Eternit, il massacro impunito. In Cassazione il Pg chiede la prescrizione della condanna. Nell’ambito dell’inchiesta Eternit che ha portato al processo, i morti sono stati oltre duemila – per mesotelioma pleurico, il tumore provocato dell’inalazione di polveri d’amianto – nei quattro stabilimenti italiani della multinazionale elvetico-belga e tra i cittadini di Casale Monferrato, Cavagnolo, nel torinese, Rubiera (Reggio Emilia) e Bagnoli (Napoli). Settecento i malati.

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Nella udienza della Cassazione odierna sul processo Eternit, il Procuratore Generale Iacovello ha chiesto l’annullamento della sentenza di appello che aveva condannato i proprietari e responsabili aziendali. Nel corso della requisitoria il Pg ha evidenziato le discrepanze tra la sentenza di primo e di secondo grado. “La divergenza -ha detto- è sul momento consumativo del disastro. In primo grado si è detto che il disastro cessa quando la bonifica degli ambienti è stata interamente completata; in secondo grado i giudici hanno detto che il disastro termina nel momento in cui non ci saranno morti in eccedenza sostenendo, in pratica, che finchè dura la malattia dura il disastro”.
Parlando della tesi accusatoria portata avanti in tutti questi anni dal procuratore aggiunto di Torino Raffaele Guariniello il Pg della suprema Corte ha sottolineato come l’accusa abbia fatto “un percorso pionieristico, facendo rientrare le morti come eventi del disastro”. Un ragionamento diverso da quello seguito dal sostituto procuratore generale Iacoviello che nella sua requisitoria ha fatto capire che, a suo modo di vedere, le morti non fanno parte del concetto di disastro.

Nella sua arringa l’avvocato Sergio Bonetto, che difende i familiari di 400 parti lese per le morti dovute all’amianto, e difende anche l’associazione italiana esposti amianto (Aiea) e l’Associazione familiari e vittime amianto (Afeva) oltre a Legambiente,ha sostenuto che di amianto si continua a morire e che il picco dei decessi è previso per il 2025.
Nell’ambito dell’inchiesta Eternit che ha portato al processo, i morti sono stati oltre duemila – per mesotelioma pleurico, il tumore provocato dell’inalazione di polveri d’amianto – nei quattro stabilimenti italiani della multinazionale elvetico-belga e tra i cittadini di Casale Monferrato, Cavagnolo, nel torinese, Rubiera (Reggio Emilia) e Bagnoli (Napoli). Settecento i malati.

Tra le prime reazioni quella della Cgil. “Le motivazioni adottate dal Procuratore sconcertano e rischiano di scatenare effetti ben oltre i territori coinvolti”. Il procuratore ha sostenuto l’annullamento in quanto i fatti risalirebbero agli anni ’70 e quindi prescrivibili. La Cgil ricorda a questo proposito che le sentenze di primo grado e di appello avevano stabilito che si trattava di ‘disastro ambientale doloso permanente’ e che le cause sono tutt’ora vive ed operanti “e continueranno a determinare effetti disastrosi per le persone coinvolte”. “L’auspicio quindi – conclude la Cgil in una nota – è che la Corte non accolga tale richiesta, i lavoratori e i cittadini continueranno comunque a richiedere giustizia”. Sulla vicenda è intervenuto anche il segretario del Prc Paolo Ferrero. “La richiesta di annullamento delle condanne per gli imprenditori criminali dell’Eternit, i quali hanno ucciso migliaia di lavoratori e cittadini per la pura ricerca del loro profitto, è a tutti gli effetti una istigazione a delinquere. E’ la promessa dell’impunità per gli assassini criminali: purché il reato sia molto grande e fatto da ricchi e potenti. Mancano le parole di fronte ad una richiesta così enorme che dimostra solo che i lavoratori e i cittadini sono carne da macello e che questa giustizia ha con ogni evidenza due pesi e due misure.”
Alla vicenda sono stati dedicati oltre quarant’anni di ricostruzioni. Su tutto, si ricorda l’enorme lavoro svolto dal procuratore aggiunto di Torino, Raffaele Guariniello. Il suo impianto accusatorio è stato convalidato sia dal Tribunale di Torino (febbraio 2012) che dalla Corte d’appello (3 giugno 2013). I giudici della Prima sezione penale dovranno decidere se confermare o meno la condanna a 18 anni di reclusione per disastro ambientale doloso all’unico imputato rimasto nel processo: il miliardario svizzero Stephan Schmidheiny. Nei due precedenti gradi di giudizio, venne giudicato con il barone belga Louis de Cartier de Marchienne, morto prima della conclusione del processo d’appello. In primo grado tutti e due erano stati condannati a 16 anni di reclusione.

Fabrizio Salvatori

19/11)2014 www.controlacrisi.org

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