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    Altra Informazione, Ambiente e salute, Blog, Cronache di Lavoro, Cronache Politiche, Cronache Sindacali, Cronache Sociali, Culture, Politiche di Rifondazione, sanità e salute — Luglio 11, 2016 7:07 am

    Sul lavoro e dopo, quando gli stereotipi che ci iniettano ogni giorno determinano i comportamenti, diventiamo come ci vogliono: ignoranti e complici. Ecco perchè ci dicono: voi che non state “in alto”, dovreste umilmente convincervi che in fondo state bene così. La vostra condizione peggiora, beh, è colpa vostra perché non siete competitivi. Morite prima, di scarsa salute, precarietà, incidenti sul lavoro? Fatevene una ragione, é destino, è la legge dei più forti. Imposta per legge di lorsignori. Abbracciamo la lotta contro i mali che ci opprimono

    Figli della stessa rabbia

    Pubblicato da franco.cilenti

    rp_luglio2016.jpg

    L’attuale scena politica ha, rispetto alla mancata realizzazione dell’individuo, una qualità giudicante e punitiva, oserei dire “persecutoria”: chi non concretizza “non ha fatto abbastanza”, “non vale abbastanza” e sempre più recentemente “non si sa integrare nel sistema”. Il messaggio rivolto a chi è in difficoltà diventa gambizzante, inibitorio.

    Il maltrattamento subito dall’Uomo e dalla Donna ad opera del sistema centrato sul profitto lo porta alla depressione. Ogni vissuto di denigrazione favorisce una percezione di prostrazione che si manifesta con comportamenti ora passivi e rassegnati ora aggressivi in modo manifesto o mascherato. La cura sociale della depressione è lo psicofarmaco che seda ulteriormente ogni spinta alla trasformazione, ogni ricerca di risorse dell’individuo e perciò della collettività.

    La rabbia è l’espressione più evidente del vissuto di denigrazione e maltrattamento. C’è quella impotente, reattiva, quella di chi urla in auto, di chi litiga con tutti, di chi non crede ad un cambiamento possibile perchè ha perso ogni fiducia in se stesso con sentimenti di profonda impotenza; porta a patologie del cuore, del fegato, muscoloscheletriche e sessuali ; la seconda è volta alla protezione dell’ego dall’attacco dei vissuti mortificanti e non accetta il soppruso lotta per evadere dal contesto sociale controllante, dà forma alla protesta in tante sue forme; considera la rivoluzione del contesto sociale come motivo di vita, oggetto con potenzialità trasformative, risolutive della felicità fantasticata, unica possibile, lontana dal reale, foriera di delusione e disillusione. Nell’individuo e nel gruppo rimane il dubbio di star seguendo la strada giusta dopo tanto sacrificio e per scappare dal sospetto d’errore il soggetto agisce nuove rigidità e assolutezze e nuova rabbia si autoalimenta.

    La scena politica italiana toglie quotidianamente voce, dignità, densità, intensità al pensiero di-verso che viene continuamente squalificato, svilito. Al giovane, al lavoratore, all’anziano che protesta il rappresentante governativo fa un buffetto disconfermante laddove per “disconferma” s’intende il comportarsi come se chi protesta non esistesse, non avesse proferito parla. Se in passato il politico italiano coltivava deliri di onnipotenza cavalcando il bisogno di esistere dell’individuo, negli ultimi tempi la nuova gestione si comporta con il cittadino in modo da causare reazioni autistiche di assenza di percezione di sè. Come il bambino autistico l’Uomo e la Donna cittadini di questo sistema sono senza voce e si chiede loro di non vedere, non sentire, non percepire l’assurdo. La reazione a lungo andare è di ritiro dentro una “fortezza vuota”, come la chiama Bruno Bettelheim, in cui le relazioni tra pari diminuiscono e diventano sempre meno eficaci; manca il contatto, lo sguardo, l’ascolto e la comunità si ammala e perde la funzione di sostegno vicendevole.

    L’attuale giurisdizione carica di Ego lo semina e ci troviamo in un contesto in cui tutti ritengono di aver ragione e confliggono aspramente perdendo di vista obiettivi e benessere sociale. Vince chi governa e tutti gli altri stanno zitti e se parlano è sufficiente togliere il volume. Assistiamo allo sgomento del ribelle ridicolizzato, alla politica della berlina, del dileggio che fà sì che la rabbia prima imploda e poi esploda.

    I crimini insorgono nella famiglia, nella coppia, nel gruppo di pari come se anche per delinquere si scegliesse di farlo in un luogo protetto, in un luogo in cui il debole lo è solo un pochino più del criminale. Sembra mancare nel malfattore l’imperturbabilità dell’attacco fuori dal nido. Vige la violenza privata, il femminicidio, la violenza sessuale rivolta a ragazzine indifese, la baby gang aggredisce teen agers dello stesso quartiere: l’esterno è più pericoloso dell’interno perchè fuori si vive in ambiente altro, estraneo, straniero, estraniante.

    Curiosamente l’informazione dà forma alla paura dentro il luogo intimo come ad alludere alla necessità di guardarsi dal vicino, dal fratello, dal compagno e lasciar lavorare alle cose grosse chi sà. Il governante è diventato più distante, irraggiungibile, diverso dal cittadino, è un orco cattivo, appartiene ad un’altra realtà.

    Nella maggioranza dei casi se fuori ci sono gli orchi l’Uomo e la Donna perdono il coraggio di essere. Non credono più a quelle che intendono come favole. Questa è la nuova malattia sociale: non credere più di poter vincere contro gli orchi.

    Resistono sparuti gruppi di resistenti. All’inizio del loro percorso di lotta si sentono illuminati, poi soffrono perchè quell’idealizzazione sociale e relazionale, investimento vitale, è deludente. Qualcuno riesce a imporre una rappresentanza. Il cittadino attivo lotta per far esistere un pensiero dal basso, cade in contraddizione, diventa teorico, lotta per crescere ma è troppo assoluto e puro per relazionarsi, la sua rabbia è istinto di sopravvivenza, ricerca di soluzioni, modo di essere visibili, esistere, trasformare. È una rabbia passionale che spesso frana nella farraginosa burocrazia della purezza, costantemente in conflitto con il proprio pari, perchè è dal simile che si sentono traditi.

    Quale cura? La consapevolezza. Il conoscere e capire, la crescita personale, l’esplorazione, la ricerca di nuovi linguaggi, l’apertura, la commistione, la leggerezza, l’amicizia, il sesso responsabile, ascolto, contatto, sguardo, la costruzione di realtà altre senza avere troppe aspettative, l’autonomia dei contesti… lontani da fortezze, in cerchio.

    Deborah Carta

    Psicologa, psicoterapeuta

    Pubblicato nel nuovo numero del Periodico Lavoro e Salute

    www.lavoroesalute.org

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    Autore: franco.cilenti
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