DUE STATI. Sondaggio: ebrei israeliani divisi a metà

 

Sembrava che la conferenza stampa alla Casa Bianca del premier israeliano Netanyahu e del presidente Usa Trump fosse caduta nel vuoto. Eppure i due hanno nella pratica messo fine a 20 anni di diplomazia statunitense e di fittizio processo di pace: no alla soluzione a due Stati, dice Netanyahu; fate come volete, risponde Trump.

Ieri, un giorno dopo l’incontro, i paesi arabi si sono finalmente espressi e lo hanno fatto insieme alle Nazioni Unite: dopo un incontro al Cairo tra il segretario generale della Lega Araba Aboul-Gheit e il segretario Onu Guterres, con un comunicato congiunto i due organismi hanno ribadito il sostegno alla soluzione a due Stati come “unica via per una soluzione duratura e giusta alla causa palestinese”.

Da Ramallah, intanto, l’Autorità Nazionale Palestinese fa sapere – attraverso indiscrezioni e voci di corridoio – di non avere idea di cosa fare, di quale strategia utilizzare, quali canali attivare per fermare l’espansionismo esplosivo di Tel Aviv. Nessun riferimento alla Corte Penale, richiamata in causa le scorse settimane dopo l’approvazione della legge sugli avamposti e di altre 6mila case per coloni tra Cisgiordania e Gerusalemme est.

Nel caos di dichiarazioni, a dare il contesto sono israeliani e palestinesi. Interessante è in tal senso il sondaggio realizzato, in contemporanea, nello Stato di Israele dall’Università di Tel Aviv, e nei Territori Occupati dal Palestinian Center for Policy and Survey Research. La metà degli ebrei israeliani è favorevole ai due Stati come soluzione definitiva (erano il 56% sei mesi fa e il 71% nel 2010).

La preferenza ai due Stati cala tra i palestinesi dei Territori Occupati: la scelgono il 44% di loro (51% sei mesi fa e il 57% nel 2010), ma muovendo dubbi sui dettagli di un eventuale accordo. Il ricordo degli accordi di Oslo e la realtà quotidiana della sua implementazione, di certo, influiscono su una simile considerazione.

Diversa la posizione dei palestinesi cittadini israeliani: il 56% di loro – circa 1,8 milioni di persone, il 20% della popolazione israeliana – preferisce uno Stato binazionale, uno Stato unico con uguali diritti, e il 74% una confederazione. Un dato che si spiega bene con la frustrazione e la crisi di identità che attraversa la comunità palestinese rimasta dentro lo Stato di Israele: non si sente israeliana, perché politicamente, civilmente e economicamente discriminata, ma non si sente più palestinese perché privata della rappresentanza politica dell’Anp, concentrata sui solo Territori.

Interessante anche il dato dalle colonie, che si discosta da quello dei cittadini ebrei israeliani dentro lo Stato di Israele: se tra questi ultimi il 31% sostiene l’idea di un’annessione della Cisgiordania senza riconoscere uguali diritti ai palestinesi – nella pratica, l’apartheid – il dato sale tra i coloni, dove ben il 46% vuole annettere le terre senza i suoi abitanti.

Israeliani e palestinesi sono però d’accordo su un dato: per l’80% degli ebrei israeliani e il 72% dei palestinesi uno Stato di Palestina non vedrà la luce prima di cinque anni. Ora, a guardare la confusione sollevata dalla nuova amministrazione Usa, ce ne vorranno ancora di più: se le precedenti cercavano di salvare la faccia, ma mai hanno svolto il ruolo di mediatore equo, quella Trump cancella ogni finzione e dà ad Israele un assegno in bianco.

Roma, 17 febbraio 2017, Nena News 

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