Elogio della diserzione

Siamo nel mezzo di una guerra nel cuore dell’Europa, non una guerra tra piccoli stati per scaramucce e dissidi territoriali, ma uno scontro politico, sociale, persino ideologico. Il presidente russo con un abbigliamento griffato si esibisce in uno stadio affollato e plaudente, il presidente ucraino in maglietta militare è in una sorta di tour occidentale, per rimproverare agli stati europei e al loro alleato sostenitore, gli USA, una sorta di incapacità e di viltà. Una grande quantità di vittime civili del paese aggredito, ora persino donne stuprate e uccise, su cui noi tutte e tutti siamo indotte/i giustamente a piangere, morti un insondabile numero di giovani soldati del paese aggressore, che devono rimanere invisibili perché aggressori, perciò militi ignoti. Gli abitanti occidentali si sono autoconvinti che è immorale non schierarsi, che se qualcuno/a, dopo aver commiserato le vittime del paese aggredito e aver giustamente pianto su donne, anziani/e e bambini/e, prova ad accennare un tentativo di analisi delle ragioni, dei contesti, delle storie, viene immediatamente tacciato da sostenitore degli aggressori, o catalogato come spietato, anaffettivo, crudelmente e stupidamente ‘equidistante’. In un mondo complesso è vietata la complessità.

Sembra ritornata la guerra fredda, il muro di Berlino è ancora lì a dividere l’Occidente ‘democratico’ e il blocco sovietico e comunista, e perciò spietato e dispotico. Non importa che il comunismo non ci sia più, non importa che Putin pensi a un progetto da grande madre Russia zarista, il comunismo è in agguato, esiste come ricordo, e al democratico Occidente coloniale, saccheggiatore, responsabile di stragi e finanziatore di guardie costiere contro i migranti viene “naturalmente” e per procura affidato il compito di far rispettare i valori della civiltà e della democrazia. A questi valori ‘occidentali’ ultimamente sono stati annessi anche i paesi cosiddetti sovranisti e messe sotto silenzio le loro crociate contro la libertà delle donne, i diritti di persone lgbtqi, le aspirazioni di persone migranti che muoiono durante la rotta balcanica e nel mare Mediterraneo. Ma perché tutto questo possa consistere e costruirsi egemonicamente c’è bisogno di un contesto materiale, culturale, sociale, ideologico. Simbolico. Si chiama patriottismo, amor di patria, eroismo, e poggia su un grumo di affari, finanza, ideologia: il militarismo. Il militarismo è un sistema pluricomprensivo: si manifesta come una forma mentale, un complesso di atteggiamenti, un modo di vestire, un insieme di gesti, un linguaggio. Ha bisogno di organismi statuali e civili, di fabbriche di armi sempre più aggiornate e supportate economicamente, di istituzioni che ne facciano richiesta, e soprattutto si avvale di una impostazione sociale basata sulle gerarchie. Insomma il militarismo ha bisogno di dispositivi e di carriere. Di ordine e di obbedienza.

Abbiamo studiato a scuola che Roma e il suo impero, e quindi la storia occidentale, nascono da un eroe profugo per volere degli dei, e si fondano su un fratricidio, assumendo man mano caratteri di un imperialismo volto a integrare, cooptare, premiare o punire un occidente colonizzato; il quale, una volta consolidato, si volge a impostare una politica coloniale anche per i suoi colonizzati, dandosi leggi per dominare, armi, sistemi di governo, eserciti.

Ma la storia ci insegna che possiamo opporci al militarismo, non solo con l’obiezione individuale di coscienza, ma anche con una forma generale di contrasto, di sottrazione. Con la diserzione. Ebbene, sì, ci sono uomini ucraini che si sottraggono oggi all’obbligo di arruolamento. Non sono traditori, non sono vili, sono disertori.

E c’è una forma di diserzione strutturale, ideale, culturale, definita, proposta, praticata. Quella del femminismo, della non violenza e della cura, quella che decostruisce il mito dell’eroismo, del nazionalismo, della patria e, quindi, del militarismo che ne è il sostegno. Giacché la patria è l’insieme dei maschi che hanno bisogno delle armi di offesa e difesa. È il patriarcato in armi, anzi è il sostegno ideologico del patriarcato, del potere sui corpi e sulle menti, della sopraffazione, del dominio. La diserzione, che veniva punita negli eserciti con la fucilazione e che viene considerata supremo atto di viltà, ebbene la diserzione non è la resa individuale, deve diventare sottrazione di massa, rifiuto di esporre il proprio corpo e la propria mente sia alla uccisione subita o perpetrata, sia ai meccanismi ideologici e mentali che sottendono al militarismo. Pensiamo ai linguaggi, ai ‘corpi d’armata, ai ‘corpi’ dell’esercito, allo spirito di ‘corpo’: ebbene, occorre sottrarre il corpo, oltre che la mente, ai meccanismi del militarismo. Il corpo è fatto per l’abbraccio, per l’amore, per guardarsi, per toccarsi, per le carezze, per la cura.

Cominciamo a parlarne nelle scuole, che spesso aprono le porte alla propaganda dell’arruolamento nei ‘corpi’ militari. Cominciamo a pensare agli eserciti come gruppi che salvano le persone nei terremoti, cominciamo a proporre corsi di formazione antimilitarista. Decostruiamo i miti della patria e dimostriamone la connessione con le armi e con gli eserciti. Come donna non ho patria, la mia patria è il mondo intero, scriveva Virginia Woolf, dimostriamo come le guerre siano strumenti di potere della società maschile, in cui purtroppo sono state cooptate donne sotto lo scudo di una emancipazione omologante. La guerra è un grande imbroglio scrive la Cassandra di Christa Wolf, che si rifiuta di seguire Enea nella sua avventura di fondare l’impero romano.

Il femminismo nasce come decostruzione dell’universalismo maschile, come sottrazione alle appartenenze familiari e nazionali, come elogio delle differenze. Durante le guerre dell’ultimo Novecento molte di noi hanno attraversato territori e stati in guerra, decostruendo confini e frontiere, costruendo legami e relazioni tra donne di paesi ‘nemici’, nella ex Jugoslavia, in Palestina. Ho letto un potente documento di Non Una di Meno per l’ultimo otto marzo, dedicato alla critica delle guerre, alla decostruzione delle armi e del militarismo. Facciamolo vivere nelle pratiche, nelle piazze, nella politica. Riprendiamo la critica della guerra di Rosa Luxemburg, l’idea della Convenzione permanente contro le guerre di Lidia Menapace.

Femminismo e trans femminismo sono nati e vivono per cambiare il mondo. Esercitiamo queste pratiche anche nella “grande” politica. Proponiamo che le manifestazioni contro questa guerra non si scindano nella ridicola (e offensiva) accusa della equidistanza da parte di chi in parlamento vota per l’invio di armi e per il riarmo, per l’esercito europeo, ma vengano impostate sulla sottrazione e sulla pratica della diserzione. Di fronte alla visione dei corpi feriti, mutilati, straziati rispondiamo con la sottrazione generale, questa sì equidistante, dei corpi viventi.

Imma Barbarossa

23/3/2022 https://transform-italia.it

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