Donne eccedenti.

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La tempesta su Alessandro Barbero

Alessandro Barbero , storico stimato e divulgatore efficace , simpatico e piacevole da ascoltare,nelle ultime settimane è stato alla ribalta sull social e stampa; dopo le polemiche sulle sue dichiarazioni critiche sul green pass, è stata pubblicata un’intervista, su “ La Stampa “ che ha generato un polverone notevole. Effettivamente, il titolo del quotidiano invitava forse strumentalmente, alla polemica… a Barbero si attribuiva, in tre righe, una dichiarazione per cui la causa del “minor successo” delle donne sia l’insicurezza.

Certo, ad una lettura superficiale e incompleta la posizione di Barbero è sembrata inopportuna ed antifemminista. Si sono scatenate accorate condanne e cocenti delusioni, tra chi , giustamente, apprezza lo studioso ed i suoi interventi e feroci e compiaciute “ demolizioni” da parte di quelli, non pochi, che lo detestano, generalmente per ragioni politiche. Barbero non fa mistero del suo essere di sinistra, è un intellettuale “partigiano” nel senso che non esita a esprimere le sue opinioni e ad impegnarsi. La vicenda ha mostrato ancora una volta quanto sia potente e pericolosa la comunicazione nel nostro tempo, in cui un messaggio , mal interpretato o frainteso , in buona fede o no, come una valanga si gonfia e travolge tutto.

Per cercare di ristabilire la verità delle sue affermazioni, Barbero ha dovuto tornare sulla parte incriminata dell’intervista relativa a un ciclo di tre lezioni ( Donne nella storia : il coraggio di rompere le regole ) che terrà a Torino : quella relativa all’oggi. Allo storico è stato chiesto di esprimersi in merito alle cause che impediscono alle donne di arrivare al potere, o anche solo di ricevere pari trattamenti economici o di carriera. La risposta è ormai nota, rilanciata da stampa e social: potrebbero esserci differenze strutturali (biologiche ) come aggressività, spavalderia, sicurezza di sè, presenti in minor misura nelle donne che per questo faticano ad affermarsi? Barbero in realtà come hanno ben sottolineato quanti hanno riflettuto più a fondo sulle dichiarazioni, non afferma, ma si interroga. Lo storico, in un suo video messaggio lo precisa; le differenze biologiche esistono, è un fatto. Rimane da chiarire con quali meccanismi queste differenze producano la disparità di genere, dal momento che in teoria la nostra società prevede ed incoraggia la parità di genere o almeno tende verso di essa.

Barbero quindi si domanda se le “differenze strutturali” mediamente esistenti tra uomini e donne non agiscano come predisposizioni o attitudini, determinando per esempio, una ridotta percentuale di donne che scelgono certe professioni , come l’elettrauto o il gommista. Senza dubitare in alcun modo della vocazione di Barbero al superamento di ogni discriminazione, e senza la pretesa di rispondere ai suoi interrogativi, forse la questione deve essere posta in termini più completi.

Mi pare di aver inteso che il prof. Barbero parta dal presupposto che statisticamente certe caratteristiche (non quelle anatomiche e fisiologiche) come attitudini, tratti caratteriali, sensibilità siano diverse tra uomini e donne e che in queste ultime siano meno frequenti la competitività e l’aggressività che conducono a posizioni di potere. Inclinazioni diverse avrebbero quindi un ruolo nel determinare le scelte professionali e di vita delle donne rispetto agli uomini, anche quando la società si predisponesse in modo da evitare le discriminazioni, con legislazione adeguata e paritaria.

Sicuramente è possibile che le donne in media non siano particolarmente interessate all’elettronica, alla meccanica o all’idraulica, per cui meno frequentemente scelgono professioni e mestieri legate a questi settori.

La prima questione è determinare se queste diverse attitudini siano genetiche, direttamente connesse alla coppia di cromosomi XX. Sarebbe interessante chiarire se le diverse attitudini si sviluppino come conseguenza di educazione e contesto culturale in cui si cresce più che come tratto biologico. L’impressione , da non- scienziata , è che l’educazione e i modelli culturali proposti fin dalla più tenera età siano molto importanti anche nel determinare gusti, preferenze, “predisposizioni”. Si ritorna quindi al modello di società come fattore peculiare nell’ indirizzare i destini degli individui, di qualunque genere.

La società patriarcale incoraggia nei bimbetti certe inclinazioni, e nelle bimbette altre attitudini. Ad esempio, la competitività , non è affatto una caratteristica meno frequente nelle donne ( sempre in senso “statistico” non generalizzante). Solo, molto spesso cambiano i contenuti , i contesti e gli obiettivi sui quali si esercita. Il problema vero rimane quello dell’accesso al potere ed al controllo che nelle nostre società, anche se formalmente si riconoscono, spesso solo in astratto, uguali opportunità, resta, nei fatti, prerogativa maschile.

La seconda questione, concesso che esistano “differenze strutturali “, derivanti sia dalla natura che dall’ambiente, è il valore, la spendibilità diversa che a queste attitudini si riconoscono.

Nella storia dell’umanità, alla donna, in quanto madre , dal momento che la capacità di generare è il vero fondamentale punto biologico di distinzione dall’uomo, sono state dedicate divinità, culti, riti. La funzione riproduttiva , sacralizzata, nelle società più antiche ha svolto un ruolo centrale. Ma le organizzazioni sociali improntate al matriarcato (poche, lontane nel tempo o nello spazio dal nostro “mondo civilizzato”) hanno caratteristiche completamente diverse da quella in cui viviamo , risultando più egualitarie, più solidali dove la prevricazione di un sesso sull’altro non ha ragione di esistere.

Un’interessante analisi di popolazioni con struttura sociale di tipo matriarcale è stata condotta da B. Lisan “ Le società matriarcali nel mondo” ; tra le altre, descrive l’organizzazione sociale dei Mosuo della Cina, dove il ruolo della donna è centrale, ma questo non implica la subalternità dell’uomo. La conclusione, supportata dalle considerazioni dell’antropologa Margaret Mead in base ai suoi studi sui popoli oceanici , è che “se gli individui potessero dare corso alle loro facoltà senza badare a norme, se potessero uscire dal modello in cui si identificano fn dall’inizio della loro vita, o piuttosto al quale la società li obbliga ad assomigliare, allora si potrebbe arrivare , tutti, a una civiltà ricca, varia, senza tenere conto della conformità”.

Forse è ora di cambiare il sistema di valori che riconosce come virtù la prevaricazione, lo sfruttamento, il dominio e scegliere di dare importanza a quelle caratteristiche “ perdenti” che oggi vengono giudicate non idonee al “ successo”. Ed è anche or di una seria riflessione su cosa sia il successo per l’individuo e per la società.

Loretta Deluca

Insegnante Torino. Collaboratrice redazionale di Lavoro e Salute

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