Finalmente seduto al tavolo di un bar

Dopo mesi di clausura forzata, io che con gli ambienti di clausura non sono mai andato d’accordo, mi sento per la prima volta di nuovo libero. Quasi libero.

Libero, di nome non di fatto, è il noioso giornale che sto leggendo. L’unico presente nel bar. Ma, rimpiangendo Liberazione, lo leggo per la semplice e piacevole sensazione di leggere un qualsiasi giornale al bar, con calma, sorseggiando una birra sgasata, l’unica presente nell’ormai fallimentare bar. Una quasi-birra. Corona.

Sto leggendo un trafiletto che mi ricorda la vicenda giudiziaria di un tizio, sprovveduto, che pare speculasse su foto compromettenti per ottenere “donazioni” in cambio delle stesse. Fino a che non fotografò le persone sbagliate, su una imbarcazione illuminata a festa. Tale Fabrizio. Corona.
Vengo distratto dalle risate di un paio di migranti che stanno scendendo le scale dell’albergo adiacente al bar, albergo di una famosa catena ormai in rovina. Corona.

Hanno iniziato la clausura molti anni prima di me. Ammiro la loro capacità di ridere in faccia alle avversità mentre io sono sempre più angosciato da ciò che ci aspetta. Li conosco di vista perciò mi limito ad un fischio ed una alzata di birra. Capiscono il cenno e si siedono con me.
Faccio un cenno al barista. Un tizio dai capelli a spazzola e le sopracciglia curate che un attimo fa era professionalmente cordiale, ora è tanto corrucciato che pare gli sia morto qualcuno. È vestito di nero, con una t-shirt di marca. Ha pure un tatuaggio sul braccio destro, della medesima marca: una corona.

La giornata prosegue calma nel caldo estivo, tra una faticosa chiacchierata in inglese e qualche accenno di musica da youtube, mentre tra i miei pensieri si insinua lentamente un dubbio:
C’è solo un “corona” di cui non si parla, ma che potrebbe essere lì, nell’ombra, che si prepara a fare danni, dare forza all’imbarbarimento sociale, e magari tra qualche anno tornare fuori all’improvviso, troppo sottovalutata dalle masse per essere fermata in tempo… e non credo d’essere eccessivo nel paragonarla ad un virus.

Delfo Burroni

Tortona 16/7/2020

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