per ovviare a quest’ultimo aspetto da diversi anni alcuni comuni hanno introdotto l’assegno di cura, da utilizzare per rapporti di lavoro regolari, che si aggiunge alle indennità tradizionali. E sono state avanzate proposte per una razionalizzazione complessiva del settore del sostegno alle persone disabili e non autosufficienti, in modo da disegnare un percorso che integri indennità e servizi, privilegiando questi ultimi. È una strada imboccata da tempo in paesi che avevano un sistema di indennità simile al nostro e che, come il nostro, si trovano ora a fronteggiare l’aumento della disabilità dovuto all’invecchiamento della popolazione: Germania innanzitutto, ma più di recente anche Francia, Spagna e Portogallo. L’obiettivo è triplice: garantire a tutti i disabili il sostegno necessario, sollevare in parte le famiglie dagli obblighi di cura e creare un mercato sociale dei servizi di cura.

L’esempio dello Home Care Premium

In questa prospettiva, è interessante vedere come funziona un servizio riservato ai soli dipendenti e pensionati pubblici e ai loro famigliari, lo Home Care Premium. Iniziato nel 2010, finanziato da un prelievo obbligatorio dello 0,35 per cento sul personale della pubblica amministrazione in servizio e dallo 0,15 su base volontaria dai suoi pensionati, è composto di una integrazione monetaria e servizi disegnati sullo specifico bisogno del beneficiario. Fino allo scorso anno era rivolto solo a coloro che, rispondendo ai requisiti di reddito e di invalidità, risiedevano in comuni dove gli ambiti territoriali o i comuni stessi erano convenzionati con l’Inps, con effetti evidenti di discriminazione nell’accesso a parità di bisogno. Si erano, infatti, convenzionati 371 ambiti territoriali, pari al 57,4 per cento di quelli presenti sul territorio nazionale, più nel Mezzogiorno che nel Centro Nord (dove, per altro, ci sono più politiche e servizi locali). Dal 2017 – il bando è uscito in questi giorni – tutti gli aventi diritto sul territorio nazionale potranno fare domanda e la graduatoria sarà nazionale. È stato anche ampliato il numero di coloro che potranno beneficiare dell’intervento: 30mila, contro i 22.220 del 2014. L’impegno finanziario complessivo è di 220 milioni euro, un po’ più di metà di quanto è stato stanziato nella legge di bilancio per il fondo per i servizi per la non autosufficienza che dovrebbero bastare per l’intera popolazione non autosufficiente. Chi riceve la prestazione monetaria (che si aggiunge all’indennità) dovrà obbligatoriamente utilizzarla per assumere regolarmente una persona. Nei comuni e ambiti territoriali che si convenzioneranno con l’Inps la prestazione monetaria potrà venire integrata da servizi, o trasformata in servizi a seconda di che cosa verrà valutato come più appropriato per il singolo caso. È auspicabile che proprio la realizzazione di una graduatoria nazionale solleciti più ambiti territoriali e comuni a collaborare, in modo da fornire un sostegno più personalizzato e anche più controllato, attivando processi di accreditamento sia dei servizi, sia delle/degli assistenti famigliari. Proprio per le sue caratteristiche, l’Home Care Premium potrebbe essere un’utile sperimentazione in vista di una riforma complessiva del settore, per arrivare a un sistema di intervento misto, meno squilibrato sulla pura erogazione monetaria, che valorizzi le capacità di innovazione locali e personalizzi gli interventi, uscendo da un welfare esclusivamente famigliare, eventualmente e casualmente corretto solo dalla discrezionalità di quello municipale.

Chiara Saraceno

Già professore ordinario di sociologia della famiglia presso la facoltà di scienze politiche di Torino, professore di ricerca al Wissenschaftszentrum für Sozialforschung di Berlino, attualmente è honorary fellow al Collegio Carlo Alberto di Torino. E’ stata presidente della Commissione di indagine sull’esclusione sociale dal 1999 al 2001. Dal 2000 al 2001 ha rappresentato l’Italia nel Social Protection Committee della UE. Si occupa di temi che riguardano la famiglia, i rapporti tra le generazioni, i rapporti e le disuguaglianze di genere, la povertà e sistemi di welfare.

10/3/2017 www.lavoce.info

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