Gli operai in Italia: tra schiavi del just in time e bassi salari

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La classe operaia è scomparsa? No, anzi si è estesa e non solo a livello internazionale.  Anche nel nostro paese ci sono milioni di operai, sono solo più disgregati e più deboli. Il combinato disposto tra centralizzazione produttiva a livello europeo e delocalizzazione nei paesi a bassi salari, li ha reso più subordinati ai diktat delle imprese. In particolare, in paesi come l’Italia,  è cresciuta la classe operaia nella sfera della circolazione delle merci rispetto a quella impegnata nella produzione. La deindustralizzione ha desertificato molte aree produttive, ha trasferito impianti in giro per il mondo ed ha sostituito spesso i capannoni industriali con magazzini spesso automatizzati dove si lavora in condizioni ossessive e semischiavistiche.
Un rapporto dell’Inps sul precariato, in realtà documenta in modo piuttosto dettagliato la situazione del lavoro dipendente nel nostro paese.Nel 2015 il numero di lavoratori dipendenti del settore privato (esclusi operai agricoli e i lavoratori domestici) con almeno una giornata retribuita nell’anno è risultato pari a 14.452.199 (+2,8% rispetto al 2014), con una retribuzione media di 21.341 euro e una media di 240 giornate retribuite.
Gli operai sono quasi 8 milioni (7.934.949), gli impiegati 5,5 milioni (5.452.22), i quadri quasi mezzo milione (451.629), i dirigenti 120 mila (119.683), gli apprendisti meno di 500 mila (453.979). Analizzando le qualifiche, emerge che nel 2015 risulta prevalente la componente degli operai, (il 54,9% del totale), contro il 37,7% degli impiegati, il 3,1% di apprendisti e quadri e lo 0,8% dei dirigenti. Rispetto al 2014 degli apprendisti sono diminuiti (-14,0%)a causa dell’introduzione, con la legge 190/2014, che prevede l’esonero contributivo triennale ma esclude le assunzioni in apprendistato.
Che età hanno i salariati del XXI Secolo in Italia? Secondo l’Inps nel 2015, la maggior parte tra i 40 e i 44 anni con 2.226.353 (15,4% sul totale). I lavoratori maschi rappresentano il 57,7% della composizione. La retribuzione media annua nel 2015, è bassa:  21.341 euro nel complesso, anche se risulta molto differenziata sia per età, sia per genere. In particolare aumenta al crescere dell’età, almeno fino alla classe 55-59, ed è costantemente più alta per il genere maschile (24.653 euro contro 16.828 euro per le femmine). Rispetto alla tipologia contrattuale si evidenzia che il numero di lavoratori dipendenti con contratto a tempo indeterminato nel 2015 è di 11.704.757 lavoratori (81,0% sul totale), con una retribuzione media annua di euro 24.166 euro e 264 giornate medie retribuite.
Fin qui i numeri e le percentuali. Ma è interessante vedere anche la qualità delle condizioni di vita e lavoro di quel pezzo crescente di classe operaia legata alla circolazione delle merci. Logistica e distribuzione sono oggi decisive in un sistema produttivo legato direttamente alle “esigenze del mercato” e alla domanda. E’ il dominio del “just in time”. Ridurre i tempi di consegna ma collegandoli strettamente alla domanda di merci che viene dai clienti, è diventato l’obiettivo delle imprese e la maledizione per centinaia di migliaia di lavoratori e lavoratrici.
Gli schiavi del Just in Time
“Nel tempo necessario per leggere il titolo e il sommario di questa pagina, sono stati completati 76 ordini di scarpe, libri o detersivi. On line. Per arrivare a questa riga sarà passato un minuto. E un minuto sono 228 consegne, che fanno 13.600 all’ora, 328 mila e 700 al giorno. Nel 2016 gli acquisti digitali di beni materiali, in Italia, sono stati più di 120 milioni: un inarrestabile pulsare di clic che crescono del 30 per cento all’anno, a 75 euro in media a scontrino. Ma dietro ognuna di queste comande, impartite senza attese o spostamenti, senza commessi o commercianti, c’è una lunga catena che si ingegna e si spreme “per minimizzare i percorsi e rispettare i tempi promessi” al cliente, come spiegano ad Amazon”. E’ questo l’incipit di una inchiesta uscita sul settimanale L’Espresso dedicata ai lavoratori occupati nei grandi network della logistica e della distribuzione. E qui emerge come le condizioni di lavoro siano allucinanti. Si teme quello che per gli altri è una festa, ad esempio il Natale o i saldi, dove la domanda aumenta enormenente e i ritmi di consegna corrono come impazziti. Ma impazziti non sono perchè, anzi, vengono programmati e vanno attuati, ad ogni costo. Il report de L’Espresso racconta cosa significhi materialmente e psicologicamente “stare dall’altra parte del computer nell’industria degli ordini on line: quella della catena di montaggio”. E qui ci sono le storie dei “picker” e dei “driver” di marchi come H&M, Zalando, Gls che abbiamo imparato a conoscere attraverso le lotte durissime  (e non potrebbe essere altrimenti) nella logistica. La morte di Abd El Salam al picchetto davanti alla Gls di Piacenza non è stata una eccezione, è stata la conclusione drammatica di uno scenario di vera e propria lotta di classe ben visibile in ogni picchetto in questo settore. A questo conflitto si vanno aggiungendo i fattorini delle consegne del food just in time, quelli che ti portano la pizza o la cena a casa. E’ la lotta esplosa tra i ragazzi in bicicletta di Foodora (di cui ospitiamo un documento in altra parte del giornale), di Just it e le grandi catene multinazionali di distribuzione alimentare a domicilio.
Nell’epoca della centralità della circolazione delle merci rispetto a quella della produzione (oggi assicurata da filiere produttive che si snodano a livello internazionale), la compressione dello spazio attraverso il tempo sia per assecondare le richieste del mercato sia per ridurre i “tempi morti” del lavoro vivo (gli esseri umani in carne ed ossa), è la priorità che i padroni si sono dati e alla quale intendono piegare i loro antagonisti: gli operai. L’altro obiettivo è quello di pagarli poco e pagarli meno di prima, anche in presenza di un aumento della giornata lavorativa sociale. Superfluo sottolineare che ” mente migliore del XIX Secolo” – Karl Marx – aveva anticipato quasi fin nei dettagli lo scenario che abbiamo di fronte.
Mentre intellettuali da strapazzo parlavano di fine del lavoro, fine della storia, scomparsa della classe operaia, in realtà veniva seminata solo una ideologia negativa funzionale a privare di ideologia la classe operaia e farle introiettare il senso della sconfitta e della ineluttabilità della propria condizione subalterna.  Appare quantomai opportuna la campagna “Schiavi Mai” lanciata e particata dall’Usb in queste settimane.
Ma spezzare questa condizione attraverso il conflitto sociale, ridare identità di classe e ideologia alla classe operaia, è un compito che non possono assolvere solo i sindacati, anche quelli più coerenti nella pratica del conflitto. La brusca accelerazione dei processi di politicizzazione dentro la società (anche se si esprimono spesso in un modo spurio che viene liquidato come populismo), segnala l’esigenza di rimettere al centro i processi di ricomposizione di classe e la rappresentanza politica organizzata ed autonoma dei suoi interessi. In antagonismo a quelli dei loro nemici di sempre: i padroni, anche quelli 4.0

Sergio Cararo

24/11/2016 http://contropiano.org

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