Garantire i diritti fondamentali alle donne in fuoriuscita dalla violenza

Anche il 2022 è stato segnato dai femminicidi: 120 le donne uccise, di cui l’ultima in ordine temporale il 24 dicembre.
Una scia di sangue che non accenna a fermarsi: sono già 5 e non è ancora finito neppure il primo mese del 2023.
50mila donne si rivolgono ogni anno ai centri antiviolenza, ma una volta fuori da questi centri si trovano troppo spesso a fare i conti con diritti fondamentali del tutto negati, in particolare quelli economici e sociali.
Garantire questi diritti significa concretamente assicurare un reddito sufficiente, un alloggio sicuro e sostenibile, un lavoro dignitoso e l’accesso a servizi pubblici ben funzionanti.
Il nostro Paese non si è ancora dotato di politiche e interventi strutturali, integrati ed adeguatamente finanziati in grado di sostenere a 360 gradi le donne che subiscono violenza.
Si procede ancora con un approccio frammentario e sostanzialmente emergenziale, un approccio che caratterizza la normativa antiviolenza e di conseguenza anche gli interventi per promuovere l’indipendenza economica e sociale delle donne.

A fare il punto su politiche e interventi a favore delle donne che subiscono violenza è un rapporto di Actionaid dal titolo “DIRITTI IN BILICO Reddito, casa e lavoro per l’indipendenza delle donne in fuoriuscita dalla violenza”.

Dal 2015 al 2022 l’Italia ha speso complessivamente 157 milioni di € per supportare le donne nel percorso di fuoriuscita dalla violenza, di cui: circa 20 mln di € per misure di sostegno al reddito, 124 mln di € per interventi di re/inserimento lavorativo e 12 mln di € per favorire l’autonomia abitativa.
Purtroppo, come si diceva, siamo ancora in presenza di un approccio frammentario e sostanzialmente emergenziale che caratterizza la normativa antiviolenza e anche gli interventi per promuovere l’indipendenza economica e sociale delle donne scontano tali limiti.
Il dossier di Actionaid passa in rassegna gli interventi fin qui messi in campo sia a livello regionale che nazionale, evidenziando come la Sardegna sia stata la prima regione ad adottare nel 2018 una misura di sostegno al reddito specificatamente rivolta a donne in fuoriuscita dalla violenza, denominata “Reddito di libertà”, prevedendo un sussidio mensile di 780 € per massimo 3 anni.
Nello stesso anno, il Lazio ha istituito il “Contributo di libertà”, destinando alle beneficiarie massimo 5.000 € una tantum.
Anche altre amministrazioni regionali hanno previsto percorsi specifici per supportare economicamente le donne in fuoriuscita dalla violenza, come- per esempio- la Regione Puglia con il “Reddito di dignità”.
Nel 2020 è stato, invece, il Parlamento italiano a istituire il “Reddito di libertà nazionale”, allocando fino ad oggi una quota complessiva di 12 mln di € e permettendo a 2.500 donne di beneficiarne (da rilevare che, solo nel 2020, l’Inps ha registrato 3.283 richieste di contributo).
Una “goccia nel mare”, se si pensa che, secondo l’Istat, sarebbero circa 21 mila all’anno le donne inserite in percorsi di fuoriuscita dalla violenza che potrebbero beneficiare di misure di supporto al reddito.
Per promuovere la partecipazione delle donne che hanno subito violenza al mercato del lavoro, nel periodo 2015- 2022, l’Italia ha stanziato complessivamente circa 124 mln di € finanziando tirocini, borse lavoro, corsi di formazione, attività di orientamento e tutoraggio, sgravi contributivi per l’assunzione e fondi per il microcredito per favorire l’autoimprenditorialità.
Nessuno di questi interventi è stato però finanziato in modo strutturale. Nel 2015, per il mantenimento dell’occupazione, sono stati attivati anche due strumenti strutturali: il congedo indennizzato per vittime di violenza -per cui sono allocati in media circa 12 mln annui- e il ricollocamento per le dipendenti della Pubblica Amministrazione senza nuovi oneri per la finanza pubblica. Tuttavia, come evidenzia Actionaid, le politiche e gli interventi per favorire la ricerca o il mantenimento dell’occupazione spesso non rispondono ai bisogni specifici delle donne che hanno subito violenza e non tengono conto delle molteplici barriere che incontrano nell’accesso al mercato del lavoro.

Le donne vittime di violenza hanno poi una probabilità quattro volte superiore rispetto alle donne in generale di vivere situazioni di disagio abitativo. Le difficoltà che incontrano si aggravano in quei territori già provati da forme di marginalizzazione, esclusione, e fragilità socioeconomica e ambientale (es. aree interne, territori colpiti dal sisma). E, purtroppo, come annota Actionaid nel suo rapporto: “gli investimenti nazionali e regionali per promuovere l’autonomia abitativa di donne in fuoriuscita dalla violenza sono scarsi e gli interventi frammentari e spesso delegati ai centri antiviolenza”.

Il Rapporto elenca tutta una serie di iniziative che le diverse istituzioni a tutti i livelli dovrebbero porre in essere, a partire dalla necessità di acquisire una normativa nazionale con chiare indicazioni sugli interventi minimi da garantire a livello regionale in materia di sostegno al reddito, re/inserimento lavorativo e autonomia abitativa.
Una carenza, quella di una normativa generale, che determina forti squilibri in termini di opportunità offerte alle donne e rischia di ampliare i divari territoriali già esistenti o di crearne di nuovi.
E non manca neppure un accenno fortemente critico in tema di trasparenza, che fa scrivere ad Actionaid che ”la scarsa trasparenza delle Regioni non ha permesso di identificare tutte le risorse impiegate per il sostegno economico, lavorativo e abitativo delle donne in fuoriuscita dalla violenza, né ha consentito di tracciarne appieno l’utilizzo effettuato”.

Qui il Rapporto completo: https://actionaid-it.imgix.net/uploads/2022/11/Diritti_in_Bilico_2022.pdf

Giovanni Caprio

23/1/2023 https://www.pressenza.com

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