ENDO…CHE? L’invisibilità dell’endometriosi

Quando parli di endometriosi, le persone ti guardano come se tu fossi un alieno, non hanno idea di cosa tu stia dicendo e ti chiedono “ENDO…CHE? Ci sono enormi difficoltà se si parla con chi non sta vivendo una situazione del genere perchè potrebbe non riuscire a comprendere una malattia di cui non vede gli effetti.

Di questa patologia se ne parla ancora troppo poco pur essendo molto diffusa: una donna su 10 ne è affetta. Si stima che in Italia ci siano circa 3000000, in Europa 14000000 e nel mondo 176000000 donne che ne soffrono. E’ una malattia femminile, dolorosa ed invisibile (perché se non si vede non esiste) che molto spesso la società tende a minimizzare, ignorare o addirittura a deridere. Tutto ciò è anche a causa dei tabù che ruotano attorno alle mestruazioni, ai rapporti sessuali.

Ed è per questo motivo che le donne se ne vergognano di parlarne ma bisogna farlo perché si deve rompere il silenzio, abbattere il muro dell’ ignoranza e far conoscere a tutti questa patologia con le sue gravi ripercussioni sulla qualità di vita. Questa patologia si ripercuote pesantemente sulla qualitá di vita. I dolori non solo ti bloccano il corpo ma anche la mente. Inoltre, colpisce sia la sfera affettiva sia lavorativa che quella relazionale. Ti limita in molte cose, tante cose che facevi prima non puoi più fare, anche quelle più semplici come una camminata, fare la spesa,organizzare una cena ecc. Si pensa che sia impossibile vivere di dolore cronico, ma purtroppo, non è così: ti stravolge la vita, ti cambia, ti divora dentro e succhia le energie. E non è facile da accettare una malattia come questa, soprattutto se colpisce le parti del corpo più delicate e che esprimono la propria identità.

Il dolore non è una condizione di normalità, ma è il modo che ha il tuo corpo di inviarti un messaggio: ti sta avvisando che c’è qualcosa che non va. I sintomi sono variabili da donna a donna, quelli più frequenti sono: dolore pelvico, mestruazioni dolorose talvolta abbondanti, dolore durante i rapporti sessuali, dolore alla minzione e defecazione, difficoltà o urgenza ad urinare, stitichezza e/o diarrea, sciatalgia stanchezza cronica. I suoi sintomi vengono confusi con altri disturbi più comuni come ad esempio la sindrome del colon irritabile e ciò comporta un ritardo diagnostico in media di 7 anni il quale può creare innumerevoli e dolorosi danni come il peggioramento della qualità di vita, progressione della malattia con interventi mutilanti e conseguenze gravi(come resezione intestinale con stomia, nefrostomia, resezione vescicale, autocateterismo, uso di peristeen per andare in bagno, impiantare un neuromodulatore sacrale x recuperare le funzionalità viscerali, neurolisi ecc).

Ci sono donne che sono asintomatiche e si accorgono di averla solo perché non rimangono incinta. Nel 30/40% dei casi la malattia causa infertilità. Una pronta diagnosi e un trattamento tempestivo possono migliorare la qualità di vita e prevenire l’infertilità. Non tutti i ginecologi sono in grado di identificare l’ endometriosi ed è per questo che è molto importante rivolgersi ad un centro specializzato dove si troverà un’ equipe multidisciplinare. Gli esami necessari per la diagnosi sono eco transvaginale o eco 3d, risonanza magnetica. Non si guarisce e non esiste una cura.

La mia storia con l’ endometriosi è iniziata a 13 anni con i primi dolori durante le mestruazioni e con il trascorrere del tempo sempre peggio, il dolore ha iniziato ad essere costante e non solo durante tale periodo. Ho dovuto convincermi che fosse tutto normale e che non fossi io in grado di sopportare nulla perché così dicevano i medici. Mi sentivo ripetere che era tutto nella mia testa, che tutte le donne soffrono per le mestruazioni, di prendere l’ antidolorifico che passa tutto subito, che ero un’ esagerata e che fingevo. Una volta un medico, a 17 anni, mi disse di non fare la bambina, di essere donna che un giorno avrei partorito.

Questa frase mi è rimasta impressa nella mente. Per anni non mi sono sentita compresa e creduta, mi sembrava di essere pazza, di portare tutto all’eccesso. Spesso il dolore morale fa più male di quello fisico. Gli unici che mi hanno sempre sostenuta e creduta sono i miei genitori, litigavano con medici e professori per come mi trattavano. Vivevo chiusa in casa piangendo piegata dal dolore. Saltavo la scuola, e per gli insegnanti ero una studentessa nullafacente, avevo una bell’immaginazione ed erano solo tutte scuse per non fare i compiti in classe, le interrogazioni e l’ ora di ginnastica.

Innumerevoli erano le corse in ospedale, dalle quali venivo dimessa con una diagnosi errata. E da adolescente sentivo che la mia vita, imbottita di antidolorifici, stava prendendo un binario sempre più parallelo rispetto a quello delle mie coetanee.

Nel novembre 2011, ad un controllo, chiesi per la prima volta se potesse trattarsi di endometriosi, avevo fatto una ricerca su internet in base ai miei sintomi e mi risultò questa malattia. I due dottori presenti mi risposero che avrebbe potuto essere così, ma essendo seguita dal “grande capo” se ne sarebbe accorto.

A gennaio 2012, a causa di forti dolori tornai in ospedale e trovai uno dei due medici di novembre.
Il primario, colui che mi seguiva, a dicembre era andato in pensione e chissà come mai quel giorno mi arrivó la diagnosi (avevo 26 anni): endometriosi profonda 4° stadio del setto retto-vaginale.


Finalmente, anche se dopo tredici anni di ritardo, il mio dolore aveva un nome. Da una parte ero sollevata, dall’ altra ero molto spaventata perchè non sapevo cosa mi attendeva. A causa della gravità della mia situazione non posso avere bambini e mi sono sempre immaginata con una coppia di gemelli, dato che mio nonno paterno ne aveva uno. Questo è stato un dolore enorme.
Da allora ho avuto 7 interventi: 3 per endometriosi, 1 per ricanalizzazione intestinale per togliere la stomia e 3 di neuromodulazione sacrale (2 impiantando il provvisorio e 1 il definitivo) per dolore pelvico cronico, vescica ed intestino neurologici, neuropatia bilaterale del pudendo.

Tornare a casa con la stomia è stato un trauma: tre mesi d’inferno durante i quali ho fatto fatica ad accettarla, per un mese e mezzo circa mi sono rifiutata di pulire lo stoma e di cambiarmi il sacchetto da sola, lo faceva mia mamma. Solo al secondo mese ho iniziato ad accettarla, ad esserne consapevole, e a far tutto autonomamente. Non è facile adeguarsi a un ritmo di vita diverso, già l’endometriosi ti invalida tanto, e la stomia rappresentava un problema in più: star attenta che il sacchetto non si stacchi, svuotarlo spesso, cambiarlo, non sapere come vestirsi, far attenzione a ciò che si mangia ecc. In borsa avevo sempre il kit per le emergenze: sacchetto e maglia di ricambio, salviette, guanti. Il neuromodulatore sacrale è stata un’ altra bella sfida da accettare e conviverci: 8 mesi con il provvisorio, ovvero con fili e macchinetta esterni sulla pancia , non è stata una passeggiata, solitamente lo si tiene un paio di mesi. Mi sono sentita un peso, non ero autonoma: non potevo nemmeno farmi una doccia, mi lavava a pezzi mia mamma. Dovevo poi stare molto attenta nei movimenti, a non alzare pesi.

Ripristinando la funzionalità del pavimento pelvico mediante la stimolazione nervosa, posso dire che sì, ti migliora la vita, se dovesse funzionare.

A novembre 2019 ho ridotto i cateteri da 5 a 1 e a marzo 2020 mi hanno tolto la terapia del dolore (da allora prendo antidolorifico solo al bisogno). Purtroppo, per intestino non ho risolto, continuo a prendere lassativi potenti ogni 3/4 giorni e ad avere ripetute infezioni che difficilmente riesco a debellare. 

Fondamentale rimane imparare a convivere col dolore, accettarlo e distinguere la nostra identità dalla malattia. Che, appunto, altro non è che una scomoda compagna di vita.

Il regalo più bello, infine, è essere accettate e non giudicate per una malattia che è cronica e invalidante, ma invisibile.

“Non cerchiamo attenzioni, né siamo ipocondriaci. Stiamo semplicemente cercando di vivere nel modo in cui il nostro corpo ce lo permette”. –

L’ endometriosi non è solo un problema delle donne ma dell’intera società.

Michela Masat

24/4/2021 https://www.intersezionale.com

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