DIVARIO DI GENERE NEL MERCATO DEL LAVORO. A che punto siamo

Lavorare di più e guadagnare di più, due buoni motivi per cui le ragazze dovrebbero studiare materie tecnico scientifiche sfidando chi dice loro che non sono brave abbastanza. Le previsioni sul mercato del lavoro danno indicazioni chiare sulle professioni del futuro

La buona notizia è che l’Europa occidentale è la regione al mondo più vicina alla parità di genere, superando anche il Nord America, con un gap complessivo da colmare di “solo” il 25%, secondo il Global gender gap report, pubblicato ogni anno dal World Economic Forum[1]. La cattiva notizia è che il primato è – come al solito – trainato dai paesi scandinavi, con l’Italia in fondo alla classifica del gruppo europeo, seguita solo da Austria, Cipro, Grecia e Malta.

Nel ranking complessivo l’Italia si colloca al 50° posto su 144 paesi, perdendo ben 9 posizioni rispetto allo scorso anno (Tab. 1). Se il miglioramento degli anni precedenti si doveva alla partecipazione politica, e in particolare al numero di donne in posizioni ministeriali nel governo Renzi, il lieve peggioramento del 2016 è dovuto alla “partecipazione e opportunità economiche”, in cui da sempre l’Italia si distingue come maglia nera. In realtà anche in termini di partecipazione politica il divario da chiudere è ancora molto, persino maggiore (solo il 33% del gap in termini di empowerment politico è chiuso), ma la situazione italiana è migliore rispetto alla media dei paesi.

In termini economici, l’Italia ha colmato il 57% del gap, rispetto a una media complessiva del 59%, e si colloca al 117° posto.[1] Non bisogna dimenticare che la diseguaglianza economica si riflette anche su tutti gli altri aspetti della vita quotidiana: infatti, influenza il “potere contrattuale” delle donne, all’interno della famiglia e all’interno della società.

Nella Strategia per l’eguaglianza tra uomini e donne 2010-2015 anche la Commissione europea sottolinea l’importanza di migliorare la partecipazione economica delle donne, evidenziando come le disparità di genere nel mercato del lavoro debbano essere progressivamente eliminate per ridurre il rischio di esclusione sociale e di povertà delle donne e per ottenere una crescita inclusiva. Su questa scia, Eurofound ha recentemente pubblicato un rapporto sul gender gap nel mercato del lavoro, che evidenzia sfide e possibili soluzioni e valuta l’efficacia di misure introdotte in alcuni paesi (Eurofound, 2016).

In Italia, il tasso di attività femminile è del 54,1% (uomini: 74,1%) – molto basso rispetto alla media europea del 66,8% – e meno delle metà delle donne è occupata, solo il 47,2% (Eurostat, 2016a). Il gender pay gap “grezzo”, invece, è inferiore al resto d’Europa: 6,1% rispetto al 16,7% (Eurostat, 2016b), sebbene sia cresciuto durante gli anni 2008-2013. Tuttavia, questo dato maschera molti aspetti: innanzi tutto, il gender pay gap in Italia è così basso proprio a causa della bassissima percentuale di donne che lavora. Se si tenesse conto anche delle donne che non lavorano, si stima che il differenziale salariale potrebbe essere quasi del 25% [2]. In secondo luogo, questo differenziale è calcolato utilizzando il salario orario.

Quando si considera la retribuzione mensile o annuale, il gap raggiunge circa il 50-70%. Secondo l’ultimo Global gender gap report, il reddito da lavoro annuale delle donne è pari al 52% di quello degli uomini, e la stessa percentuale si ha quando si considera la retribuzione per lavori simili (51%). Le donne, infatti, sono più spesso impiegate in lavori part-time (32,4% rispetto all’8,0% degli uomini – Eurostat, 2016c), tendono a lavorare in occupazioni con orari più brevi e sono meno propense a fare gli straordinari. Tuttavia non si tratta sempre di una scelta completamente libera, ma spesso determinata dal fatto che la gestione dei figli e il lavoro domestico ricadono quasi esclusivamente sulle loro spalle: le donne spendono oltre 300 minuti al giorno per lavoro non pagato, mentre gli uomini circa 100 minuti (Oecd, 2016)

In quest’ottica, è fondamentale che le istituzioni promuovano politiche per fare in modo che il congedo parentale venga utilizzato anche da parte dei padri: è stato dimostrato che ciò ha effetti benefici di lunga durata anche sulla divisione dei carichi di lavoro domestico[3]. Inoltre, per ridurre il divario di genere nel mercato del lavoro, sono essenziali politiche atte a stimolare la partecipazione femminile (sia l’offerta sia la domanda di lavoro), a facilitare la conciliazione famiglia-lavoro, e a incrementare i servizi per l’infanzia: non è un caso che l’occupazione femminile sia più alta nei paesi europei e nelle regioni italiane con maggiori servizi alla famiglia[4]. L’importanza di tali politiche per la società nel suo insieme è evidente: solo in termini economici, Eurofound stima che in Italia il costo totale del divario tra uomini e donne nel mercato del lavoro sia di oltre 88 miliardi di euro, il costo più alto a livello europeo, circa 5,7% del Pil (Fig. 1). Anche considerando solo le donne “disponibili a lavorare”, il costo è di oltre 51 miliardi di euro (3,3% del Pil).

Fig. 1 Costo del gender gap nel mercato del lavoro come percentuale del Pilpiazzalunga_gpg_fig1

Fonte: Eurofound (2016), p. 38. 

Articolo pubblicato in contemporanea su lavoce.info

Note

[1] L’indice è costruito per valutare la differenza tra la condizione di uomini e donne in termini di accesso alle risorse e opportunità, e non il livello assoluto raggiunto dalle donne, per fare un modo che l’indice non sia influenzato dal livello di sviluppo raggiunto dai paesi.

[2] Olivetti C., Petrongolo B., Unequal Pay or Unequal Employment? A CrossCountry Analysis of Gender Gaps, Journal of Labor Economics, 26(4), pp. 621-654, 2008

[3] Patnaik A., Reserving Time for Daddy: The Short and Long-Run Consequences of Fathers’ Quotas, Ssrn, 2016

[4] Pronzato C., Giuseppe S (2015), When Context Does Matter. Childcare and Maternal Employment: Trying to Solve the Puzzle, CESifo DICE Report, 13(1), pp. 3-8, 2015

 

Barbara Leda Kenny

13/1/2017  www.womenews.net

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