Due giorni, una notte e la lotta di classe.

Due giorni, una notte e la lotta di classe

Raramente, in questi anni, mi è capitato di vedere un film lucidamente politico come “Due giorni, una notte” dei fratelli Dardenne. Sandra, interpretata da Marion Cotillard, deve convincere i suoi compagni di lavoro a rinunciare ad un bonus annuale di mille euro e a mantenere il suo posto di lavoro. E’ questo, infatti, il referendum interno a cui i lavoratori della fabbrica di Sandra sono chiamati ad esprimersi: o un miglioramento salariale, e il conseguente licenziamento della collega, o ”salvare” la collega e tenersi il proprio attuale salario. Non è un reality show, ma il tipico ricatto del padrone di turno ai tempi della crisi.

Un ricatto che traccia un perimetro preciso del conflitto, e che porta le lavoratrici e i lavoratori a scontrarsi frontalmente tra di loro. Un meccanismo che ben conosciamo, e che consiste nel contrapporre giovani ad anziani, italiani a migranti e via dicendo. Come capita sovente di questi tempi, la posta in palio è altissima: ha a che fare con la vita concreta delle persone; con la possibilità o meno di pagare il mutuo per la casa, di garantire o meno al proprio figlio gli studi; con il rischio di rimanere schiacciati definitivamente dal peso della disoccupazione, della povertà e della marginalità.

Sandra si colpevolizza, è sfiduciata e depressa, fatica a narrarsi, e a rappresentare in primo luogo a se stessa la situazione con coordinate diverse da quelle della dirigenza aziendale e dei lavoratori a lei più ostili: nella sua debolezza c’è il sedimento della lunga sconfitta del movimento operaio, e diventa difficile arrabbiarsi, reagire e dare alle cose un senso diverso da quello stabilito e strutturato dai suoi carnefici sociali, in apparenza i colleghi ma nella realtà i suoi dirigenti aziendali, perché la storia – e la cronaca – l’hanno riscritta loro.

Nelle ore immediatamente precedenti al voto, si presenta a casa dei compagni di fabbrica per chiedere un ripensamento, e diventa una piccola inchiesta sociale simulata, dalla quale emergono il prevalere dell’individualismo come unica via di salvezza e qualche segno di vita da parte di un’antica quanto stupefacente solidarietà operaia.

Ed è proprio quando incontra la solidarietà e il sostegno dei colleghi che Sandra ritrova il sorriso, la gioia di vivere, la voglia di raccontarsi; che riesce a dare un senso diverso a quello che le sta succedendo.

Il messaggio dei Dardenne è chiaro e limpido: contro un capitalismo che prospera nutrendosi dell’abbruttimento e dell’imbarbarimento delle relazioni sociali, che si rafforza favorendo la guerra tra sfruttati, che disumanizza, l’unico anticorpo possibile sta nel non rinunciare alla propria dignità e nella difficile ricostruzione di un tessuto collettivo di lotta. Quando, nel finale, Sandra sarà a sua volta trascinata nel tentativo di contrapporre nuovamente lavoratori a lavoratori, non avrà nessuna esitazione nella scelta da che parte stare. La protagonista del film non ha più nessuna paura di perdere, forte della consapevolezza che la sconfitta di oggi rappresenta l’unica possibilità per vincere domani.

Nando Mainardi

1/12/2014 www.rifondazione.it

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