Elogio dell’INTERO al tempo del Covid

PDF www.lavoroesalute.org

IN VERSIONE INTERATTIVA https://www.blog-lavoroesalute.org/lavoro-e-salute…/

Se c’è una aspetto che caratterizza il nostro tempo è quello di esaltare le competenze specifiche dei tecnici e lasciare ai grandi maîtres à penser, sempre meno numerosi e autorevoli, il compito di tracciare grandi affreschi del contemporaneo. Fra queste due polarità ci sono i politici che non sono né tecnici, né “filosofi” e, mai come oggi, impietosamente denunciano i propri limiti. So bene che l’espressione “politici” è ambigua perché mette sullo stesso piano figure diverse e, tuttavia, la fine delle ideologie e delle narrazioni, così come la crisi generale della Sinistra, hanno reso sempre più frequente una sorta di omologazione verso il basso della classe politica.

Quello che mi propongo in queste note è un obiettivo semplice ma irrituale per i nostri tempi: mettere insieme alcune considerazioni di carattere generale, orientate a recuperare un punto di vista di classe sulla crisi pandemica, sfruttando l’occasione per proporre, da medico internista, il nucleo di un piccolo ma ambizioso progetto che potrebbe mostrare una significativa utilità nella lotta al Covid, in attesa del vaccino. Come dire: intrecciare teoria e pratica. Nel provarci, in fondo, non faccio nulla di più che seguire i consigli di uno dei più grandi clinici della nostra storia, Augusto Murri, il quale, nei primi decenni del secolo scorso, fece scoperte straordinarie in settori specifici della medicina, senza mai evitare di ricordare che: “Nullus medicus nisi philosophus” (non vi è medico che non sia un filosofo).

Ora, evitando di esagerare con la filosofia e limitandomi a toccare solo di striscio una questione cruciale, mi basterà dire che il paradigma che si è affermato, dall’imporsi della dittatura del Postmoderno in poi, è stato esattamente l’opposto di quello indicato da Augusto Murri: dividere le grandi questioni (non solo mediche) in piccoli problemi da risolvere tecnicamente. Naturalmente questo approccio anti-olistico non soltanto ha favorito l’affermazione di una medicina iper-specialistica, affaristica e disumanizzante, ma è stato utilissimo per contribuire a neutralizzare le grandi visioni del mondo che si ispiravano a disegni di interpretazione e di trasformazione generale della realtà, in modo particolare quelle socialista e comunista.

Queste considerazioni generalissime mi consentono di non far cadere troppo dall’alto una riflessione che non appare nemmeno particolarmente originale per chi abbia una formazione marxista ma che, tuttavia, viene totalmente ignorata nella stampa mainstream e scarsamente rivendicata anche da chi avrebbe un preciso interesse politico a farlo. L’idea guida di questa riflessione è che il capitalismo finanziario, sia nella variante globalista e ordoliberista che in quella sovranista e nazionalista, è stato letteralmente messo a nudo (come nella favola di Andersen) da questa terribile e mortifera pandemia internazionale.

Il covid, insieme ai danni incalcolabili che ha causato, una cosa ha dimostrato con accecante chiarezza: la totale incapacità del capitale di tutelare gli interessi, non soltanto delle classi sociali più deboli ma anche della stessa borghesia, che del capitalismo dovrebbe essere la classe di riferimento. Che questa fosse una realtà auto-evidente era chiaro anche prima della pandemia, per chi disponesse di un minimo di strumenti interpretativi, ma era ignorata dalla stragrande maggioranza del popolo che considerava, e ancora considera, il capitalismo come l’unico sistema economico possibile, uno status immodificabile come il ciclo delle stagioni (capitalismo sive natura).

Ecco, la verità che la pandemia ha dimostrato in modo inconfutabile è che il capitalismo va in direzione opposta rispetto alla difesa degli interessi generali e di quelli del pianeta e la cosa più rilevante è che non può non farlo per sua stessa natura. Del resto la lezione dei classici ci era nota, come ci era nota la straordinaria capacità metamorfica di un sistema capace di reinventarsi per procrastinare all’infinito – crisi dopo crisi – il momento del suo definitivo red rationem. Tirare la corda e prendere tempo, far digerire anche la sua versione più selvaggia e brutale, cancellare l’idea stessa della lotta di classe mentre essa più ferocemente continuava a infierire in un’unica direzione: tutto questo è stato fatto a regola d’arte per decenni, con l’oggettiva complicità anche di chi, per cultura e tradizione, avrebbe dovuto ostacolare questi processi.

L’infezione planetaria tuttavia, come accade a volta nella storia, ha fatto saltare il banco. Ha mostrato che non è solo questione di caduta tendenziale del saggio di profitto.
Una novità si è imposta all’attenzione: l’esplodere di nuove e più deflagranti contraddizioni. In particolare: quella capitale/salute e quella capitale/natura. Tutto questo ha prodotto non solo centinaia di migliaia di morti ma anche il venir meno delle condizioni che garantivano, nonostante la crisi, un’accumulazione capitalistica senza precedenti, capace di concentrare nelle mani di pochissimi ricchezze smisurate, abbandonando al proprio destino il resto del mondo.

Ecco, si può dire che questa “pestilenza” ha rotto le uova nel paniere alle micro-oligarchie dominanti, non solo dando un colpo mortale ai mercati finanziari ma anche, simbolicamente, mettendo a repentaglio la vita stessa di alcune figure altamente rappresentative di questo sistema. Da Johnson, a Trump, a Bolsonaro, a Berlusconi, a tanti altri. La livella del Covid si è abbattuta su tutti, anche se non con la stessa precisione salomonica di quella citata da Totò. Rimane, tuttavia, la clamorosa evidenza di una incapacità del sistema di cui siamo vittime non solo di prevedere un accadimento prevedibile (e previsto) ma anche di gestirlo decentemente per contenere i danni incalcolabili che ha prodotto e produce. Il taglio generale di questo ragionamento mi consente di sorvolare su un giudizio – che non potrebbe che essere fortemente chiaroscurato – che riguardi l’attuale governo. Così come rende quasi superfluo richiamare la perniciosità incalcolabile dei tagli assestati in questi decenni, anche da governi di centro sinistra, alla sanità pubblica.

Volutamente vorrei limitarmi a sottolineare, con la massima energia possibile, che l’occasione fornita a tutti coloro che aspirano al superamento del capitalismo di dimostrarne la vera natura è più unica che rara: è imperdibile. Come può un sistema che, nonostante l’enorme potere di cui dispone, non riesce a difendere nemmeno se stesso porsi e imporsi come unico arbitro della sopravvivenza del pianeta? Come può farlo se, nel tempo della tecnologia totalizzante, si è fatto trovare impreparato persino nella produzione di banali mascherine chirurgiche (un’altra icastica simbologia)? Tutto appare chiaro ma resta il fatto che se nemmeno oggi riusciremo ha insinuare dei dubbi in chi crede che questo sia il migliore dei mondi possibili, probabilmente non ci riusciremo mai più.

Un’intelligenza collettiva rivoluzionaria è tutta da costruire, si chiude così il bel libro, appena uscito di Emiliano Brancati (Non sarà un pranzo di gala. Crisi, catastrofe, rivoluzione). Il problema di questa costruzione ci riguarda molto da vicino.

Roberto Gramiccia

Medico internista, geriatra
Collaboratore redazionale di Lavoro e Salute

Pubblicato sul numero di dicembre del mensile

PDF www.lavoroesalute.org

IN VERSIONE INTERATTIVA https://www.blog-lavoroesalute.org/lavoro-e-salute…/

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *