Giappone: sostanza estranea rinvenuta nelle fiali di Moderna

“Si ritiene che il “contaminante” trovato in un lotto di vaccini antiCOVID-19 di Moderna Inc. di tre lotti di vaccini consegnati in Giappone possa essere una particella a base metallica.”

Così ha riferito l’emittente pubblica giapponese NHK, citando fonti ufficiali del ministero della Salute giapponese.

Il Giappone giovedì scorso ha sospeso l’uso di 1,63 milioni di dosi spedite a 863 centri di vaccinazione a livello nazionale, più di una settimana dopo che il distributore nazionale, Takeda Pharmaceutical aveva ricevuto numerose segnalazioni di contaminanti in alcune fiale.

L’articolo dell’NHK, pubblicato giovedì in tarda serata, ha citato fonti del ministero secondo cui la particella avrebbe reagito ai magneti ed è stata quindi sospettata di essere un metallo, o comunque una sostanza con carica magnetica positiva.

Moderna in risposta ha descritto la possibile presenza di questo “particolato” potrebbe comunque non porre problemi di sicurezza o efficacia, e in seguito in un comunicato giunto direttamente dallo stabilimento di Rovi in Spagna (luogo di produzione dei lotti del vaccino Moderna oggetto delle analisi) si è data disponibile per investigare sulla questione.

Un funzionario del ministero della salute giapponese ha affermato che la natura del contaminante risultato presente all’analisi di alcune dosi che coinvolge un lotto da 1,6 milioni, non è stata ancora bene identificata, confermando invece che la sostanza presente risulta essere magnetizzabile se sottoposta a magneti.

Tra i cosiddetti materiali magnetici o che comunque possono essere magnetizzati e in conseguenza fortemente attratti da una calamita, ci sono ad esempio i cosiddetti minerali ferromagnetici o ferrimagnetici che includono ferro, nichel, cobalto, alcune leghe di terre rare, alcuni minerali come la magnetite, ma anche il carbonio che se lavorato in un sottile strato monoatomico, dà origine a un materiale di nuova concezione, non nuovo ad essere usato in campo biomedico, chiamato grafene, e che come per i minerali ferromagnetici, risponde alla magnetizzazione perché caratterizzato da ioni a carica positiva.

Il ministero della salute giapponese dal suo canto in una nota governativa ha dichiarato giovedì che sono stati trovati contaminanti in alcune dosi non utilizzate del vaccino COVID-19 di Moderna Inc. e che la somministrazione di circa 1,63 milioni di dosi provenienti dalla stessa linea di produzione è stata sospesa per precauzione.

Il quotidiano Kyodo News basandosi su rapporti del governo locale parla invece di almeno 180.000 dosi potenzialmente contaminate che sarebbero già state somministrate in 19 delle 47 prefetture del paese, tra cui Tokyo e Osaka.

“Ad oggi, non sono stati identificati problemi relativi alla sicurezza o all’efficacia”, ha affermato Moderna rispondendo in una nota ufficiale in risposta a Kyodo News, aggiungendo che “stiamo valutando attentamente la questione ma al momento non abbiamo ulteriori commenti sulle possibili cause alla radice”.

Per quanto riguarda i possibili problemi in altri paesi, la società statunitense ha affermato: “Su base continuativa, Moderna monitora e valuta rapidamente le domande che riceviamo sui nostri prodotti dai mercati globali”. – aggiungendo infine – “Le autorità locali prenderanno le proprie decisioni sulla divulgazione delle informazioni a seguito di queste valutazioni”, ha affermato la società.

Il primo ministro Yoshihide Suga in una conferenza stampa ai giornalisti presenti ha riferito che: “Sono stato informato dal ministero della Salute che questo problema non avrà un impatto significativo”, quando gli è stato chiesto della possibilità che la sospensione interrompa il programma di vaccinazione in Giappone.

Le 1,63 milioni di dosi in questione sono state distribuite a 863 centri di vaccinazione e sono state prodotte contemporaneamente nella stessa linea di produzione in Spagna nello stabilimento di Rovi, e rientrano in tre numeri di lotto: 3004667, 3004734 e 3004956, ha anche affermato il Ministero della salute.

Il governo metropolitano di Tokyo ha affermato che circa 9.100 persone potrebbero aver ricevuto iniezioni contaminate in almeno due dei siti di vaccinazione presenti nel distretto. Tra le altre prefetture interessate da tali dosi contaminate Osaka ne conterebbe circa 50.000, Hyogo 41.500 e Aichi 28.000.

Anche le agenzie di stampa occidentali hanno riportato la notizia, ad esempio, Reuters in un articolo ha titolato che la sostanza contaminante si tratterebbe di particolato metallico: aggiungendo in un articolo successivo che «La notizia del “contaminante nel vaccino” potrebbe portare a una nuova battuta d’arresto per la campagna di vaccinazione del Giappone mentre lotta per convincere molti, in particolare tra i giovani, a farsi vaccinare.»

Un “contaminante”, così è stato chiamato, sebbene la logica comune indurrebbe a pensare che, se ciò fosse, si verrebbe a costituire un precedente molto preoccupante e che potrebbe rappresentare ben più che una semplice anomalia produttiva, ciò specie se verificatosi all’interno di un ciclo di produzione farmaceutico industriale su larga scala, effettuato a detta del produttore, con rigidi protocolli all’interno di una produzione costantemente monitorata.

Si parla di “particolato metallico”, o comunque di “sostanza magnetizzabile” come invece sarebbe riportato stando alle analisi effettuate da organi ministeriali giapponesi.

Certo è che in assenza di una indagine completa ed esaustiva, il suddetto “contaminante” metallico, o magnetico ritrovato in Giappone, non induce a stare molto tranquilli.

Uscendo invece dalla cronaca di quello che almeno ad oggi sappiamo dei fatti, per coloro che abbiano almeno un minimo di conoscenza in campo biomedico e in particolare sull’uso delle moderne biotecnologie, è risaputo che da tempo, specie in determinate terapie sperimentali, si fa uso di nanoparticelle ingegnerizzate usate sia come vettore che come tracciante rispettivamente per veicolare o identificare determinate sostanze, o comunque finalizzate a raggiungere determinati obbiettivi cellulari.

Nell’ambito della produzione farmacologica ad esempio, la tecnica di associare alcune molecole con sostanze metalliche ad esempio o con altri componenti magnetici, è una tecnica nota almeno fin dai primi anni di questo millennio, già abbondante la letteratura scientifica in merito.

In una ricerca del 2015 riportata sul sito europeo del Cordis, si spiega come all’interno di una terapia sperimentata su delle forme di carcinoma al pancreas, si è proceduto tramite nanovettori innovativi (NC) realizzati da differenti varietà di materiali tra cui piccole nanoparticelle (NP) a base di Maghemite, un minerale della famiglia degli ossidi di ferro, (Fe2O3, γ-Fe2O3, la sua composizione chimica) arricchito con cationi metallici (Fe2O3) rivestendo delle molecole di questi polimeri ibridi con la funzionalità di nanovettori magnetici (f-NC), ricombinandoli poi con delle proteine di albumina sierica umana di modo da non essere rigettate dall’organismo.

In una ricerca del 2010 (a fine articolo le varie fonti), si parla di “nanotecnologie usate fin dal 2007 in campo biomedicale che hanno trovato spesso impiego per la formulazione di nuovi sistemi per la somministrazione di farmaci attraverso nanoparticelle nei cosiddetti “drug delivery systems”, come anche utilizzati per la produzione di biosensori nanotecnologici per la diagnostica.”

Fra le proprietà di queste nanoparticelle, usate in campo biomedico, c’è la cosiddetta “capacità selettività”, ovvero, la possibilità di istruire tali nanomolecole sia per poterle dirigere verso alcune cellule piuttosto che altre, che per poterle rendere funzionali ad attraversare le barriere tissutali di quest’ultime, per poter veicolare determinate sostanze o istruzioni all’interno di un determinato gruppo di cellule superando la barriera cellulare, come obbiettivo principale della nanomolecola ingegnerizzata.

Già a partire dall’aprile del 2003 sono stati creati legami tra specifici antibiotici e queste strutture nanomolecolari di modo che tali strutture potessero aderire sulla parete esterna cellulare dei batteri per poi riuscire a veicolare l’antibiotico al loro interno.

Questa tecnica è stata funzionale anche all’attività di targeting (indirizzamento verso uno specifico obbiettivo) nelle terapie sperimentali per determinate cellule tumorali.

Insomma, l’utilizzo di tali tecnologie in ambito biomedico e farmacologico e adoperate per lo sviluppo di determinate terapie non è nuovo, giacche di tale tecnologia si è fatto uso almeno a partire da circa 20 anni.

Altro esempio ancora di nanotecnologia applicata in campo biomedico, sono i nanotubi a base di carbonio, (il grafene tanto per dirne uno è un materiale costituito da un sottilissimo strato monoatomico di atomi di carbonio) che, grazie alla loro resistenza
meccanica e alle loro proprietà elettriche, (possono essere caricati da carica elettrica positiva e risultare quindi magnetici) sono stati usati spesso per lo sviluppo di farmaci, innovativi e sperimentali dotati esternamente di peptidi antigenici in associazione a questi nanotubi di carbonio, realizzati per il trasporto selettivo e controllato. Tali nanotubi vengono applicati nelle cosiddette terapie basate sul drug delivery.

L’uso di nanotubi di grafene ad esempio, già compare all’interno di un report del marzo 2016 pubblicato sul sito del Cordis, che definisce il loro uso di importanza fondamentale e strategica, sia per lo sviluppo biomedico attuale che per quello futuro, perché dotati di caratteristiche non riscontrabili in altri materiali attualmente esistenti, in quanto modulabili in sospensioni di vario tipo, che proprio grazie al grafene e alla sua capacità di essere funzionalizzato anche in presenza di ossigeno possono essere sfruttate come veicolo per la somministrazione di farmaci antinfiammatori, neurotrasmettitori o comunque per veicolare attraenti sia neurali, che anticorpali, che vengono appunto uniti a sottilissimi strati di grafene tramite determinati idrogel con la funzionalità di essere rilasciati in obbiettivi cellulari specifici e a diverse velocità nell’organismo in cui vengano introdotti.

Le nanoparticelle NPs, hanno trovato impiego in campo biomedico e farmacologico grazie a specifiche proprietà e caratteristiche
elettriche, meccaniche, magnetiche, chimiche, biologiche e strutturali, e che proprio per tali caratteristiche si prestano ad essere ingegnerizzate affinché le nanoparticelle possano ricevere determinate istruzioni.

Questo tipo di nanoparticelle ad esempio ha trovato crescente applicazione in ambiti quali la chemioterapia, la radioterapia,
la termoterapia, il bioimaging, la terapia fotodinamica e antiangiogenica e più recentemente nello sviluppo di farmaci sperimentali sviluppati per alcuni tipi di malattie genetiche.

Le NPs possono essere preparate sia con polimeri o materiali a base organica, i lipidi ad esempio per rivestirne la superficie esterna, che con materiali inorganici con determinate caratteristiche fisiche, chimiche ed elettriche, di modo da poter essere utilizzate per essere veicolate in modo selettivo e funzionale.

Tra le nanoparticelle NPs ad esempio si trovano i “quantum dots”, nanoparticelle magnetiche,
ceramiche e metalliche che possiedono un nucleo centrale costituito di materiale
inorganico che definisce le proprietà fluorescenti, magnetiche, elettroniche o ottiche.
Mentre, tra le nanoparticelle organiche troviamo liposomi e micelle, dendrimeri, e in generale le
nanoparticelle polimeriche chiamate nanogels.

Le nanoparticelle ibride infine si compongono appunto sia di componenti inorganici come nel primo caso, associati a componenti organici come nel secondo caso, di modo appunto da poter essere in grado di svolgere allo stesso tempo più funzioni e compiti specifici.

Sarà sicuramente un caso, ma, proprio la tecnica a vettore mRNA almeno fino a prima della comparsa del Covid, veniva usata proprio in associazione a determinate nanoparticelle magnetiche, appositamente ingegnerizzate. Applicata fino al 2019 per una serie di patologie gravi o altamente mortali, si trattava di una tecnica che veniva proposta solo in via sperimentale ad esempio a soggetti terminali o comunque in stadio di malattia avanzato, oppure anche in presenza di rare malattie genetiche ancora non curabili ma particolarmente devastanti.

Di questa tecnica, mRNA ricombinante, in occasione dello sviluppo dei cosiddetti “vaccini anticovid” i vari produttori si sono peritati di spiegare con dovizia di particolari come funzioni, illustrandoci ad esempio la caratteristica e le peculiarità della proteina Spike, la quale verrebbe portata in prossimità di alcune cellule affinché possa essere riprodotta e riconosciuta, ci hanno inoltre raccontato la funzione di protezione a base lipidica (strato di grasso) che avvolge la proteina Spike ricostruita in laboratorio, ci hanno “informato” sul fatto che tale proteina venga portata ad aderire ad una determinata cellula, e che una determinata informazione viene veicolata all’interno della cellula per la produzione anticorpale, ma niente è stato invece spiegato su come queste molecole ingegnerizzate contenute nel vaccino, potessero dapprima essere indirizzate verso determinate cellule di targetting (le cellule addette e specializzate nella produzione di anticorpi) ma anche poco o nulla è stato detto su come queste molecole possano far penetrare all’interno della barriera cellulare l’informazione ribonucleica contenuta nel vettore.

Siamo nel campo delle ipotesi certamente, ma, dal momento in cui si parla di prodotti coperti da brevetto e il cui contenuto per un motivo “commerciale” oltre a non essere stato reso noto, è stato anche secretato impedendo qualsiasi forma di analisi fisico chimica da parte di un ente indipendente. Ecco allora che, ci sarebbe ben da domandarsi sulla natura di quali sostanze ingegnerizzate siano state usate, quali caratteristiche chimiche, fisiche, elettriche o magnetiche, possano avere tali sostanze per poter funzionare sia da vettore che da messaggero di una determinata informazione, e come esse siano infine capaci di poter passare precise informazioni ad un gruppo di determinate cellule, piuttosto invece che ad altre.

Specie alla luce dei sopracitati risultati, oggetto delle recenti analisi condotte in Giappone, almeno qualche lecita domanda dovrebbe sorgere spontanea. Domande che in particolar modo andrebbero quanto meno approfondite dagli enti preposti al controllo, entrando nel dettaglio nel campo delle possibili tecniche usate, e in definitiva, visto che tutto ciò almeno al momento è stato rigorosamente coperto da segreto, indurci in tal senso al pensiero che non si possa escludere nulla.

Il fronte della ricerca nel campo delle nanotecnologie in ambito biomedico, sebbene bisogni ammettere possa risultare sicuramente interessantissimo, è però un campo che ad oggi almeno veniva considerato indubbiamente sperimentale, e in quanto tale usato solo su un ristretto numero di persone, affette magari da gravissime patologie, e comunque in soggetti che di certo mai sono stati obbligati a sottoporsi a trattamenti sanitari basati su tali tecnologie sperimentali. Così come è da riflettere che, qualora tali soggetti magari spinti dall’essere affetti da gravi patologie, abbiano scelto di fare uso di certe terapie basate su tecniche sperimentali, sono stati adeguatamente informati, resi ben consapevoli su tutte le possibili controindicazioni, come anche sulla mancanza di conoscenza definitiva dei possibili effetti collaterali a breve, medio e lungo termine, legati al tipo di trattamento sperimentale a cui essi venivano sottoposti.

Certo è che, alla luce della recente scoperta di 1,63 milioni di dosi di un vaccino sviluppato con la tecnica mRNA, bloccati perché sospettati di contenere tutti sostanze contaminanti, ad oggi classificate come “particolato metallico” da alcuni organi di stampa, e definite invece come sostanze magnetizzabili, dalle istituzioni sanitarie giapponesi, ciò dovrebbe quanto meno indurre ben più di qualche semplice domanda, e quantomeno portare comunque a prendere misure per evitare il verificarsi di errori simili nella produzione, oppure meglio ancora capire ad esempio come possa esser avvenuta la “contaminazione” all’interno di rigidi standard di produzione farmacologica, almeno per come essi vengono descritti dai protocolli.

Fonti:

https://www.google.com/url?sa=t&source=web&rct=j&url=https://iris.unipa.it/retrieve/handle/10447/90647/99454/tesi%2520Giorgia%2520Adamo.pdf&ved=2ahUKEwigsefGgNbyAhXJ6qQKHVCKCL8QFnoECDQQAQ&usg=AOvVaw2up_yyj8JKMIXUkZHZu7d3

https://cordis.europa.eu/project/id/263307/reporting

https://pubs.rsc.org/en/content/articlelanding/2019/tb/c8tb02946f

https://cordis.europa.eu/article/id/174970-multimodal-nanocarriers-for-drug-delivery

https://cordis.europa.eu/article/id/243655-biomedical-advances-through-use-of-graphene/it

https://www.frontiersin.org/articles/10.3389/fphar.2018.01401/full

https://www.google.com/url?sa=t&source=web&rct=j&url=https://it.m.wikipedia.org/wiki/Grafene&ved=2ahUKEwie-7bngNbyAhUENuwKHZW6BiAQFnoECE0QAQ&usg=AOvVaw0maxOj2CJ0sRnZox_AmGD2

https://it.m.wikipedia.org/wiki/Maghemite

Luca Cellini

29/8/2021 https://www.pressenza.com

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