I crimini contro l’umanità lungo le rotte dell’Egeo e dei Balcani

La profondità, l’estensione, la gravità con cui nelle ultime settimane si è tragicamente acuito il dramma di centinaia di migliaia di migranti negli scenari dell’Egeo e sulle rotte balcaniche per responsabilità concorrente di Turchia, Grecia e Unione Europea sono divenute intollerabili. La violenza dell’intervento delle forze di polizia per sbarrare la strada al flusso dei rifugiati o impedire lo sbarco alle imbarcazioni di fortuna dirette verso le isole della Grecia, le aggressioni squadriste compiute da gruppi neonazisti lasciati liberi di agire, le condizioni disumane in cui sono state abbandonate nell’isola di Lesbo decine di migliaia di persone sfuggite all’odio e alla violenza della guerra, costituiscono un’onta destinata a macchiare per sempre la coscienza dei popoli europei e delle loro istituzioni comuni.

Con questa dichiarazione Il Tribunale Permanente dei Popoli, proseguendo il lavoro condotto nelle sue cinque Sessioni sulla violazione dei diritti umani delle persone migranti e rifugiate (2017-2019), con il supporto di centinaia di organizzazioni e movimenti della società democratica europea, denuncia specificamente la drammaticità di una ulteriore involuzione delle politiche e delle prassi della UE e dei suoi Stati membri. Così come abbiamo espresso nei termini più espliciti e articolati nel documento finale presentato un anno fa a Bruxelles nella sede del Parlamento Europeo, le violazioni dei diritti umani provocate in modo massiccio e sistematico sulle persone e su intere popolazioni di migranti e rifugiati costituiscono nel loro insieme una continua, programmata e sistematica negazione dei diritti fondamentali e integrano dei veri e propri crimini contro l’umanità che, derivando da politiche pubbliche a cui concorrono molti attori, costituiscono veri e propri “crimini di sistema”.

Questi eventi dimostrano come la politica di esternalizzazione delle frontiere, volta a impedire ai profughi l’ingresso in Europa attraverso la sostanziale cancellazione del diritto di asilo, sta provocando una vera e propria catastrofe umanitaria, alla quale nessun essere umano può essere indifferente, senza perdere la propria stessa dignità.

Dopo avere fatto morire migliaia e migliaia di persone in mare, nelle acque del Mediterraneo, per omissioni di soccorso o per deliberata attività di respingimento, adesso la pratica del disconoscimento della dignità umana dei profughi si diffonde anche alle frontiere terrestri.

È inaccettabile che la Grecia abbia “sospeso” unilateralmente l’applicazione della normativa europea in materia di protezione internazionale e interdetto la possibilità di accedere al territorio per chiedere asilo, senza nessuna reazione da parte delle istituzioni europee. Come ha osservato l’UNHCR, «né la Convenzione del 1951 sullo status dei rifugiati né il diritto dell’Unione Europea in materia di asilo contemplano alcuna base legale che permetta di poter sospendere la presa in carico delle domande di asilo. A tale riguardo, il Governo greco ha evocato l’art. 78(3) del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE). Tuttavia, le disposizioni in esso contenute permettono al Consiglio Europeo di adottare misure provvisorie, su proposta della Commissione Europea e in consultazione col Parlamento Europeo, nell’eventualità in cui uno o più Stati membri si trovino a dover far fronte a una situazione di emergenza caratterizzata da un afflusso improvviso sul proprio territorio di stranieri cittadini di Paesi terzi, senza però prevedere la possibilità di sospendere il diritto di chiedere asilo e il principio di non-refoulement, entrambi riconosciuti dalle norme internazionali e ribaditi dal diritto dell’UE. Le persone che fanno ingresso irregolarmente sul territorio di uno Stato non devono essere sanzionate se si recano, senza indugiare, presso le autorità per presentare domanda di asilo».

Enorme è la responsabilità delle autorità dell’Unione se si pensa che la recente visita della Presidente della Commissione Europea sulla frontiera greco-turca si è risolta in una sostanziale approvazione della condotta di respingimento dei profughi e dei metodi adoperati dalla Grecia. Tutto ciò è confermato dal nuovo ruolo assegnato all’Agenzia per il controllo delle frontiere esterne FRONTEX, oggi ridefinita come “Guardia di frontiera e costiera europea”, un vero e proprio corpo di polizia dotato di motovedette e autoveicoli militari che interviene in sinergia con le guardie di frontiera dei paesi membri, operando respingimenti indiscriminati e procedendo ad espulsioni con accompagnamento forzato, senza guardare alla violenza dei mezzi adottati.

Di fronte all’acuirsi drammatico di un’altra situazione di guerra che fa dell’afflusso di migranti e rifugiati non una “emergenza”, ma una costante ormai strutturale, la UE ha risposto soltanto con politiche di “contenimento” indiscriminato, dettate da egoismo miope e da considerazioni di rapporti sempre più ambigui con i diversi attori politici e militari.

Questa situazione sta diventando sempre più drammatica poiché l’affidamento alla Turchia del trattenimento dei profughi provenienti in massima parte dal conflitto in Siria ha determinato la creazione di veri e propri campi di concentramento da cui tutti legittimamente aspirano a fuggire e ha messo in mano a Erdogan un formidabile strumento di ricatto nei confronti dell’Unione.

A fronte di questa disastrosa situazione, l’Unione Europea deve intervenire subito, ai sensi di quanto prevede il Trattato sul funzionamento dell’Unione (art. 78.3) attuando un piano di ricollocazione straordinario e urgente dei profughi che giungono in Grecia e Bulgaria per sottrarre alla violenza e all’arbitrio le decine di migliaia di esseri umani che hanno diritto a essere accolti e a chiedere asilo in Europa. Il Piano deve prevedere quote adeguate e va attuato con procedure celeri e senza l’applicazione di requisiti legati alla nazionalità al fine di evitare irragionevoli discriminazioni e determinarne il fallimento, come purtroppo già è avvenuto nel 2015 con le misure allora assunte a favore di Grecia e Italia e rimaste quasi del tutto inattuate.

Siamo consapevoli che per governare fenomeni complessi non basta invocare il diritto, ma la politica deve essere in ogni caso rispettosa dei diritti fondamentali delle persone e dei popoli, giacché la tutela dei diritti fondamentali costituisce un limite invalicabile per tutti, anche per i legislatori e i Governi, che devono indicare prospettive e fornire soluzioni che rendano effettivi i diritti umani e l’aspirazione alla convivenza pacifica fra diversi.

La politica dell’UE esprime e determina inevitabilmente anche i comportamenti e la cultura di fondo della società civile europea, al di là dei Governi degli Stati membri. L’attuale acuta attenzione, più che giustificata e con tutte le sue contraddizioni, all’emergenza COVID 19 sta concorrendo, insieme alle logiche delle politiche economiche neoliberiste, a fare del “problema della migrazione” non già l’indicatore imprescindibile della capacità della nostra civiltà di essere umana, ma l’espressione manifesta di un’Europa che condanna allo “scarto” e cancella tutti gli umani che non rientrano nelle logiche dei propri modelli di sviluppo. L’impunità di questa cancellazione attribuisce al crimine di sistema l’eco di un ongoing genocide di cui l’umanità futura ci chiederà conto.

Philippe Texier, presidente del Tribunale e, a nome dei giudici delle Sessioni del TPP su La violazione dei diritti umani delle persone migranti e rifugiate (2017-2019): Teresa Almeida Cravo, Bridget Anderson, Perfecto Andrés Ibáñez, Leah Bassel, Souhayr Belhassen, Maureen Byrne, Eddie Bruce Jones, Luciana Castellina, Jennnifer Chiriga, Donatella Di Cesare, Mireille Fanon Mendes-France, Marina Forti, Pierre Galand, Domenico Gallo, Leticia Gutiérrez, Franco Ippolito, Claire-Marie Lievens, Carlos Martín Beristain, Francesco Martone, Luis Moita, Madeleine Mukamabano, Patricia Orejudo, Wah-Piow Tan, Enrico Pugliese, Laia Serra, Sophie Thonon-Wesfreid, Stasa Zajovic.

24/3/2020

Tribunale permanente dei popoli

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