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    Dal coronavirus al contagio da smartworking? È il momento di pensare a prospettive e implicazioni per famiglie e imprese, lavoratrici e lavoratori

    Economia di un virus

    Pubblicato da franco.cilenti

    Foto: Flickr/ NIAID

    L’epidemia da coronavirus (Covid-19) è prima di tutto una tragedia umana che colpisce centinaia di migliaia di persone, ma sta avendo anche un impatto crescente sull’economia globale. Quali sono le prospettive sull’evolversi della situazione e quali implicazioni ci saranno per i mercati, le imprese, i lavoratori e le lavoratrici, le famiglie?

    La situazione è in costante e rapida evoluzione. Mentre in Cina l’epidemia sembra aver raggiunto un punto di flesso verso la fine di febbraio, i casi registrati al di fuori del paese hanno ormai superato quelli al suo interno. Quattro sono, al momento, i centri più colpiti: la Cina (Hubei), l’Asia orientale (Corea del Sud e Giappone), il Medio Oriente (Iran) e l’Europa occidentale (Italia). In totale, questi paesi rappresentano quasi il 40 percento dell’economia globale.

    I movimenti delle persone e il numero di interrelazioni personali rendono improbabile che la diffusione del Covid-19 possa essere contenuta: nuovi casi stanno sorgendo in America Latina (Brasile), Stati Uniti (California, Oregon e Washington) e Africa (Algeria e Nigeria) e l’Istituto statunitense per il controllo e la prevenzione delle malattie prevede che anche gli Stati Uniti ne saranno affetti [1]. 

    L’impatto economico del virus 

    Il coronavirus si è abbattuto su un’economia mondiale già afflitta da una crescita debole, provata da tensioni geopolitiche e guerre commerciali. Le restrizioni alla circolazione di persone, beni e servizi e le misure di contenimento, come la chiusura di fabbriche, hanno già fortemente ridotto la produzione e la domanda interna in Cina. L’impatto sul resto del mondo è stato aggravato dagli effetti sui viaggi, per affari come per turismo, sulle catene di approvvigionamento, sulle materie prime e dal crollo della fiducia.

    Certo, l’impatto varia fra settori. Se per alcuni, come il trasporto aereo, il turismo e l’ospitalità, la domanda è persa per sempre – nel caso ad esempio dei mancati coperti nei ristoranti o dei mancati ingressi al cinema –, per altri la domanda potrebbe essere solo ritardata, come per i beni di consumo, nel senso che la preoccupazione per la diffusione del virus induce solo a rimandare la spesa.

    La ripresa della domanda dipenderà comunque dal rallentamento della pandemia, che con molta probabilità sarà dovuto alla “stagionalità”, quindi a un miglioramento connesso al clima.

    Alla caduta della domanda dei consumatori, si aggiungono i problemi di offerta collegati alle interruzioni delle forniture nelle catene di approvvigionamento, particolarmente gravi per quei settori maggiormente dipendenti da componenti prodotti in Cina, ma tutt’altro che trascurabili in altri casi: le imprese sud-coreane, per esempio, sono le principali produttrici mondiali di memory chips, che entrano nella produzione di ogni tipo di prodotto elettronico, dagli i-phone ai computer; ma anche le imprese del nord-est dell’Italia produttrici di componenti per l’auto rivestono un ruolo vitale nelle catene mondiali.

    Le stime dell’impatto sul Pil mondiale variano a seconda delle ipotesi sulla velocità della diffusione all’interno delle aree più colpite e dell’intensità della trasmissione a nuove aree. Nello scenario di base, McKinsey stima una riduzione da 0,3 a 0,7 punti percentuali della crescita del Pil globale per il 2020, mentre nel rapporto appena pubblicato[2] l’Ocse prevede la possibilità di un dimezzamento del tasso di crescita mondiale. Gli effetti più pesanti sono ovviamente concentrati nei paesi più gravemente colpiti dal virus, fra cui l’Italia. Il rapporto appena diffuso dal Centro Europa Rricerche (CER) ha abbassato la stima della crescita del Pil per il 2020 a zero, rispetto allo 0,6% di poche settimana fa, che era stato a sua volta ridotto allo 0,3% dopo il dato trimestrale negativo di fine 2019. 

    Quali politiche per affrontare la crisi

    Nel suo rapporto, l’Ocse suggerisce una serie di politiche a diversi livelli per affrontare la crisi: politiche a sostegno delle famiglie, delle imprese e dell’economia nel suo complesso. Queste variano da sostegno finanziario a famiglie e imprese, rinvio dei pagamenti di imposte e contributi, credito abbondante per superare crisi di liquidità, riduzione dei ritardi nei pagamenti della pubblica amministrazione, stimolo agli investimenti pubblici, soprattutto nel settore sanitario.

    Viene sottolineata inoltre l’importanza per i diversi paesi di coordinare gli interventi in campo sanitario, monetario e fiscale. Un punto importante, su cui sembra ci si stia avviando, è quello di mettere da parte, almeno temporaneamente, i vincoli all’aumento del disavanzo pubblico, che si rivela inevitabile. 

    Le azioni pubbliche volte a contenere il contagio stanno cambiando la vita quotidiana in modi senza precedenti. In particolare, come già in altri paesi, anche il governo italiano ha preso la decisione di chiudere le scuole di ogni ordine e grado fino al 15 marzo.

    Smartworking, un ‘salto’ irreversibile?

    Nello stesso Decreto presidenziale del consiglio dei ministri del 4 marzo 2020, che prevede la chiusura delle scuole, all’art.1n si prevede la possibilità di ricorrere più liberalmente al telelavoro (smartworking).[3] Molte imprese, in effetti, hanno risposto alla chiusura delle sedi ricorrendo in misura massiccia al telelavoro: questa soluzione è ovviamente più accessibile per le imprese che forniscono servizi (fra cui i servizi pubblici, incluso l’insegnamento) che per quelle nel settore della produzione.

    Non pare, viceversa, che ci si sia posti il problema di come le famiglie – e in particolare le lavoratrici su cui ricade ancora principalmente l’onere della cura – possano gestire la situazione, soprattutto se dovesse protrarsi. Per molte, specie quelle che non possono accedere facilmente al telelavoro o al part-time, la conciliazione di lavoro e chiusura delle scuole di ogni ordine, scuole materne incluse, potrebbe risultare una missione impossibile (si veda un articolo uscito lunedì sul Financial Times) che richiederà interventi urgenti e mirati a compensazione delle maggiori spese o delle ferie perse.

    Le risposte, estemporanee e più o meno adeguate, di governo e imprese a una situazione di emergenza potrebbero però avere ripercussioni di più lungo periodo. È possibile infatti che la necessità delle imprese di rispondere all’improvvisa emergenza attraverso la riorganizzazione del lavoro con un potenziamento del lavoro a distanza, insieme all’incertezza sulla possibilità che possano ripetersi in futuro simili interruzioni, determini un ‘salto’ in qualche misura irreversibile nell’adozione di pratiche organizzative di smartworking. È necessario quindi considerare vantaggi e controindicazioni del telelavoro, di cui su inGenere abbiamo già trattato ampiamente.

    Note

    [1] McKinsey, Covid-19: Implications for business, marzo 2020

    [2] Oecd, Economic Outlook Interim Report, marzo 2020

    [3] L’articolo 1n prevede che, per la durata dello stato di emergenza, la modalità di lavoro agile, o smartworking, possa essere applicata dai datori di lavoro  a ogni rapporto di lavoro subordinato, nel rispetto dei principi dettati dalle disposizioni, anche in assenza degli accordi individuali previsti.

    Annamaria Simonazzi

    5/3/2020 www.ingenere.it

    Tags: Annamaria Simonazzi Centro Europa Rricerche cgil Coronavirus Covid-19 economia globale emergenza Financial Times lavoro agile lavoro digitale Maurizio Landini McKinsey ocse Pil mondiale smartworking
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