I castelli di latta

 

Kazimir-Malevic-Premonizione-complessa

Le scatole di latta girano da più di duecento anni, merito di un inglese, un certo signor  Peter Durand.  La diffusione capillare avvenne qualche anno dopo,  sull’etichetta si consigliava di aprirle con martello e scalpello, invece i soldati statunitensi  usavano le baionette. Logicamente parliamo di soldati USA impegnati nelle varie guerre d’indipendenza, anche perché nei anni successivi il moto continuo non permetteva loro di fermarsi a casa per un boccone. In merito esistono tante storie, perché l’uomo si convinse a usare i metalli sparsi sulla terra dopo quasi diecimila anni, secondo ipotesi storica.

La latta si basa su una lamiera di ferro morbido ricoperta dallo stagno, utilissima per mantenere gli alimenti, per i lunghi trasporti, per suddividere in parti uguali il contenuto.

I castelli di latta sono impensabili, immaginari e anche inappropriati,  un po’   come i sogni di latta, quelli facili da aprire, da sventrare, in fondo basta una baionetta o un cacciaviti, anzi adesso abbiamo l’apriscatole.  Nel nostro calvario quotidiano,  unendo i sogni di latta, abbiamo costruito solo castelli di latta.

I barattoli non hanno  più segreti per noi, non hanno segreti i nostri castelli altrimenti non sarebbero di latta, useremmo metalli pesanti, stanze segrete, chiavistelli con pass indecifrabili.  No, è tutto segnato, tutto chiaro, leggibile, inamovibile!

Il dio denaro unifica i sogni, non vogliamo la pace, ma il benessere costante e imperturbabile, il vantaggio, l’esenzione, il beneficio personale, l’egoismo più struggente; non vogliamo il tempo libero da  dedicare  ai grandi  sogni, perché crediamo di poterli comprare appena raggiunta la cifra o di rimanere scalzi in mezzo alla via.

Finito l’incanto rimane il rimpianto e castelli di latta da ricostruire giorno dopo giorno, sempre convinti possano reggere qualsiasi evento, qualsiasi urto, qualsiasi sbavatura malgrado siano appena stati distrutti.

In realtà sono i grandi sogni a rimpicciolirsi, a entrare nei castelli di latta  e rendersi accessibili dall’alto, infatti non distano e non sono diversi dagli altri castelli, quelli della porta a fianco. Effettivamente il progresso, il capitalismo, in consumismo non hanno rubato i sogni dell’uomo qualunque,  ma  resi flebili, compassati, modellabili, trattabili  e sempre meno avvincenti, quasi apatici un po’  come noi umani.

Non è insopportabile il mondo sognato, ma la vita da vivere in un recinto dove si consumano tempo, abitudini e dolore; mentre i castelli di latta sembrano far festa quando s’aprono al pubblico e non trovano il jolly, la carta dispari, la rivoluzione. Le parole vanno e tornano come boomerang, non più locuzioni di grande impegno politico,  solo castelli di latta.

Non più  redistribuzione della ricchezza, ma  cassa integrazione, non più l’esproprio proletario, ma un affitto più basso, non più la guerriglia, lo sciopero della fame e della sete, ma  il patteggiamento, la stretta di mano, l’ossequiosità, trattato e compromesso. Certo,  bisognerebbe  giocarsi di prima persona, ma non tutti vogliono arrischiar il proprio beneficio, per questo parlano di suicidio e non di disobbedienza.

I grandi sogni rimangono al palo, ormai solo i bambini sono in grado di disegnarli e senza l’influenza dei grandi potrebbero volare in alto e scontrarsi con le nuvole, gioire e segnalare la novità come nuova occasione.

Dormiamo in  castelli di latta, costretti in stanze buie, soggiogati dal riflesso della luna che, svuotata di ogni bene, decide di voltare pagina e seguire le larghe intese.

Proviamo a fare marcia indietro, cari Compagni, a utilizzare  spesso e volentieri parole tipo borghesia, proletariato, ricco, povero, padrone, boia, fascismo, privilegiato, opportunista, aristocrazia, nemico del popolo, tiranno, avaro ecc ecc.

Questo linguaggio aiuterà a collocare, a disporre di un confine tra noi e loro, a costruire castelli inattaccabili, inamovibili, invalicabili per il nemico e con un portone grande, apribile dal basso  per raccogliere il nostro dolore e la nostra rabbia, per poi ridistribuire una realtà molto simile di quella intravista nei grandi sogni di un tempo andato.

Antonio Recanatini

Poeta, scrittore. La sua poesia è atta a risollevare il sentimento della periferia, all’orgoglio di essere proletari e anticonformisti.

Collaboratore redazionale di Lavoro e Salute

Dll’inserto Cultura/e del numero di novembre di Lavoro e Salute www.lavoroesalute.org

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *