Gli statali senza contratto: «Il governo ci usa e getta»

pubblico impiego

Sono davvero stanchi di aspettare un aumento che ormai non si vede da sette anni: ma i dipendenti pubblici italiani – circa 3,2 milioni di persone – sono per il momento prigionieri di un dibattito agostano senza capo né coda. Non è ancora chiaro se il governo riuscirà a mettere sul piatto più degli attuali 300 milioni (stanziati già lo scorso anno, ma senza che il sindacato, giustamente, ci abbia voluto mettere la firma), se eventuali risorse saranno sottratte o meno ai pensionati e pensionandi (anche loro in attesa di una riforma), e soprattutto il nuovo refrain parla di un possibile “scambio” tra qualche euro in busta paga e il Sì al referendum costituzionale. Quanto basta per non poterne più.

Ieri ha parlato il viceministro all’Economia Enrico Zanetti, che ha voluto marcare una sorta di priorità per i contratti rispetto alle pensioni: evitare l’aumento dell’Iva, ridurre la pressione fiscale sul lavoro, tutelare chi non ha né impiego né pensione (si varerà finalmente l’ottava salvaguardia per gli esodati?, ndr ), ma soprattutto «dopo anni di blocco, bisogna rinnovare i contratti del pubblico impiego. Poi, e sottolineo tre volte mi spiace, ma soltanto poi, si può pensare a misure redistributive per rendere più generoso il sistema previdenziale». Una posizione che non è piaciuta ai sindacati di base, in particolare all’Usb, e intanto i confederali scaldano i motori per l’incontro dei primi di settembre con il governo: metterà finalmente sul piatto più dei 300 milioni oggi disponibili?

Per capire come i lavoratori stiano vivendo queste settimane di attesa (dopo anni di magra), abbiamo raccolto un breve giro di opinioni e storie personali, guidati dalla Fp Cgil.

«Il mio orario fermo a Fantozzi»
Maurizio Fazio è ispettore del lavoro a Brescia. Due bambini, la moglie insegnante: «Solo per l’asilo – rigorosamente comunale perché non li manderei mai al privato – paghiamo 650 euro al mese». La vita è diventata sempre più cara e quindi l’aumento, che scatterebbe ovviamente anche per la sua coniuge, è diventato una necessità. «Ma il contratto non è solo economico», tiene a precisare Maurizio, che comunque ritiene «prioritario il nodo della retribuzione».

C’è ad esempio il problema dell’orario, che è fermo a quello del ragionier Fantozzi: «Secondo il mio contratto dovrei lavorare dal lunedì al venerdì, dalle 8 alle 16. Ma mi spiegate come si fanno ispezioni serie nelle pizzerie, nei cantieri, nei campi, nei supermercati ormai aperti anche la domenica o h24, con una organizzazione del genere?». E infatti gli ispettori del lavoro si sono “rassegnati” agli straordinari volontari, anche sabato e domenica, e – manco a dirlo – devono anticipare le spese della benzina, mettendoci l’auto propria.

Le aggressioni contro gli ispettori sono sempre più numerose, e in più a gennaio dovrebbe diventare operativa la nuova Agenzia unica prevista dal Jobs Act: «Il contratto ci serve per avere nuovi strumenti, per andare a cercare gli abusi anche al di fuori dei luoghi più scontati», conclude Fazio.

«Così lo Stato mi insulta»
Si sente «poco valorizzata», addirittura «insultata» se l’aumento messo sul piatto dal governo è finora di soli 8 euro lordi al mese: Liliana Antonacci lavora nella segreteria della Procura nazionale Antimafia, e come lei altri 200 impiegati non solo non vedono nessun aumento dal 2010, ma «in 25 anni non abbiamo fatto neanche uno scatto di carriera». Il contratto degli operatori della Giustizia come lei, infatti, non ha avuto nessun aggiornamento di qualifica, quindi la sua situazione è sostanzialmente invariata dal 1990 circa.

«Io lo so che noi siamo utili, che il lavoro che facciamo accanto ai magistrati allo Stato serve – spiega amara Liliana – solo che poi quando si tratta di darci un riconoscimento si ferma tutto, e diventiamo “usa e getta”. Ma ci volete aggiornare, formare? Volete investire su di noi?». Tutte domande che attendono risposta.

«Mi assumete o precario a vita?»
Christian Biagini è precario da ben 16 anni al Centro per l’impiego di Perugia: lui che deve aiutare gli altri a trovare lavoro, per sé non ha mai avuto il piacere di firmare un contratto a tempo indeterminato con lo Stato. «Sette anni di cococò, poi una serie infinita di tempi determinati, tutti con scadenza 31 dicembre», spiega. E non è che sia poco specializzato: dopo la laurea ha preso un master in Orientamento e politiche del lavoro, poi ha vinto e passato da idoneo diversi concorsi, anche per la stabilizzazione, ma le norme di Monti e dei successivi governi hanno bloccato le assunzioni, e quindi pure la sua.

Per i 7 mila dipendenti dei Centri per l’impiego (e i 700 precari) si attende la riforma del settore (legata anche al prossimo referendum costituzionale), con gli addetti per il momento al lavoro presso le dismettende province (e quindi stipendiati dalle Regioni). «Il contratto pubblico si deve rinnovare anche per noi».

Antonio Sciotto

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18/8/2016

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