Dopo quelli della scuola, speranza a tutti i precari dello Stato.

La sen­tenza della Corte Costi­tu­zio­nale Euro­pea del 26 novem­bre 2014 C-22/13 ha susci­tato molto scal­pore, e con ragione per­ché, accer­tando l’illegittimità per con­tra­sto con la Diret­tiva Euro­pea n. 70/1999 , della nor­ma­tiva ita­liana riguar­dante i pre­cari del set­tore sco­la­stico, impone al nostro Stato di sta­bi­liz­zarli, oppure di pagare un risar­ci­mento multimiliardario.

Non sono, però, altret­tanto chiare al nor­male pub­blico, e forse nean­che alla gene­ra­lità degli ope­ra­tori giu­ri­dici le ragioni della sen­tenza, e soprat­tutto le sue pos­si­bili impli­ca­zioni in set­tori diversi nei quali il pre­ca­riato è dif­fuso come lo è nel set­tore scolastico.

Ci sem­bra dun­que neces­sa­rio, cer­cando di non cadere nel tec­ni­ci­smo, for­nire al let­tore le «chiavi» neces­sa­rie per acqui­sire con­sa­pe­vo­lezza su una tema­tica tanto importante.

La prima nozione di cui appro­priarsi è que­sta: esi­ste una diret­tiva CE, la n. 70/1999, in mate­ria di con­tratti di lavoro a ter­mine, che costi­tui­sce la «pie­tra di para­gone» per tutte le legi­sla­zioni nazio­nali dei Paesi ade­renti alla Ue, che non pos­sono, dun­que, con­trad­dire i prin­cipi e con­te­nuti della Diret­tiva, e sull’eventuale con­tra­sto giu­dica, appunto, la Corte di Giu­sti­zia Euro­pea con sede a Lussemburgo.

La seconda nozione è che tale Diret­tiva n. 70/1999 onde evi­tare l’abuso dei con­tratti a ter­mine, impone a ogni legi­sla­tore nazio­nale di adot­tare almeno una di que­ste misure legi­sla­tive (vulgo: «paletti») di contenimento:

  • che il con­tratto a ter­mine abbia una causa obiettiva;
  • che il numero dei rin­novi pos­si­bili dei con­tratto sia limitato;
  • che sia pre­vi­sto un periodo tem­po­rale mas­simo di lavoro a ter­mine dopo il quale il rap­porto si tra­sforma comun­que a tempo indeterminato.

Rite­niamo che le tre misure non abbiano la stessa impor­tanza – e che la «cau­sa­lità obiet­tiva» sia quella pre­va­lente e comun­que neces­sa­ria, anche se la let­tera della diret­tiva le enun­zia sepa­ra­ta­mente, ma la que­stione è rima­sta a lungo solo acca­de­mica per­ché, comun­que, il Dlgs. 368/2001 che ha rece­pito la Diret­tiva in Ita­lia ha adot­tato tutte e tre le misure (o «para­me­tri») sta­bi­lendo, con riguardo par­ti­co­lare alla terza che, comun­que, dopo 36 mesi di lavoro a ter­mine presso lo stesso datore di lavoro il rap­porto diviene a tempo inde­ter­mi­nato (art. 5 co. 4-bis Dlgs. 368/2001).

La terza nozione è che, però, l’importante regola della tra­sfor­ma­zione dopo 36 mesi non è (o non era) di tipo gene­rale, per­ché riguar­dava solo i datori di lavoro pri­vati e non quelli pub­blici, per i quali una norma spe­ci­fica, ossia l’art. 36 Dlgs. 165/2001 impe­diva (si è detto per rispetto al prin­ci­pio dell’assunzione tra­mite con­corso) la tra­sfor­ma­zione del rap­porto a tempo inde­ter­mi­nato anche se il lavoro a ter­mine avesse supe­rato i 36 mesi. Salva la pre­vi­sione allora di un risar­ci­mento del danno, che però la giu­ri­spru­denza ita­liana non è mai riu­scita a quan­ti­fi­care in misura appena appena ade­guata. Tanto che la stessa Corte Euro­pea è dovuta inter­ve­nire più volte (ordi­nanza «Affa­tato» del 1.10.2010 e ordi­nanza «Papa­lia» del 12.12.2013) per pre­ci­sare che deve esi­stere una «equi­va­lenza» di capa­cità dis­sua­siva degli abusi tra la san­zione di tra­sfor­ma­zione e quella «risar­ci­to­ria» e che, dun­que que­sta deve essere adeguata.

Ma gli Enti pub­blici hanno con­ti­nuato tran­quil­la­mente a pro­se­guire i rap­porti pre­cari oltre i 36 mesi con­tando sulla con­ni­venza della giurisprudenza.

La quarta nozione è che tut­ta­via, il set­tore della scuola costi­tuiva un punto di par­ti­co­lare arre­tra­tezza, per­ché in tale set­tore il limite dei 36 mesi nean­che esi­steva e ciò per espli­cita ecce­zione pre­vi­sta dall’art. 10 co. 4 bis Dlgs. 368/2001, con la con­se­guenza che il rap­porto a ter­mine (sup­plenze annue ecc) pote­vano sus­se­guirsi senza limite tem­po­rale, fino allo spe­rato rag­giun­gi­mento (ma quando?) di un pun­teg­gio suf­fi­ciente per la «entrata in ruolo».

Di que­sto, dun­que, ha preso atto la Corte euro­pea con la sen­tenza in com­mento: da un lato non esi­ste­vano affatto i «paletti» del numero mas­simo di rin­novi o di durata mas­sima (36 mesi o diversi), ma dall’altro lato non esi­steva nean­che il «paletto» della cau­sale ogget­tiva, ovvero esi­steva solo sulla carta, per­ché sosti­tuito dall’attesa di pro­ce­dura con­cor­suale. Evento, come è noto, quanto mai incerto e remoto.

Per­tanto – ha deciso la corte – la Diret­tiva n. 70/1999 «osta», ossia costi­tui­sce un osta­colo insu­pe­ra­bile per la nor­ma­tiva ita­liana del set­tore sco­la­stico, e i giu­dici ita­liani devono ade­guarsi al diritto euro­peo, accer­tando e san­zio­nando gli abusi costi­tuiti dalla appli­ca­zione della nor­ma­tiva italiana.

Ma san­zio­nan­doli come?

Lo si è già detto, ricor­dando le ordi­nanze «Affa­tato» e «Papa­lia»: con la tra­sfor­ma­zione del rap­porto a tempo inde­ter­mi­nato, oppure con un risar­ci­mento «equi­va­lente», il che non può che signi­fi­care «di pari uti­lità» per il lavo­ra­tore a quello con­se­guente alla tra­sfor­ma­zione e, dun­que, di importo imponente.

Veniamo, però, alle impli­ca­zioni più vaste: per il resto del pub­blico impiego, sta­tale, para­sta­tale, degli Enti locali, sani­tari, dove il pre­ca­riato comun­que è abbon­dante la sen­tenza con­ferma la serietà e inva­li­ca­bi­lità di tutti i «paletti», per­ché da un lato la cau­sale ogget­tiva deve essere valu­tata in con­creto come ogget­tiva tem­po­ra­neità e dall’altro ogni debordo dal limite dei 36 mesi dà luogo senz’altro a quelle san­zioni di tra­sfor­ma­zione e/o risar­ci­to­ria, ma poi­ché per il set­tore della scuola l’unica solu­zione poli­ti­ca­mente pra­ti­ca­bile è quella della sta­bi­liz­za­zione, anche per gli altri set­tori i giu­dici dovranno razio­nal­mente sce­gliere la tra­sfor­ma­zione a tempo indeterminato.

Quanto al set­tore pri­vato, dove il limite nume­rico di rin­novi sus­si­ste (cin­que rin­novi) e così anche il limite di durata com­ples­siva (36 mesi), ma dove il Decreto Poletti ha fatto spa­rire la «cau­sale ogget­tiva» dei con­tratti a ter­mine, con enorme impulso a nuovo pre­ca­riato, la sen­tenza della Corte di Giu­sti­zia non acco­glie affatto l’idea della super­fluità della cau­sale quando esi­ste il limite com­ples­sivo di durata del pre­ca­riato (36 mesi).
Sot­to­li­nea, infatti (al punto 88 della moti­va­zione) che di fronte a una serie di rin­novi del con­tratto a ter­mine occorre sem­pre inda­gare se esi­sta una «esi­genza reale» che escluda l’abuso.

Infatti, una lunga sequenza di con­tratti a ter­mine induce il sospetto che l’esigenza lavo­ra­tiva sia con­ti­nua­tiva e non tem­po­ra­nea e che, quindi, non vi sia ragione per non ricor­rere alla «forma» nor­male del con­tratto di lavoro, che è quella a tempo indeterminato.

Il vero è che costi­tui­sce un evi­dente abuso da parte di un datore di lavoro, la cui esi­genza lavo­ra­tiva sia con­ti­nua­tiva e non tem­po­ra­nea, con­ti­nuare con i rin­novi con il lavo­ra­tore Tizio fino al limite di 36 mesi e, poi, lasciarlo a casa e rii­ni­ziare la sto­ria con il lavo­ra­tore Caio: si tratta di una frode alla legi­sla­zione euro­pea, la quale appunto, vuole limi­tare il ricorso al con­tratto a termine.

È dun­que giu­stis­simo il ricorso all’autorità euro­pea che la Cigl ha pre­sen­tato con­tro il Decreto Poletti, auten­tico «untore» nel dif­fon­dere la peste del precariato.

E infine – anche se non c’è rela­zione diretta con la sen­tenza — cogliamo l’occasione per rin­no­vare la rac­co­man­da­zione ai pre­cari: impu­gnate entro 120 giorni dalla ces­sa­zione i «vec­chi» con­tratti a ter­mine e di lavoro som­mi­ni­strato cau­sali, ante-decreto Poletti, e richie­dete la sta­bi­liz­za­zione, prima che sia troppo tardi.

Piergiorgio Alleva

7/12/2014 www.ilmanifesto.info

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