Genocidio tramite ricetta

 

La classe operaia bianca, negli USA, è stata decimata da un’epidemia di “morti premature”, un termine blando per coprire il calo della speranza di vita in questo gruppo demografico di importanza storica. Sono stati realizzati studi e rapporti riservati che descrivono alla lontana questa tendenza, ma le loro conclusioni non sono ancora entrate a far parte della coscienza nazionale, per ragioni che cercheremo di esplorare in questo lavoro.

Di fatto, questa è la prima volta nella storia dei “tempi di pace” del Paese che il nucleo del suo settore produttivo tradizionale ha sperimentato un declino demografico tanto drammatico e l’epicentro del fenomeno si trova nei piccoli paesi e nelle comunità rurali degli USA.

Le cause della “morte prematura” (morire prima della speranza di vita normale, generalmente in condizioni prevenibili) includono l’accentuato aumento dell’incidenza dei suicidi, le complicanze non curate del diabete e dell’obesità e, soprattutto, l’ “avvelenamento accidentale”, un eufemismo usato per descrivere quelle che sono, nella maggior parte dei casi, le overdose di medicinali su ricetta, di droghe illegali e l’interazione tra medicinali tossici.

Nessuno conosce il numero totale di decessi di cittadini statunitensi dovuti a un’overdose di farmaci e all’interazione fatale tra medicinali negli ultimi 20 anni, così come nessun organismo centrale ha tenuto il conto delle persone povere uccise dalla polizia in tutto il Paese, ma partiamo da una cifra tonda prudenziale di 500.000 vittime appartenenti alla classe lavoratrice, in maggioranza bianchi, e sfidiamo l’autorità a fornire delle statistiche autentiche, con definizioni reali. Il numero, di fatto, potrebbe essere molto più elevato, se si includono le morti causate dalla polifarmacia e da “errori di medicazione” che si verificano in ospedali e case di riposo.

Negli ultimi anni, decine di migliaia di statunitensi sono morti prematuramente a causa di overdose di farmaci e dell’interazione con altri medicinali tossici, per la maggior parte in relazione con medicinali narcotici per il dolore prescritti da medici o di altra provenienza. Tra coloro che sono deceduti per l’incremento degli oppiacei illegali, overdose principalmente di eroina, Fentanyl e metadone, la grande maggioranza era prima stata dipendente dai potenti oppiacei sintetici prescritti dalla comunità medica, distribuiti dalle grandi catene di farmacie e prodotti con margini di profitto incredibili dalle principali industrie farmaceutiche. Essenzialmente, questa epidemia è stata promossa, sovvenzionata e protetta dal Governo a tutti i livelli e riflette la protezione di un mercato medico – farmaceutico privato selvaggio che massimizza il profitto.

Tutto questo non è riscontrabile, a questi livelli, in nessun’altra parte del mondo. Per esempio, nonostante la sua inclinazione per l’alcool, l’obesità e il tabacco, la popolazione britannica di pazienti è stata risparmiata da questa epidemia, essenzialmente perché il suo sistema sanitario nazionale è regolato e funziona con un’etica differente: il benessere del paziente è valutato al di sopra dei meri profitti; tutto questo, probabilmente, non si sarebbe sviluppato negli Stati Uniti si fosse implementato un sistema sanitario nazionale unificato.

Di fronte alla crescente incidenza di decessi tra i veterani di guerra tornati da Afghanistan e Iraq per overdose, suicidio con farmaci oppiacei prescritti e reazione da mix di farmaci, a marzo del 2010 il Corpo di Sanità delle Forze Armate è stato convocato per “audizioni urgenti” dal Senato USA; le testimonianze hanno evidenziato che i medici militari, nel 2009, hanno rilasciato 4 milioni di ricette per potenti narcotici: un aumento di quattro volte rispetto al 2001. I membri della commissione, guidata dal senatore della Virginia Jim Webb sono stati attenti a non mettere in cattiva luce la grande industria farmaceutica che è tra i maggiori finanziatori delle campagne politiche.

L’immagine pubblica che ha scioccato il Paese negli anni Sessanta, del soldato tornato dalla guerra del Vietnam dipendente dall’eroina, si è trasformata in quella del veterano del nuovo millennio dipendente da Oxycontin / Xanax, grazie agli enormi contratti della grande industria farmaceutica con le Forze Armate USA e i mezzi di comunicazione di massa si sono voltati dall’altra parte. Suicidi, overdose e “decessi improvvisi” hanno ucciso molti più soldati dei combattimenti.

Nessun’altra popolazione pacifica, probabilmente dalle guerre dell’oppio del 1839, è stata così devastata da un’epidemia di droghe incoraggiata da un governo. Nel caso delle guerre dell’oppio, l’Impero britannico e il suo braccio commerciale, la Compagnia delle Indie Orientali, cercavano un mercato per le loro enormi coltivazioni di oppio dell’Asia meridionale e utilizzarono i loro militari e mercenari alleati cinesi per imporre una distribuzione di massa dell’oppio tra la popolazione cinese, stabilendo a Hong Kong un centro per il commercio imperiale dell’oppio. Allarmato dagli effetti distruttivi sulla sua popolazione produttiva, il governo cinese tentò di proibire o regolamentare l’uso dei narcotici; la sua sconfitta per mano britannica segnò il declino della Cina, che si trasformò in uno stato semicoloniale per il secolo seguente. Queste sono le vaste conseguenze dell’avere una popolazione tossicodipendente.

In questo documento, si identificheranno: 1) le conseguenze a lungo termine delle morti indotte da farmaci su vasta scala; 2) la dinamica della “transizione demografica tramite overdose”; 3) l’economia politica della dipendenza da oppiacei. Non saranno citati cifre o rapporti, poiché sono ampiamente disponibili, pur essendo dispersi, incompleti e in generale privi di una struttura teorica utile a comprendere o affrontare il fenomeno.

Concluderemo discutendo se ciascuna “morte per ricetta” debba essere vista come una tragedia individuale, da piangere in privato o come un crimine delle corporation alimentato dall’avidità o anche come un modello su vasta scala del “darwinismo sociale” guidato dall’apparato decisionale di una élite.

Dall’avvento dei grandi cambiamenti politico-economici indotti dal neoliberismo, la classe oligarchica degli USA si scontra con il problema di una estesa popolazione di milioni di lavoratori emarginati e potenzialmente conflittuali, ex membri declassati della classe media, resi superflui dalla “globalizzazione” e di una popolazione rurale di poveri che affonda sempre più nella miseria. In altre parole, quando il capitale finanziario e le élite governanti vedono crescere una popolazione “inutile” di lavoratori bianchi, impiegati e poveri in questo contesto geografico, quali misure “pacifiche” possono essere adottate per facilitare e promuovere il suo “declino naturale”?

Un modello simile era emerso agli inizi della crisi dell’AIDS, quando il governo di Reagan ignorò deliberatamente le morti in aumento tra i giovani statunitensi, specialmente tra le minoranze, adottando un approccio moralista volto a colpevolizzare le vittime, fino a quando l’influente e organizzata comunità omosessuale pretese che il governo agisse.

Escalation e portata delle morti da farmaci

Negli ultimi due decenni, centinaia di migliaia di lavoratori statunitensi in età avanzata sono deceduti a causa dei farmaci; la mancanza di dati reali è scandalosa ed è dovuta ad un sistema frammentato, incompetente e deliberatamente incompleto degli archivi medici e dei certificati di morte, specialmente nelle zone rurali più povere e nelle piccole città, dove non c’è praticamente alcun sostegno alla creazione e al mantenimento di archivi di qualità. Questa grande mancanza di dati ha molti aspetti e la sua risoluzione è ostacolata da problemi di carattere regionalistico e dall’assenza di una chiara direzione del governo in materia di salute pubblica.

Agli inizi della crisi medici e patologi erano in maggioranza propensi alla negazione e sottoposti a pressioni affinché certificassero i decessi improvvisi come “naturali dovuti a condizioni pregresse”, nonostante le incontestabili evidenze di prescrizioni esagerate da parte dei medici locali. Quindici o venti anni fa, le famiglie delle vittime, isolate nei loro piccoli paesi, potevano trovare un piccolo conforto a breve termine nel leggere il termine “naturale” abbinato alla morte dei loro cari; è comprensibile che una diagnosi di morte per overdose di sostanze comportasse una tremenda vergogna personale e sociale tra i membri delle famiglie rurali e delle piccole città della classe lavoratrice bianca che avevano sempre associato i narcotici con le minoranze urbane e con la popolazione criminale. Si credevano immuni da simili problemi della “grande città”; si fidavano dei “loro” dottori che, a loro volta, si fidavano della grande industria farmaceutica, la quale assicurava che i nuovi oppiacei sintetici non davano dipendenza e potevano essere prescritti in grande quantità.

Nonostante la crescente presa di coscienza di questo problema da parte della comunità medica locale, vi sono stati pochi tentativi pubblici di educare la popolazione in situazione di rischio e ancora meno tentativi di allertare i colleghi e le cliniche private per il trattamento del dolore circa l’eccesso di prescrizioni; queste cliniche, il loro personale infermieristico e le associazioni professionali non lo hanno fatto e neppure hanno consigliato i pazienti in merito agli enormi pericoli della combinazione di oppiacei e alcool o tranquillanti. Molti, di fatto, non erano neppure coscienti di ciò che altri prescrivevano ai loro pazienti. Non era raro vedere adulti giovani e sani con più ricette di diversa provenienza.

Negli ultimi decenni, sotto il neoliberismo, i budget sanitari delle contee rurali sono stati saccheggiati per mezzo di imprese promotrici di programmi di austerità. Al loro posto, il governo federale ha ordinato che fossero implementati piani assurdi e costosissimi per fare fronte al “bioterrorismo”. Spesso, i dipartimenti sanitari mancavano dei fondi per pagare le costose analisi tossicologiche necessarie a documentare i livelli dei farmaci nei casi di sospetta overdose tra la loro popolazione.

Ad aggravare ancora di più questa mancanza di dati validi, c’era l’assenza di qualsiasi orientamento o coordinamento da parte del governo federale e statale o della DEA regionale in relazione alla documentazione sistematica e allo sviluppo di un data base utilizzabile per analizzare le conseguenze dell’eccesso di prescrizioni di narcotici legali; la fase iniziale della crisi ha ricevuto un’attenzione minima da parte di questi organismi.

Tutti gli sguardi delle autorità erano concentrati sulla “guerra alla droga”, essendo questa portata avanti contro i poveri, contro le minoranze urbane; i piccoli paesi, dove i medici erano i pilastri delle chiese locali e dei country club, soffrivano in silenzio. Il grande pubblico era cullato dalla disinformazione dei media, che lo portavano a credere che la dipendenza e le morti a essa legate fossero un problema delle città, di quelli che richiedono le solite risposte razziste, consistenti nel riempire le prigioni di giovani neri e ispanici per piccoli reati o possesso di droga.

Ma in questo vuoto, i figli della classe lavoratrice bianca hanno iniziato a comporre il 911, perché “mammina non si sveglia…”; la mamma, insieme al suo cerotto di Fentanyl prescritto, ha preso solo uno Xanax di troppo e ha devastato un’intera famiglia. Questo è stato il prototipo della vorace epidemia; questi casi allarmanti aumentavano in tutto il Paese, alcune contee rurali hanno visto la proporzione di neonati dipendenti nati da madri dipendenti travolgere i loro sistemi ospedalieri impreparati e le pagine dei necrologi sui quotidiani locali pubblicare un numero crescente di nomi e volti giovani accanto a quelli degli anziani, senza alcun riferimento alla causa della morte prematura, mentre per gli ottuagenari ci si dilungava.

Le recenti tendenze dimostrano che le morti per farmaci (dovute sia a overdose di oppiacei, sia a interazioni fatali con altri farmaci e alcool) hanno avuto un forte impatto sulla composizione della forza lavoro locale, sulle famiglie, sulle comunità e sui quartieri; ciò è riscontrabile nelle vite dei lavoratori, la cui vita personale e lavorativa è stata pesantemente alterata dalla delocalizzazione delle fabbriche, ristrutturazioni aziendali, tagli dei salari e dei benefit sanitari. I tradizionali sistemi di supporto che fornivano aiuto ai lavoratori danneggiati da queste tendenze, quali sindacati, assistenti sociali e servizi di salute mentale sono stati o incapaci o privi della volontà di intervenire sia prima, sia dopo la comparsa del flagello della dipendenza.

La dinamica demografica della morte indotta da farmaci

Quasi tutti i rapporti pubblicati ignorano la demografia e la differenza di impatto in funzione delle classi sociali dei decessi relativi a farmaci prescritti; la maggioranza dei morti per droghe illegali era in precedenza dipendente da narcotici legali prescritti. Solo i decessi per overdose delle celebrità raggiungono i titoli dei media.

La maggior parte delle vittime è composta di persone con bassi salari, disoccupati o sottoccupati della classe lavoratrice bianca; le prospettive di futuro per questo tipo di persone sono tristi. Qualsiasi sogno di stabilire una vita famigliare in salute con un solo salario nel “cuore dell’America” sarebbe accolto da una risata. Si tratta di un’enorme fetta della popolazione nazionale che ha sperimentato un forte calo dei suoi standard di vita a causa della deindustrializzazione. Le vittime di overdose fatali sono in maggioranza maschi bianchi in età lavorativa ma c’è anche un’ampia proporzione di donne della classe lavoratrice, spesso madri con bambini. C’è stato pochissimo dibattito sull’impatto di un decesso da overdose di una persona in età lavorativa sulla famiglia allargata, che comprende le nonne sulla cinquantina; in questo segmento demografico, le donne spesso forniscono coesione e stabilità a diverse generazioni a rischio.

In apparenza, la popolazione statunitense appartenente alle minoranze è, per il momento, sfuggita all’epidemia. Neri e ispanici sono stati depressi ed economicamente emarginati per molto più tempo e il minore tasso di decessi per farmaci da ricetta fra la loro popolazione potrebbe riflettere una maggiore resilienza; sicuramente, riflette un minore accesso al settore medico privato tendente all’eccesso di prescrizioni, un lugubre paradosso per il quale l’abbandono medico potrebbe essere definito “benigno”.

Sebbene nel campo della sanità pubblica e nei dipartimenti di studi universitari sulle minoranze vi siano poche ricerche sociologiche basate sulle classi sociali che studiano e comparano le tendenze al decesso per overdose tra le minoranze urbane e rurali o le piccole città bianche, l’evidenza aneddotica e l’osservazione personale suggeriscono che le popolazioni urbane delle minoranze hanno più probabilità di fornire assistenza a un vicino o a un amico vittima di sovradosaggio rispetto alla comunità bianca, dove è più probabile che chi è dipendente da sostanze sia isolato e abbandonato da membri della sua famiglia che si vergognano della sua debolezza. Anche la pratica di abbandonare un amico vittima di overdose davanti ad un pronto soccorso per poi allontanarsi ha salvato molte vite; le minoranze si rivolgono più frequentemente (e quindi hanno maggiore familiarità) ai caotici reparti di pronto soccorso delle grandi città, dove il personale medico è esperto nel riconoscimento e trattamento delle overdose. Dopo decenni di lotte per i diritti civili, le minoranze sono probabilmente più disinibite nel far valere i loro diritti in relazione alla fruizione di tali risorse pubbliche; può anche esserci una cultura della solidarietà più forte nella prestazione di assistenza tra le minoranze emarginate o una maggiore coscienza delle conseguenze derivanti dal non portare un vicino al pronto soccorso; questi meccanismi di sopravvivenza urbana sono stati, in grande misura, assenti nelle zone rurali bianche.

A livello nazionale, i medici statunitensi sono stati a lungo scoraggiati dal prescrivere oppiacei sintetici potenti a pazienti appartenenti alle minoranze, compresi quelli affetti da dolori significativi; a ciò hanno contribuito diversi fattori, ma la comunità medica non è stata immune dallo stereotipo del tossicodipendente o dello spacciatore urbano ispanico o nero e forse, questo razzismo medico generalizzato, nel contesto dell’epidemia da prescrizione di oppiacei, ha portato qualche paradossale beneficio.

Qualunque sia la ragione, i dipendenti appartenenti alle minoranze urbane, anche se in molti sono colpiti da overdose, hanno maggiori probabilità di sopravvivere a un’overdose di oppiacei che i bianchi delle piccole città o delle zone rurali, poiché questi non hanno familiarità con gli stupefacenti e i loro effetti.

Nelle zone rurali e nelle piccole città (deindustrializzate) del cuore degli USA si è prodotta un’enorme rottura nelle comunità e nella solidarietà famigliare; ciò è avvenuto come conseguenza della distruzione di una base creatasi in un secolo di stabilità del lavoro, specialmente nei settori industriale, minerario, agricolo e manifatturiero. Solo la Russia post-sovietica ha sperimentato un modello simile di diminuzione della speranza di vita dovuto all’avvelenamento (da alcool o droga) in tutto il Paese, dopo la distruzione del suo sistema socializzato di pieno impiego e il collasso di tutti i servizi sociali; oltre alla perdita dell’apparato di polizia sovietico e alla crescita di una classe mafiosa oligarchica, il Paese si è visto inondato di eroina proveniente dall’Afghanistan.

L’aumento della dipendenza da oppiacei non si basa su una “scelta personale” e non è neppure il risultato dei cambiamenti negli stili culturali e di vita. Sebbene tutte le classi sociali e tutti i livelli di istruzione siano inclusi tra le vittime, la grande maggioranza sono giovani bianchi della classe operaia e i poveri; sono coinvolti tutti i gruppi di tutte le età, compresi gli adolescenti che si curano per lesioni sportive e gli anziani con dolori alle articolazioni o alla schiena. L’aumento della dipendenza è il risultato di grandi cambiamenti nell’economia e nella struttura sociale. Le regioni più colpite dalle morti per overdose sono quelle in declino profondo, prolungato e permanente, comprese le regioni della Rust Belt (Cintura della Ruggine: zona dei vecchi stati industrializzati ora in declino, N.d.T.), le piccole città manifatturiere del New England, la zona a nord di New York, la Pennsylvania, il Sud rurale e le regioni agricole, minerarie e forestali dell’Ovest.

Tutto ciò è prodotto di decisioni esecutive private: 1) delocalizzazione delle imprese produttive dagli USA all’estero o in zone distanti e non sindacalizzate del Paese; 2) costringere i lavoratori prima ben remunerati ad accettare posti di lavoro con salari più bassi; 3) sostituzione dei lavoratori statunitensi con immigrati qualificati e non qualificati o con mano d’opera temporanea malpagata; 4) eliminazione dei benefit relativi a pensioni e sanità; 5) introduzione di nuove tecnologie (compresi i robot) che tagliano la mano d’opera rendendo superflua la prestazione dei lavoratori umani; questi cambiamenti nelle relazioni tra capitale e lavoro hanno creato enormi profitti per gli alti dirigenti e per gli investitori, mentre producono esuberi nella forza lavoro, il che comporta una pressione ancora maggiore sui lavoratori al primo impiego e su coloro che hanno già un’anzianità di servizio. Non ci sono stati programmi efficaci di protezione del lavoro e/o di creazione di posti di lavoro sostenibili per affrontare i decenni di calo del lavoro ben remunerato; i buoni lavori sono stati sostituiti con quelli a salario minimo nei servizi, i cosiddetti Mac Jobs o con lavori temporanei a basso salario nelle manifatture, senza benefit né protezione. In tutta questa devastazione, programmi pubblicizzati in maniera estremamente dispendiosa, come Start-Up New York, hanno fallito nel creare posti di lavoro decenti, mentre i politici dello Stato hanno goduto di pubblicità gratuita, poiché le spese di centinaia di milioni per la promozione di questi programmi sono state coperte con denari pubblici.

L’epidemia di dipendenza da droghe è stata più letale proprio in quelle regioni che hanno subito la perdita di posti di lavoro nell’industria e la diminuzione dei salari, così come nei settori depressi (in passato protetti) dell’agricoltura e della lavorazione degli alimenti, nei quali i lavoratori sindacalizzati sono stati sostituiti con immigrati a salario minimo. La perdita di stabilità nel lavoro è stata accompagnata da una riduzione radicale dei servizi sociali e da tremendi tagli ai benefit, proprio quando tali servizi avrebbero dovuto essere rafforzati.

Precisamente perché legato a importanti cambiamenti demografici risultanti da modificazioni nella dinamica capitalista, il cosiddetto “problema delle droghe” non è mai stato al centro della gestione del governo delle élite o delle ricerche condotte dalle grandi fondazioni legate alle corporations, a differenza della loro fissazione sulla “radicalizzazione dei musulmani” o sulle “tendenze della criminalità urbana”; la ricerca tende a concentrarsi sulle minoranze o a malapena sfiora la periferia del fenomeno attuale. Buoni studi e una raccolta di dati avrebbero fornito la ratio e le basi dei principali programmi pubblici volti a proteggere le vite dei lavoratori bianchi emarginati e ad invertire le tendenze mortali; la decennale mancanza di ricerche e di dati a livello nazionale su questo fenomeno, spiegano l’evidente assenza di un’efficace risposta governativa. In questo ambito, la mancanza di cura non ha portato benefici.

Parallelamente all’aumento di dipendenze da oppiacei, c’è stato un aumento astronomico nella prescrizione di medicinali psicotropi e antidepressivi, anche questi altamente redditizi per la grande industria farmaceutica, nella stessa popolazione; la modalità di prescrivere tali potenti e potenzialmente pericolosi medicinali che alterano l’umore agli Americani che sperimentano una mobilità sociale al ribasso, per “trattare” o attenuare normali stati d’ansia e reazioni al deterioramento delle loro condizioni materiali, ha avuto profonde conseguenze. È molto probabile che questi individui, spesso fruitori dell’assistenza per disoccupati o curati da MEDICAID, si trovino a seguire un complesso regime quotidiano, assumendo, oltre agli antidolorifici, fino a nove medicinali al giorno per affrontare il crollo del loro mondo.

Mentre un lavoro dignitoso con un salario decente avrebbe potuto trattare con efficacia e senza effetti collaterali sgradevoli o pericolosi la disperazione dei lavoratori emarginati, la comunità medica e i servizi di salute mentale hanno sistematicamente indirizzato i loro pazienti verso la grande industria farmaceutica; come risultato, le analisi tossicologiche post mortem evidenziano, nei casi di decesso da overdose di oppiacei, l’assunzione di molteplici medicinali psicotropi e antidepressivi prescritti, oltre che di narcotici. Oltre a costituire una possibile deroga alla responsabilità verso i loro pazienti da parte dei fornitori di servizi medici, quanto sopra è anche un riflesso dell’assoluta impotenza della comunità medica rispetto alla decomposizione sociale sistemica, così come è accaduto nelle comunità emarginate dove si concentrano le morti per overdose da droghe.

Gli studi demografici, nel migliore dei casi, identificano le vittime della dipendenza da droghe, ma la scelta di trattare la loro disperazione come un “problema individuale” che si presenta “in un contesto specifico immediato” trascura le grandi strutture politiche ed economiche che costituiscono lo scenario della morte prematura.

La politica economica delle morti per overdose

Quando i resti di una vittima di overdose giovane (uomo o donna), appartenente alla classe lavoratrice, è portato all’obitorio, il decesso è classificato come “autoinflitto” o “accidentale” per overdose di oppiacei e si mette in motto una grande macchina di copertura. La sequenza che ha condotto al decesso è avvolta nel mistero e non si tenta neppure di comprenderne in profondità i fattori socioculturali ed economici; invece, si incolpa la vittima o la sua cultura per il risultato finale di una complessa catena di decisioni dell’élite economica e di manovre politiche, delle quali la morte prematura di un lavoratore è solo un danno collaterale. La comunità medica, in questo processo, si è limitata a funzionare da cinghia di trasmissione invece di essere un soggetto al servizio del pubblico.

La grande maggioranza delle vittime di morte per overdose è, in realtà, composta da vittime di decisioni e perdite ampiamente fuori dal loro controllo; le loro dipendenze hanno abbreviato le loro vite, così come hanno offuscato la loro comprensione degli avvenimenti e minato la loro capacità di impegnarsi nella lotta di classe per invertire questa tendenza; è stata una soluzione perfetta per i prevedibili problemi demografici del brutale neoliberismo negli USA.

Wall Street e Washington hanno progettato la macroeconomia che ha eliminato i posti di lavoro decenti, ridotto i salari e tagliato i benefici sociali: il risultato è che milioni di lavoratori emarginati e disoccupati sono sottoposti a una grande tensione e ricorrono a soluzioni farmacologiche per sopportare il loro dolore. Il protagonismo storico dei sindacati e delle organizzazioni comunitarie è stato eliminato e, al loro posto, le grandi aziende farmaceutiche hanno fatto sì che i lavoratori in esubero scavino le loro stesse fosse e i leader della classe operaia sono introvabili.

In secondo luogo, i luoghi di lavoro sono ventati molto più pericolosi nel nuovo ordine economico; i capi non temono più i sindacati, né si curano delle norme di sicurezza: molti lavoratori si infortunano a causa dell’accelerazione dei ritmi, del prolungamento degli orari di lavoro, della mancanza di formazione e di supervisione federale delle condizioni di lavoro. I lavoratori infortunati privi di tutela sindacale e legale o da parte di qualche agenzia pubblica temono, a ragione, rappresaglie nel caso dovessero denunciare le lesioni subite sul lavoro e ricorrono sempre più spesso ai narcotici prescritti per fare fronte al dolore acuto o cronico senza smettere di lavorare.

Quando i datori di lavoro consentono ai lavoratori di denunciare le lesioni subite, la bassa copertura e le limitate cure disponibili incoraggiano l’eccesso di prescrizione di narcotici rispetto alla scelta di altri medicinali con interazioni potenzialmente pericolose; molte cliniche del dolore, con le quali i datori di lavoro hanno sottoscritto contratti, non vedono l’ora di trarre profitto da clienti che hanno subito lesioni, mentre le aziende farmaceutiche promuovono massicciamente potenti narcotici sintetici.

Si forma così un circolo vizioso: la produzione di massa di narcotici da parte dell’industria è stata uno degli affari più redditizi; le catene di farmacie soddisfano le ricette prescritte da decine di migliaia di dottori, dentisti, infermieri e assistenti medici che hanno solo una quantità limitata di tempo per esaminare un lavoratore infortunato. Le condizioni di lavoro deteriorate creano la lesione e i lavoratori si trasformano in consumatori del sollievo miracoloso fornito dalla grade industria farmaceutica (l’ossicodone o simili), promosso per un decennio dai venditori come farmaco che non dà dipendenza; una lunga lista di professionisti con alto livello di istruzione, tra i quali vi sono medici, esaminatori medici e patologi, provvede a nascondere con cura la causa reale, cioè le decisioni delle grandi imprese, allo scopo di mettersi al riparo dalle loro rappresaglie nel caso dovessero far scattare l’allarme. Dietro la facciata scientifica, si nasconde un “darwinismo sociale” che pochi sono disposti ad affrontare.

Solo recentemente, in seguito ad un numero incredibile di ricoveri e morti da overdose di narcotici, il governo federale ha cominciato a stanziare fondi per la ricerca; i ricercatori universitari hanno iniziato a raccogliere e diffondere dati sulla crescente epidemia di morti per oppiacei e forniscono mappe scioccanti delle contee e delle regioni più colpite; si uniscono al coro che chiede alle agenzie federali e statali di partecipare più attivamente alla solita panacea fatta di “educazione e prevenzione”. Questo fervore di attivismo arriva con due decenni di ritardo e puzza di cinismo.

I fondi per la ricerca su questo fenomeno non porteranno ad alcun programma efficace a lungo termine per fare fronte a queste piccole “crisi del capitalismo” che colpiscono la comunità; non c’è nessuna istituzione disposta ad affrontare le cause fondamentali: la devastazione delle relazioni tra capitale e lavoro negli Stati Uniti capitalisti del nuovo millennio, la natura corrotta dei vincoli tra stato e corporation farmaceutiche e il carattere caotico del nostro sistema sanitario privato, orientato al profitto. Pochissimi scriveranno che un servizio sanitario nazionale, pubblico e unico avrebbe in tutta evidenza evitato, sin dall’inizio, l’epidemia.

Conclusioni

Perché le élite capitaliste dello stato e le industrie farmaceutiche sostengono un processo che ha elevato a grande scala le morti a lungo termine dei lavoratori e dei loro famigliari negli USA rurali e nelle piccole città?

Un’ipotesi presente e convincente è che l’élite delle moderne e dinamiche corporation tragga vantaggio dal cambiamento demografico per overdose.

Le corporation ottengono miliardi di dollari di profitti dal “declino naturale” dei lavoratori licenziati: la riduzione dell’occupazione e delle prestazioni sociali (piani sanitari, pensioni, ferie o programmi di formazione al lavoro) permette ai datori di lavoro di aumentare profitti, capital gains e bonus per i dirigenti; si eliminano i servizi pubblici, si riducono le imposte, si riducono i lavoratori e, quando servono, li si può importare dall’estero (completamente formati), per impiegarli temporaneamente in un “libero mercato del lavoro”.

I capitalisti guadagnano ancora di più con i benefici della tecnologia (robot, informatizzazione, ecc.) assicurandosi che i lavoratori non godano di riduzioni dell’orario di lavoro né di aumento delle ferie come risultato della loro maggiore produttività: perché condividere i risultati dell’aumento di produttività con i lavoratori quando li si può semplicemente eliminare? I lavoratori insoddisfatti possono ripiegarsi su sé stessi o “prendersi una pastiglia”, ma mai organizzarsi per riprendere il controllo della loro vita e del loro futuro.

Gli esperti in elezioni e le autorità politiche possono affermare che i lavoratori statunitensi bianchi rifiutano i principali partiti del sistema perché sono “arrabbiati” e “razzisti”; sono i lavoratori che ora guardano a Donald Trump. Tuttavia, un’analisi più approfondita rivelerebbe il loro rifiuto razionale verso leader politici che si sono rifiutati di condannare lo sfruttamento capitalista e di affrontare l’epidemia di morti per overdose.

Questo vero e proprio genocidio attraverso i narcotici in corso contro i lavoratori bianchi e i disoccupati nelle piccole città e nelle zone rurali degli USA ha una base classista, è la soluzione perfetta delle corporation a un’eccedenza di forza lavoro; è ora che i lavoratori americani e i loro leader si sveglino rispetto a questa crudele realtà e che resistano a questa guerra di classe unilaterale, altrimenti continueranno a piangere altre morti premature nel loro stesso silenzio intorpidito dai farmaci.

Ed è ora che la comunità medica chieda un sistema pubblico e nazionale responsabile della salute, che metta al primo posto il paziente, che faccia prevalere il servizio sul profitto e la responsabilità sul silenzio complice.

Di James Petras e Robin Eastman-Abaya

Traduzione di Gorri per il Periodico Lavoro e Salute

Articolo originale: http://petras.lahaine.org/?p=2091

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