Gigi, l’uomo, l’attore, il compagno

Di Alba Vastano

Non amo i necrologi. Hanno spesso quel velo di ipocrisia melenso e, talvolta, stucchevole. Al caro estinto sono dovute commemorazioni accompagnate da frasi di elogio e di riconoscimento di opere, parole e azioni che, raramente, gli avremmo riconosciuto in vita. A dire il vero le commemorazioni funebri e le lodi alla persona che se n’è andata risultano, perlopiù fittizie, rituali e ipocrite.

Tanto varrebbe astenersene. In alternativa, se proprio ci si vuole esprimere sulle qualità e su quanto di buono ha prodotto la persona che se n’è appena andata, sarebbe più efficace e reale raccontare insieme ciò che di buono, ma anche di meno glorioso, la bella anima ha compiuto in quel lasso di tempo che ci è concesso fra l’entrata e l’uscita dal Pianeta. Così, raccontando di vizi e virtù del trapassato, la sua vita ha la possibilità di passare alla storia e alla memoria in modo credibile, perché più affine ai vizi e alle virtù degli umani.

Perché gli uomini, anche quelli che per la forte carica di empatia collettiva, per la naturalezza nel comunicare i valori, senza passare da elucubrazioni infinite sul senso della vita e sui massimi sistemi, per le loro opere prime come artisti, riconosciuti tali platealmente, qualche piccola o grande scivolata l’hanno avuta.

Di Gigi Proietti che oggi ci ha lasciato quasi in sordina, senza il solito tam tam mediatico che accompagna la fine di un grande e noto personaggio, invece sembra impossibile non parlarne con orgoglio, riconoscenza e affetto genuini.

Orgoglio perché, dopo l’Albertone de Roma, Gigi ha rappresentato nelle sue opere artistiche la Roma popolana, fino a quella con la maschera da guitto un po’ pasoliniana, ma sincera, appassionata, un po’ beffarda, ma anche un po’ romantica alla Rugantino. Gigi ha saputo rappresentare ‘er core de sta città’, oggi stuprata nei diritti, abbandonata nelle periferie. Eppure lì, nelle periferie, c’è ancora un cuore che batte, c’è la passione, c’è l’impeto di ribellione verso il prepotente di turno seduto sulla cadrega del potere.
Riconoscenza, perché Gigi tutta questa parte di umanità nel cono d’ombra, ma ancora con la voglia di lottare e di emergere dall’anonimato l’ ha saputa interpretare in modo genuino, toccante, vero, sentito. Con l’ironia e la furbizia dei semplici in ‘Febbre da cavallo’ con le sue mandrakate, ai grandi maestri del teatro del primo Novecento,come l’istrionico e grande attore Ettore Petrolini, fino alla funzione di direttore artistico del Globe Theatre, trasmettendo ai suoi pupilli l’arte magica della recitazione.

E, soprattutto, Gigi ha saputo trasmettere questa grande carica di umanità creando un afflato di simpatie univoco nel suo pubblico, come fra tutti coloro che hanno avuto il privilegio di conoscerlo. Ha dato voce, con la sua arte poliedrica, calcando palcoscenici e set cinematografici, agli invisibili, agli emarginati, ai derisi, agli ultimi. A quelli che nessuno vede e non considera pari, perché relegati nella parte povera e oscurata della città, nelle borgate, nelle periferie abbandonate dai riflettori che hanno la cabina di regia nelle stanze dei politicanti.

Per questi valori, espressi nella sua arte, ricordiamo Gigi come uomo di sinistra, quella sinistra fatta volutamente sparire, dalle politiche neoliberiste vigenti, dalle scena della politica. Quella sinistra che unisce le persone sotto gli stessi principi e valori dell’uguaglianza e della libertà, per lottare insieme nel contestare lorsignori, i potenti di turno.

Gigi era un comunista “senza tessera”, perché non è la tessera in tasca che distingue un comunista autentico. Lo rivendicava sempre, precisandolo. Perché essere comunista è l’unico modo per vivere una collettività in cui non sono gli individualismi, i culti della personalità dei leader a prevalere, ma il Bene Comune, per il quale bisogna spendersi insieme per ripristinarlo. E Gigi non poteva che essere antifascista e con passione perseguire gli ideali della lotta partigiana. Indimenticabile la sua declamazione del sonetto di Roberto Lerici “Mio padre è morto a 18 anni partigiano”:
Mi’ padre è morto partigiano
a diciott’anni fucilato ner nord, manco so dove;
perciò nun l’ho mai visto, so com’era
da quello che mi’ madre me diceva:
giocava nella Roma primavera.
Mo l’antra notte, mentre che dormivo,
sarà stato due o tre notti fa,
m’e’ parso de svejamme all’improvviso
e de vedello, come fusse vero;
sulla faccia c’aveva un gran soriso,
che spanneva ‘na luce come un cero…….

Orgoglio, riconoscenza, affetto per un grande uomo, un prestigioso attore e un vero compagno, quello del ‘cum panis’. Per lui le parole di elogio sono sincere e sgorgano spontanee e genuine.

Te se vo bene Gigi. Tu nella storia e nella memoria ci entri a pieno merito!

Alba Vastano

Collaboratrice redazionale del mensile Lavoro e Salute

2/11/2020 www.lavoroesalute.org

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