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Commenti di Mauro Biani

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    Uncategorized — Dicembre 2, 2015 7:46 am

    Ovvero come nascondere la tempesta perfetta della sanità italiana. Negli ultimi anni – a causa della crisi economica e delle politiche di austerità – la salute degli italiani è peggiorata ed è fortemente diminuita la capacità del sistema sanitario di soddisfare i bisogni assistenziali della popolazione. Lo rileva l’ultimo rapporto dell’OCSE, ma non se ne parla perché ciò contrasterebbe con la narrazione happy news imperante.

    Happy News (Buone Notizie)

    Pubblicato da franco.cilenti

    tagli-sanita-2 (1)

    Da anni l’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico – OECD, Organisation for Economic Co-operation and Development) pubblica annualmente le più aggiornate e complete statistiche sanitarie, riguardo ai paesi che aderiscono all’organizzazione. Ciò avviene con due modalità: a) a metà dell’anno, generalmente a luglio, viene pubblicata, anche in formato excel, una serie “classica” di indicatori, di cui esistono prolungate serie storiche di dati (vedi Compiti per le vacanze); a fine anno viene pubblicato un volume “Health at a Glance” che analizza la situazione dell’ultimo anno disponibile, introduce altri indicatori più legati all’attualità ed include nell’analisi anche paesi non appartenenti all’organizzazione.

    Il volume di quest’anno, Health at a Glance 2015, include nell’analisi paesi come Brasile, Cina, Colombia, Costa Rica, India, Indonesia, Lettonia, Lituania, Russia and Sudafrica e introduce per la prima volta una sorta di classifica dei paesi in relazione a una serie di indicatori, riassunti in cinque dimensioni:

    1. stato di salute;
    2. fattori di rischio;
    3. accesso alle cure;
    4. qualità delle cure;
    5. risorse dell’assistenza sanitaria.

    Afferma il Rapporto che non si tratta di stabilire quali siano i migliori sistemi sanitari al mondo(operazione fallita dall’OMS con la “famosa” classifica pubblicata nel 2000, e mai più ripetuta), ma di segnalare per ogni paese quali sono le aree di forza e quelle di debolezza, e quindi di individuare le priorità per l’azione.

    Punti di forza  dell’Italia

    La longevità, è risaputo, è uno dei punti di forza dell’Italia, sia nella speranza di vita alla nascita che in quella a 65 anni.  L’Italia si segnala anche per il basso consumo di alcol e una bassa percentuale di obesi tra la popolazione adulta. Buona la qualità delle cure, vedi la bassa mortalità a seguito di un infarto miocardico acuto e a seguito di un ictus e l’alta sopravvivenza a seguito del cancro della cervice uterina. L’Italia è nelle prime posizioni nel numero di apparecchiature TAC e Risonanze magnetiche per abitanti (ma OCSE avverte che questo non è di per sé un indicatore di buona performance, infatti che accanto a ciò – nel capitolo delle risorse sanitarie – si registra un dato che pone l’Italia in fondo alle classifiche: il basso numero di infermieri per abitanti).

    Le cattive notizie per l’Italia sono in buona parte speculari a quelle buone

    Gli italiani sono longevi, ma i loro anni in buona salute si sono drammaticamente ridotti negli ultimi anni. I 65enni italiani hanno una speranza di vita di 21 anni  (al quinto posto, dopo Giappone, Francia, Spagna e Svizzera),  ma sono agli ultimi posti nella classifica per speranza di vita in buona salute: 8 per gli uomini e 7 per le donne (Figura 1).  Tale dato è confermato dai dati Eurostat che evidenziano come nel periodo 2005-2013 la speranza di vita in buona salute della popolazione italiana si sia fortemente contratta: in questo periodo la longevità è aumentata di due anni (da 80,8 a 82,8 anni), ma la speranza di vita in buona salute si è ridotta di circa 6 anni (da 67,2 a 61,4 anni), (Figura 2).

    Figura 1. Speranza di vita in buona salute a 65 anni, 2013.

     

    Cliccare sull'immagine per ingrandirla

    Figura 2. Aspettativa di vita alla nascita in Italia (anni), 2005 e 2013

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    Fonte: The European House – Ambrosetti su dati Eurostat, 2015

    Se l’obesità tra gli adulti italiani si mantiene a livelli contenuti e in Europa solo i norvegesi sono più virtuosi di noi in questa classifica, la situazione si ribalta quando si tratta di bambini e ragazzi. Qui l’Italia si trova al quinto posto nella classifica, con circa il 35% dei soggetti in condizioni di sovrappeso-obesità: peggio di noi Grecia, Inghilterra, USA e Nuova Zelanda (Figura 3).

    Figura 3. Sovrappeso e obesità nei bambini e ragazzi, 2013

    Cliccare sull'immagine per ingrandirla

    Tra gli ultimi nell’accesso alle cure

    La Figura 4 mostra una tabella sinottica degli indicatori di accessibilità al sistema sanitario. La colonna a sinistra si riferisce alla copertura sanitaria e l’Italia, al pari della grande maggioranza dei paesi OCSE, offre una copertura pressoché universale e si trova quindi, in larga compagnia, nel gruppo di testa.  Molto diversa è la situazione riferita ad altri tre indicatori: la quota di spesa out-of-pocket (ovvero la spesa privata pagata di tasca propria dai pazienti) per servizi sanitari, il soddisfacimento dei bisogni di assistenza sanitaria e odontoiatrica: per tutti e tre gli indicatori l’Italia si trova in fondo alla classifica (bottom third performers). I bisogni assistenziali non soddisfatti sono misurati anche in relazione al livello di reddito dei pazienti: in questo caso – come mostra la Figura 5 – la situazione italiana è sovrapponibile a quella greca: il 15% della popolazione con basso reddito non riesce ad accedere ai servizi sanitari perché troppo costosi, o a causa delle liste di attesa o perché troppo distanti.  Dati peraltro coerenti con recenti rilevazioni sull’accessibilità effettuate dall’Istat  e dal Censis.

    Figura 4. Accesso all’assistenza sanitaria

    Cliccare sull'immagine per ingrandirla

    Figura 5. Bisogni sanitari non soddisfatti, per livello di reddito, 2013.

    Cliccare sull'immagine per ingrandirla

     

    La tempesta perfetta nella sanità italiana

    Negli ultimi anni la salute degli italiani è peggiorata (meno sei anni di speranza di vita in buona salute e crescita dell’obesità infantile) per effetto della prolungata crisi economica con tutte le ben note conseguenze: aumento della disoccupazione e della precarietà lavorativa, aumento della povertà e del disagio sociale, dilatazione delle diseguaglianze socio-economiche e allentamento della coesione sociale.  In una situazione del genere per tutelare la salute della popolazione si sarebbero dovute rafforzare le reti di protezione sociale, come avvenne negli USA dopo la crisi del 1929 e come raccomandava The Lancet  in un paper del 2013[1], invece le politiche di austerity imposte da UE,  BCE  e FMI hanno preso di mira proprio i servizi sanitari e sociali. Ciò è avvenuto in tutta Europa, ma alcuni paesi hanno sofferto più degli altri, tra questi l’Italia.  Così mentre i bisogni sanitari aumentavano si chiudevano i varchi per accedere ai servizi, a causa delle liste di attesa sempre più lunghe e  dei ticket sempre più alti.  Per ottenere l’effetto della tempesta perfetta l’Italia ci ha messo del suo: infatti mentre la maggioranza dei paesi europei, dopo lo shock iniziale, ha ripreso a investire in sanità, il governo italiano ha continuato a sotto-finanziare il servizio sanitario nazionale. In conseguenza di ciò, – come ha scritto N. Dirindin – “da qualche anno la malattia è tornata ad essere una preoccupazione per gli italiani. La crisi economica e le restrizioni imposte alla spesa pubblica stanno mettendo in dubbio una certezza che credevamo ormai acquisita: quella di poter contare, in caso di malattia, in un sistema in grado di garantire i trattamenti necessari senza oneri a carico del beneficiario (salvo eventualmente il ticket)” vedi l’articolo su Il Sole24Ore.

    Di tutto ciò naturalmente non si parla quasi da nessuna parte perché ciò contrasterebbe con la narrazione happy news imperante, secondo cui il nostro è uno dei sistemi sanitari migliori al mondo, secondo cui si può continuare a tagliare impunemente la spesa sanitaria e il numero degli operatori sanitari, perché basta accorpare le asl per risolvere ogni problema.

    Una buona notizia che viene dalla Toscana (e viene tenuta nascosta).

    Invitiamo chi ancora non l’avesse fatto a leggere un post che abbiamo pubblicato lo scorso 19 novembre e che alleghiamo a questa newsletter Sanità d’iniziativa in Toscana. Si tratta del bilancio di quattro anni di attività della sanità d’iniziativa in Toscana, dell’applicazione del chronic care model a pazienti affetti da diabete e da scompenso cardiaco , vedi l’articolo Assistere le persone con condizioni croniche.

    Il bilancio mette in evidenza una significativa riduzione della mortalità rispetto a un gruppo di controllo assistito in modo convenzionale.  Con la sanità d’iniziativa migliora l’assistenza, migliora la soddisfazione dei pazienti, migliorano anche gli indicatori di processo, ma aumenta anche il tasso di ospedalizzazione: un esito non previsto, ma che ha le sue spiegazioni.  Tra cui quella che – in una situazione di  numero di posti letto per abitanti ridotti al minimo e quindi con un obiettiva limitazione nel ricorso ai ricoveri ospedalieri  – un aumento delle ospedalizzazioni potrebbe   essere un indice di una miglior assistenza e probabilità di sopravvivenza.

    La lezione da portare a casa (in Toscana, dove la sanità d’iniziativa è applicata solo al 50%, e a maggior ragione nel resto d’Italia) è che le buone pratiche per gestire le malattie croniche – che tolgono alle persone anni di vita in buona salute – ci sono e, dove applicate, dimostrano di essere efficaci, riducendo mortalità e disabilità. 

    Bibliografia

    1. Karanikolos M et al. Financial crisis, austerity, and health in Europe. Lancet 2013, 381:1323–1331.

    Gavino Maciocco

    30/11/2015 www.saluteinternazionale.info

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