Gheorghe

Le palpebre seguono il ritmo cadenzato della lancetta dei secondi, in cucina il rubinetto abbandona una goccia dopo ogni battere di ciglia. Maria trascorre questa notte con gli occhi posati in Italia, in un passato senza fine vestito d’insonnia.

Siamo a luglio e il caldo estivo esplode con la stessa violenza di questa notte. ‹‹ A quest’ora Gheorghe sarebbe già in viaggio…. ››.

Quando Maria e Gheorghe si trasferirono nel paese di Nicola Sacco, il mondo era pervaso dalla crisi economico – finanziaria. Memorandum, spread, tagli, agenzie di raiting, derivati, non erano le sole parole che incorniciavano le giornate, già da tempo, altre marchiavano le persone come loro.

“Extracomunitari”, “zingari” per le sbornie da frustrazione, “clandestini” per la Legge. Per l’imprenditoria agricola in terra di Capitanata, tra Puglia e Molise, erano solo braccia per i raccolti stagionali.

Lavoro, salario giornaliero in cambio del silenzio. I loro corpi hanno sostituito quelli che dormivano nelle piazze dei paesi durante la stagione del raccolto e al mattino di buon ora aspettavano che qualcuno li chiamasse e scegliesse per “buscars la jurnat”.
Ma viviamo nel tempo della memoria cancellata, dove tutto accade e si dimentica velocemente, senza domande.

Gheorghe riceveva una telefonata e di settimana in settimana sapeva dove avrebbe dovuto affrontare le giornate nei campi. Auto o furgone, uno solo parlava e contrattava con il padrone, gli altri uno a fianco all’altro erano il carico che nel buio si dirigeva verso il luogo di lavoro.

Il 29 luglio 2008, mentre la stagione balneare era nel pieno, Gheorghe teneva la schiena piegata nei campi e con la coda dell’occhio nei momenti in cui prendeva fiato, spiava il mare.
Quel giorno, la legge madre delle discriminazioni ha partorito la paura,

gli altri che erano con lui, vedendo il suo corpo accasciarsi al suolo, preferirono lasciarlo in un canale a bordo strada anziché chiamare i soccorsi.
Cecità, silenzio, nessuna denuncia. La paura genera mostri. Gheorghe aveva 35 anni.

Da più di 10 anni la Giustizia tace, come Maria in questa notte, mentre si ricorda di quando allarmata cercò il suo nome, il suo corpo, ovunque, di come nelle aule piene di toghe poteva a malapena permettersi di parlare. Il gratuito patrocinio è bastato per far finire tutto in primo grado.

Non ci sono colpe e colpevoli, non si è parlato di contratto di lavoro, di visita medica preventiva, di sorveglianza sanitaria, di ritmi e carichi di lavoro, di temperature severe e colpi di calore, di omissione di soccorso.
Per il Tribunale il suo cuore si è spento, provocando una morte accidentale e… il caso è chiuso!
Quando disperata provò a cercare Gheorghe, nessuna organizzazione parlava più di bracciantato agricolo. La stagione estiva, la crisi, i problemi, non comprendevano queste vite.

Il corpo di Gheorghe giaceva al tramonto sull’erba secca, mentre i grilli davano il cambio alle cicale stanche per aver urlato tutto il giorno invano. Ma i passanti avevano altro in testa e passavano, il raccolto veniva consegnato e poi trasportato in direzione di chi decide su questo silenzio.
Canto di cicala la riposta, come in una canzone che dice ‹‹ Voglio vivere in una città dove all’ora dell’aperitivo non ci siano spargimenti di sangue o di detersivo… ›› .

Il sistema ha queste zone di confine, dove legale e illegale sono la stessa cosa. È il posto dove i destini delle vite vengono determinati.

Maria si ricorda di questi suoni e della sensazione provata all’ ora in cui qualcuno trovò quel corpo e pensa alla verità sepolta insieme a lui.

Non sappiamo se Gheorghe riposi o meno, ma il suo corpo sicuramente giace con tutto il peso di un vita tra gli occhi di Maria, i campi, le braccia, il caldo e il mare.

Il caldo mette sete, ma per chi ha sete di verità ogni bicchiere contiene acqua salata.

Renato Turturro
Tecnico della prevenzione

Pubblicato sul numero di luglio del mensile Lavoro e Salute www.lavoroesalute.org
ANCHE IN VERSIONE INTERATTIVA
www.blog-lavoroesalute.org/lavoro-e-salute-luglio-2020

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