I braccianti stranieri, in regola col permesso, ma ancora senza diritti

Lavoro nero o con gravi irregolarità contributive, sottosalario, caporalato, orari eccessivi, mancata tutela della sicurezza e della salute, difficoltà nell’accesso alle cure, situazioni abitative ed igienico-sanitarie disastrose. Sono queste le condizioni di vita dei lavoratori migranti in agricoltura denunciate dal rapporto “Terraingiusta” curato da Medici per i diritti umani (Medu) presentato oggi a Roma. Lo studio è stato realizzato in collaborazione con l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) e il Laboratorio di teoria e pratica dei diritti (Ltpd) del dipartimento di giurisprudenza dell’Università Roma Tre e con il sostegno della Fondazione Charlemagne, di Open Society Foundations, della Fondazione con il Sud e della Fondazione Nando Peretti. Da febbraio 2014 e per undici mesi, cinque territori dell’Italia centrale e meridionale sono stati oggetto di studio seguendo le stagioni agricole dalla Piana di Gioia Tauro in Calabria, alla Piana del Sele in Campania, dal Vulture Alto Bradano in Basilicata all’Agro Pontino nel Lazio. Nel periodo estivo è stata inoltre monitorata la raccolta del pomodoro nell’area della Capitanata in Puglia. Per mezzo di cliniche mobili, gli operatori di Medu hanno svolto un servizio di prossimità a bassa soglia, mappando e raggiungendo gli insediamenti abitativi dei lavoratori immigrati, prestando prima assistenza medica, fornendo informazioni e orientamento socio-sanitario. Durante il viaggio sono stati intervistati 788 migranti, dei quali 744 hanno ricevuto assistenza sanitaria per un totale di 876 consulti medici. 

Migranti in regola. Secondo quanto riscontrato dagli operatori, la gran parte dei lavoratori stranieri assistiti dal team di Medu era in possesso di un regolare permesso di soggiorno. “Per motivi di lavoro nelle aree a maggior presenza stanziale come la Campania e il Lazio – spiega il rapporto -, per protezione internazionale o motivi umanitari nei contesti con maggior flusso stagionale come la Calabria oppure ancora con caratteristiche miste in Basilicata. La percentuale di migranti in condizione di irregolarità è risultata trascurabile nell’Agro Pontino e nel Vulture Alto Bradano e ridotta a non più di un quarto dei migranti assistiti nella Piana del Sele e nella Piana di Gioia Tauro”. 

Lavoro nero o malpagato. Il fenomeno, secondo il rapporto, è apparso rilevante soprattutto nella Piana di Gioia Tauro dove l’83 per cento dei migranti incontrati dagli operatori lavorava senza contratto. Tuttavia anche in territori dove i lavoratori con contratto sono risultati essere la maggioranza (circa i due terzi nella Piana del Sele e nel Vulture Alto Bradano e quasi il 90 per cento nell’Agro Pontino) il “lavoro grigio” rappresenta una modalità diffusa: un lavoro caratterizzato da sottosalario e da irregolarità salariali e contributive. “La presenza di un contratto non rappresenta affatto per il migrante la garanzia di un equo rapporto di lavoro – denuncia il rapporto -. In particolare in tutti i contesti i contributi dichiarati sono risultati, nella maggior parte dei casi, nettamente inferiori al numero di giornate lavorative effettivamente svolte così come anche il salario, sia in presenza di contratto sia di lavoro nero, è risultato sensibilmente ridotto in genere dal 30 al 40 per cento rispetto ai minimi giornalieri garantiti dal contratto nazionale e dai contratti provinciali di lavoro”. 

Caporalato. Nonostante le tante inchieste sul tema, il fenomeno del caporalato è ancora una volta risultato diffuso in tutti i contesti, in particolar modo nei territori con maggior presenza di lavoratori stagionali come la Piana di Gioia Tauro e il Vulture Alto Bradano, dove rispettivamente i due terzi e la metà dei migranti intervistati hanno ammesso di aver dovuto ricorrere a tale tipo di intermediazione illecita per trovare lavoro. Tuttavia, il fenomeno non manca anche in territori come l’Agro Pontino, caratterizzati da presenze stanziali: “il fenomeno del caporalato si presenta con caratteristiche peculiari abbracciando l’intero ciclo del lavoro – spiega il rapporto -, a partire dal reclutamento nel paese d’origine, e assumendo talvolta le caratteristiche di una vera e propria tratta di esseri umani”. 

Condizioni di vita gravi. Rispetto agli anni precedenti, spiega il rapporto del Medu, per quanto riguarda le condizioni abitative e igienico-sanitarie dei migranti nelle zone caratterizzate dai flussi stagionali di braccianti, come la Piana di Gioia Tauro, il Vulture Alto Bradano e la Capitanata,non ci sono miglioramenti e le condizioni appaiono ancora una volta assai gravi. “Baraccopoli e casolari fatiscenti rappresentano ancora oggi il drammatico quadro da “crisi umanitaria” che segna il paesaggio di queste campagne – spiega il rapporto -. In particolare in Calabria, il 79 per cento dei migranti assistiti alloggiava in insediamenti precari privi di qualsiasi servizio mentre in Basilicata viveva in queste condizioni addirittura il 98 per cento dei braccianti”. Le principali patologie rilevate, infine, risultano essere correlate alle dure condizioni di lavoro nei campi e alle critiche situazioni di precarietà sociale, abitativa e igienico-sanitaria riscontrate nei territori di intervento.

Risposte dalle istituzioni insufficienti. A fronte di un fenomeno di “così ampie proporzioni”, però, da parte delle istituzioni, sia locali che nazionali, non c’è stata una risposta efficace. Anche se qualcosa sta cambiando, non senza difficoltà. “Nel corso della scorsa stagione – spiega il rapporto -, i governi regionali di Puglia e Basilicata hanno avviato dei piani organici con il preciso obiettivo di migliorare le condizioni lavorative e abitative dei migranti impiegati in agricoltura. Se da un lato, però, le strategie messe in campo dalle due task force create ad hoc, hanno avuto il grande merito di affrontare il problema in tutta la sua complessità, tenendo conto dei molteplici aspetti interconnessi, dall’altro, la realizzazione concreta degli specifici interventi ha dimostrato gravi carenze sia negli aspetti della pianificazione sia in quelli più propriamente operativi. In Puglia, in particolare, l’iniziativa “Capo free ghetto off”è rimasta in gran parte inattuata”. Alle istituzioni, Medu chiede l’adozione di provvedimenti urgenti e l’avvio di programmi integrati per affrontare la questione nel medio e lungo periodo superando le logiche emergenziali. Per Medu occorrono anche leggi e investimenti per il rilancio dell’agricoltura, una cultura della legalità, minime condizioni di accoglienza per gli stagionali, soluzioni abitative oltre le tendopoli e accesso alle cure all’interno del Servizio sanitario nazionale.

9/4/2015 www.redattoresociale.it

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