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Commenti di Mauro Biani

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    Uncategorized — Settembre 3, 2015 10:32 am

    Delle infernali condizioni di lavoro di chi lavora nelle campagne, se n’è, per fortuna, iniziato a parlare: 12 ore sotto un sole rovente che frigge le membra, paghe da fame al di sotto della sopravvivenza, sistemi di stretto controllo sulle proprie vite per assicurare alle aziende una manodopera quanto più docile e mansueta. È ora di cambiare! E il cambiamento arriva solo se siamo noi a volerlo… domani 4 settembre a Foggia partecipiamo tutti e tutte al corteo cittadino ‘per dire no allo sfruttamento e al razzismo’. Pubblichiamo l’appello alla mobilitazione di Campagne in Lotta.

    Foggia. Manifestazione dei braccianti agricoli contro sfruttamento e razzismo

    Pubblicato da franco.cilenti

    donne nei campi

    CORTEO CITTADINO VENERDì 4 SETTEMBRE ORE 15 , VIA MANFREDONIA-PIAZZALE ANTISTANTE AL CIMITERO DI FOGGIA

    Nelle ultime settimane media e politici hanno tanto speculato sulla situazione del lavoro bracciantile, richiamando alla legalità come strumento di prevenzione dello sfruttamento veicolato dai caporali. In realtà, l’approvazione del decreto “Campo Libero” contiene in sé la negazione di tali intenti. La creazione della “Rete del lavoro agricolo di qualità” infatti prevede l’esenzione sostanziale dai controlli per le aziende che non hanno subito sanzioni in precedenza e che aderiscono alla rete, di fatto proteggendo le grandi imprese che controllano la filiera. Il capitale che si produce attraverso lo sfruttamento selvaggio viene ancora una volta salvaguardato dalle leggi dello stato, mentre il problema strutturale è mascherato accanendosi soltanto sul caporalato. Si parla tanto di schiavi e caporali ma nulla viene fatto per disinnescare i meccanismi generali su cui si basa lo sfruttamento in agricoltura: da una parte le politiche migratorie che creano marginalità e ricattabilità e dall’altra una filiera agroalimentare controllata dalle multinazionali della Grande Distribuzione Organizzata che schiacciano produttori, trasportatori e lavoratori. Non ci sono ancora soluzioni reali per il rispetto dei minimi contrattuali che già prevedono ad esempio la gratuità del trasporto, la paga oraria, il diritto alla disoccupazione. Nulla si dice sulle difficoltà, per i lavoratori e le lavoratrici migranti, di ottenere documenti e residenza, fatto che li rende completamente ricattabili e alla mercé dei padroni. Come ci insegna la lotta dei facchini, questi non sono per noi i punti di arrivo ma punti di partenza per ribaltare i rapporti di forza, cominciando dall’esigere un minimo di garanzie per chi, oggi, si spacca la schiena per 3,50 euro a cassone.

    L’esperienza insegna: le istituzioni, complici delle aziende e della grande distribuzione, non concederanno mai nulla spontaneamente, neppure il rispetto delle leggi. Per questo bisogna mobilitarsi, portare avanti un’azione collettiva di tutti i lavoratori e tutte le lavoratrici, per sbattere in faccia a chi fa profitti sullo sfruttamento che nessun pomodoro può essere raccolto senza le nostre braccia. Il corteo di venerdì vuole essere un momento concreto in cui esigere:

    • Permesso di soggiorno per tutti i lavoratori e le lavoratrici.
    • Residenza per tutti i lavoratori e tutte le lavoratrici.
    • Rispetto dei minimi contrattuali previsti dal contratto provinciale.
    • Fornitura di servizi per i lavoratori e le lavoratrici: casa, acqua e trasporto gratuiti dall’abitazione al posto di lavoro.

    La responsabilità è di chi trae profitto da questo sistema di sfruttamento : i commercianti all’ingrosso e al dettaglio e le industrie agroalimentari favorite dalle istituzioni. E’ da loro che pretendiamo risposte. Per questo il 4 settembre saremo in piazza, uniti senza distinzione di nazionalità, per dire no allo sfruttamento e al razzismo che divide la classe lavoratrice.

    LIBERIAMOCI DALLO SFRUTTAMENTO!

    Rete campagne in lotta – comitato dei lavoratori delle campagne (tel. 3661299942)

    3/9/2015 http://clashcityworkers.org/

    ————————————

    A proposito delle nuove schiave del sud Italia

    Leggete questa inchiesta di Repubblica. Non scopre nulla di nuovo, e però segnala, a proposito dei casi degli ultimi giorni, molte cose interessanti. Innanzitutto che nei campi lavorano molti italiani, anzi italiane, meridionali. Come in altri settori del lavoro, le donne vengono identificate come soggetti più passivi, perché più prese in reti familiari, più terrorizzabili…

    Ma non solo: che le donne vengono scelte in molti casi perché gli immigrati si ribellavano, chiedevano migliori condizioni di lavoro, e facevano rimettere soldi ai padroni. Cosa che ci dimostra come gli immigrati non siano soggetto debole e da tutelare, ma compagni di lotta che spesso stanno anche più avanti di noi.

    Certo, non stiamo qui a stupirci o inorridirci perché lo sfruttamento più spietato e odioso ha preso a selezionare altri tipi di vittime. Perché ora sono italiane, donne italiane a finire nel tritacarne, e non solo immigrate e immigrati. Questa differenza non ha alcun senso per noi che rifiutiamo in blocco ogni forma di sfruttamento di qualsiasi uomo e donna su qualsiasi uomo e donna.

    E tuttavia tutto questo di senso sembra averne molto per chi su queste differenze continua a fare soldi, tanti soldi. I padroni dei campi, come altri datori di lavoro in altri settori, ricorrono spesso a queste strategie: ci dividono in base a demarcatori sociali, se così possiamo chiamarli, usano le nostre differenze di sesso, età, provenienza e religione a loro vantaggio, selezionando le categorie di volta in volta più vulnerabili, che determinate circostanze storiche hanno reso tali, per metterci gli uni contro gli altri e avere una manodopera sempre più docile, flessibile, ricattabile e fare soldi…

    Se oggi molte nostre mamme, sorelle e figlie italiane sono le nuove schiave dei campi evidentemente le loro condizioni sono precipitate a tal punto da renderle estremamente docili e mansuete. Donne doppiamente schiacciate, da una parte da reti familiari, che la crisi ha iniziato a sfilacciare ma che si basano ancora prevalentemente sul loro lavoro di cura non pagato e dall’altra dal carico di un lavoro disumano a cui sono costrette a ricorrere proprio per compensare questo sistema di welfare nostrano in frantumi, tanto che è sufficiente la minaccia ‘domani resti a casa’ per renderle ancor più controllabili.

    Le circostanze possono cambiare repentinamente, possiamo trovarci da un giorno all’altro a negoziare condizioni di vita assurde che pensavamo lontane anni luce, che credevamo potessero appartenere a ‘qualcun altro’ ma non a noi. Evidentemente ‘qualcun altro’ e noi siamo più vicini di quanto pensiamo.

    Allora forse quando sentiamo storie atroci di sfruttamento sugli immigrati non possiamo più pensare che tutto questo non ci riguardi… le loro storie sono le nostre storie. E allo stesso modo il loro coraggio deve diventare il nostro coraggio. Molti nostri amici immigrati hanno iniziato a dire ‘basta!’, hanno iniziato a rifiutare queste condizioni di vita e di lavoro inumane. Per questo i padroni si sono messi alla ricerca di nuovi schiavi e schiave che possano facilmente rimpiazzare chi ha iniziato a ribellarsi a questo stato di cose.
    Dobbiamo rompere questo giochetto dei padroni e lo possiamo fare solo se in questa lotta ci siamo tutti, e uniti.

    24/8/2015 http://clashcityworkers.org/

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    Autore: franco.cilenti
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