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Altra Informazione, Blog, Comitati di Lotta, Cronache di Lavoro, Cronache Politiche, Cronache Sindacali, Cronache Sinistra Europea, Cronache Sociali, Politiche di Rifondazione, sanità e salute, sicurezza lavoro, Storia e Lotte — Aprile 16, 2019 7:31 am

Dopo 22 settimane di marce, assemblee e iniziative nazionali e locali la domanda non è più che fine ha fatto il movimento dei Gilet gialli, malgrado resti poco e mal raccontato, ma “come fa questo movimento a durare così a lungo?”. Si tratta di un movimento autonomo e popolare, che non riconosce alcun leader e che nomina i suoi rappresentanti provvisori mediante sorteggio. Nonostante sia molto diffamato e soprattutto represso ha mostrato di saper cambiare e crescere, ad esempio ha messo al centro i temi dell’ambiente e ha scelto come obiettivo generale quello di reinventare la democrazia. Certo, il presidente Macron, pur essendo stato colto a mentire per coprire la brutalità della polizia (la repressione non ha precedenti nella storia della Repubblica), è tuttora considerato internazionalmente un leader democratico progressista, ma diversi pezzi di società, non solo francesi, hanno cominciato a sostenere i Gilet gialli. Settecento “delegati” del movimento nei giorni scorsi si sono incontrati presso la Casa del popolo di St. Nazaire: il cartello sulla parete che ha accolto l’assemblea proclamava: “Nessuno ha la soluzione, ma tutti ne hanno un pezzo”

I Gilet Gialli non smettono di lottare

Pubblicato da franco.cilenti

Dopo cinque mesi di costante presenza nelle rotatorie, ai caselli autostradali e di pericolose marce del sabato, il grande movimento sociale auto-organizzato noto come i Gilet Gialli ha appena tenuto la sua seconda nazionale “Assemblea delle Assemblee”. Centinaia di gruppi attivisti autonomi dei Gilet Gialli di tutto la Francia hanno scelto ciascuno due delegati (una donna e un uomo) per riunirsi nella città portuale di St. Nazaire per un fine settimana di decisioni (5-7 aprile).

Dopo settimane di schermaglie con le autorità municipali, i Gilet Gialli locali sono riusciti a ospitare settecento delegati presso la “Casa del Popolo” di St. Nazaire e i tre giorni di assemblee generali e gruppi di lavoro si sono conclusi senza intoppi in un’atmosfera di buon sodalizio. Un cartello sulla parete proclamava: “Nessuno ha la soluzione, ma tutti ne hanno un pezzo”.

Il loro progetto: mobilitare la propria “intelligenza collettiva” per riorganizzare, prolungare e dare strategie alla loro lotta. Lo scopo: ottenere gli obiettivi immediati di salari e pensioni vivibili, ripristino delle provvidenze sociali e di servizi pubblici quali scuole, trasporti, uffici postali, ospedali, tassare i ricchi e bloccare la frode fiscale di pagare per preservare l’ambiente e, più ambizioso di tutti, nel processo reinventare la democrazia. La loro Dichiarazione termina con la frase “governo del popolo, da parte del popolo e per il popolo”. Spesso mi chiedo se sappiano chi l’ha coniata.

Gilet Gialli e Verdi uniti nella lotta

Particolare attenzione è stata dedicata al tema dell’ambiente, riaffermando lo slogan popolare: “Fine della settimana. Fine del mondo. Stessa logica, stessa lotta” (fa rima in francese). L’Assemblea si è spinta più in là e ha fatto appello a “tutte le persone che desiderano por fine all’espropriazione dei viventi per assumere una posizione conflittuale contro il presente sistema al fine di creare, insieme, un nuovo movimento popolare, sociale, ecologico”.

Questo mostra una crescita dall’originale rivolta dei Gilet Gialli, iniziata come protesta contro un aumento delle imposte sul carburante Diesel nel nome della “difesa dell’ambiente”. (Meno noto è che solo il 17 per cento di quelle imposte era realmente destinato all’ambiente. In ogni caso Macron le ha revocate in un iniziale tentativo di pacificare il movimento). Da allora i Gilet Gialli hanno tentato di convergere con gruppi ambientalisti che molti Gilet Gialli poveri e della classe lavoratrice non possono evitare di considerare borghesi in bicicletta che vogliono apparire carini ma non sono disposti a lottare direttamente contro il sistema.

Così il loro appello all’unità è in parte anche una sfida al movimento ambientalista: “Unitevi a noi nella lotta per l’uguaglianza sociale e siate pronti a combattere l’intero sistema”. Brillante! Chi ha detto che un movimento autonomo non strutturato di persone comuni, non ben istruite, potesse venirsene fuori con strategie e tattiche? Gli psicologi spiegano che questo “sapere delle folle”emerge ogniqualvolta le persone sono in posizioni di parità e libere da costrizioni. Cresce attraverso l’esperienza. E la discussione. Un processo dialettico che determina il suo emergere. “Nessuno ha la soluzione, ma tutti ne hanno un pezzo”. Questa fu la base della democrazia diretta ad Atene, dalla quale i Gilet Gialli hanno anche mutuato l’idea di scegliere i rappresentanti mediante sorteggio.

Autonomia

L’Assemblea delle Assemblee ha riaffermato il principio fondante dei Gilet Gialli di tenersi fuori dai partiti politici. Anche da leader. Secondo me questo è un colpo geniale. Ogni movimento di massa cui ho partecipato in oltre sessant’anni è stato cooptato (o schiacciato) dal sistema. I leader creano un ufficio, cercano di raccogliere fondi e di ottenere accesso al potere e finiscono col compromettersi; trattano gli attivisti della base come un elenco di indirizzi e la forza e la dinamica del movimento di massa si disperde, come il Congelamento del Nucleare che un tempo mobilitò milioni di persone. Alla fine il Partito democratico li adesca. Qui il Partito socialista ha ingoiato SOS Racism, l’embrione di un movimento per i diritti civili molto necessario qui in Francia.

Istintivamente fin dall’inizio i Gilet Gialli sembrano aver assimilato e messo in pratica la profonda critica della democrazia rappresentativa che risale al diciottesimo secolo e fu applicata durante la Comune di Parigi nel 1871. In essa ai delegati furono conferiti mandati limitati, soggetti a revoca istantanea, regolarmente ruotati e remunerati con salari da lavoratori. I comunardi  sollecitarono anche altre città a sollevarsi e a collegarsi in una federazione. Questo è precisamente il modus operandi dei Gilet Gialli.

Europa

La critica della rappresentanza spiega l’atteggiamento dell’Assemblea nei confronti delle imminenti elezioni per il parlamento europeo, che costituiranno una specie di prova delle prossime elezioni legislative quando i partiti competeranno seriamente per i voti. La paura di essere manipolati per fini politici è forte. Il mese scorso Gilet Gialli a una dimostrazione di Parigi hanno identificato una Gilet Giallo che aveva appena dichiarato la sua candidatura con grande fanfara mediatica, apparentemente nel nome dei Gilet Gialli. Erano furibondi e le hanno gridato contro fino a quando non si è ritirata, scossa. Brutto, ma un esempio necessario per chiunque altro preferisca essere un politico piuttosto che un Gilet Giallo (senza dimettersi prima).

Per quanto riguarda l’Europa, l’Assemblea, lungi dal sollecitare un’uscita della Francia (Frexit) si è rivolta ai movimenti sociali di altri paesi dell’Unione Europea con un appello a unirsi e lottare contro le sue politiche neoliberiste. L’Assemblea non ha visto alcun senso nel votare in questa elezione finta. Come sanno tutti, il parlamento europeo non ha alcun potere e nemmeno visibilità. Non sta neppure a Bruxelles, dove le decisioni importanti sono prese da rappresentanti delle banche tedesche e di imprese multinazionali. Inoltre limita la spesa in deficit dei paesi membri, rendendo così illegale per la Francia finanziare i servizi sociali e la ricostruzione dell’ambiente che il popolo reclama.

Ristrutturazione e riflessione

L’Assemblea delle Assemblee dello scorso fine settimana è coincisa con l’Azione 21 della lunga lotta dei Gilet Gialli per occupare spazi pubblici e proclamare liberamente le proprie speranze e rabbie, e ha mosso solo 23.400 persone (conteggio governativo) in tutta la Francia, il numero più basso sinora. Poco di che meravigliarsi dopo cinque interi mesi di repressione sanguinaria. La polizia era, come al solito, presente in forze e ha fermato e perquisito 14.919 persone secondo la Prefettura di Parigi. Dopo ventun settimane di battaglie, molti di noi sono troppo stanchi, troppo spaventati e/o troppo anziani per la “corsa con i tori” lungo le strade schivando candelotti lacrimogeni.

“Pensavamo di partecipare a una volata. In realtà eravamo coinvolti in una maratona e dobbiamo prepararci”, ha ammesso un oratore. Ci rendiamo conto che dobbiamo variare le nostre tattiche, affinare i nostri obiettivi, organizzare meglio le nostre strutture democratiche perché il movimento duri, e l’Assemblea dello scorso fine settimana ha tentato di affrontare questa sfida con tre settimane di discussioni e numerosi nuovi approcci.

Tra le nuove tattiche c’è stato un appello a una grande protesta nazionale contro la crescente repressione imposta dal governo Macron, per la liberazione di tutti i detenuti, Gilet Gialli o altri partecipanti a lotte “criminalizzate” con riferimento diretto alle comunità oppresse di nordafricani e immigrati in Francia, la cui rivolta giovanile del 2005 fu brutalmente repressa. “[La violenta repressione] che stiamo subendo oggi è stata per decenni l’esperienza quotidiane nei quartieri popolari [“periferie” simili a ghetti – N.d.A.-]” Concludendo: “Oggi l’autoritarismo viene generalizzato all’intera società”.

La risposta di Macron: propaganda e repressione violenta

In contrasto con queste deliberazioni, lo scorso fine settimana il governo Macron ha consegnato i risultati del suo “Grande Dibattito” ufficiale, una trovata pubblicitaria organizzata dal suo governo con un costo di 12 milioni di euro per esibire il presidente che rispondeva articolatamente a uditori selezionati di sindaci e notabili locali in paesi e cittadine di tutto il paese. In tutto Macron ha sommato 92 ore di discorsi. Il monarca eletto della Francia ha ideato questo “Dibattito”, i cui limiti erano fissati in anticipo (era esclusa la tassazione dei ricchi e delle imprese) come sua “risposta” alla richiesta dei Gilet Gialli di democrazia partecipativa. I risultati non sono stati sorprendenti: i francesi vogliono “meno tasse e nessun taglio ai servizi” (NYT, 9 aprile). Alla richiesta se il “Grande Dibattito” sia stato un “successo per Macron e per il suo governo”, solo il 6 per cento degli intervistati da BFM-TV ha risposto “sì”. Un altro sondaggio ha rivelato che il 35 per cento del popolo francese continua ad approvare i Gilet Gialli (con un calo dal 70 per cento del dicembre scorso), mentre solo il 29 per cento approva Macron.

Propaganda a parte, la risposta reale del governo Macron all’opposizione pubblica costituita dai Gilet Gialli è stata brutalmente dura: diffamazione, repressione violenta e nuove leggi rigorose che limitano il diritto di dimostrare, un diritto onorato nella Dichiarazione dei Diritti Umani e nella Costituzione francese. Macron e i suoi ministri hanno pubblicamente denunciato i Gilet Gialli come “antisemiti”, “fascisti”, “folla odiatrice” e una cospirazione violenta di “40-50.000” terroristi “dell’estrema sinistra e dell’estrema destra” per distruggere le istituzioni francesi. Questa caricatura maligna, echeggiata interminabilmente dai media e rafforzata di immagini spaventose di violenza e vandalismo contro i simboli della ricchezza e del potere a Parigi è mirata a disumanizzare i dimostranti, altrimenti facilmente riconoscibili come provinciali poveri che sono stanchi di essere ignorati. Così demonizzati, le reali richieste dei Gilet Gialli, di dignità e giustizia, possono essere ignorate. Come minaccia alla Francia devono essere repressi con ogni mezzo necessario.

Dal novembre 2018, quando il movimento dei Gilet Gialli è improvvisamente spuntato forte di 300.000 partecipanti, il governo ha scatenato una violenza poliziesca senza precedenti, usando armi di tipo militare contro manifestanti disarmati, provocando centinaia di gravi lesioni (tra cui accecamenti, perdita di arti e volti sfregiati). Anche se invisibile nei media prevalenti francesi (sovvenzionati dal governo e di proprietà dell’industria) questa violenza governativa è stata ripetutamente condannata da gruppi per i diritti umani in Francia e nell’Unione Europea, nonché da Michelle Bachelet, ex presidente del Cile e Alto Commissario dell’Onu per i Diritti Umani.

Violenza governativa alla fine esposta

Sabato 23 marzo, mentre il presidente visitava la Riviera, la settantatreenne Genevieve Legay, portavoce locale di Attac (l’ONG internazionale con una storia ventennale che propone di tassare le transazioni finanziarie a fini sociali) si è unita a una dimostrazione dei Gilet Gialli a Nizza per parlare contro questa repressione. Intervistata da una televisione locale con una bandiera arcobaleno della pace, ha detto:

“Siamo qui per dire che abbiamo il diritto di manifestare… Lasceremo questa piazza quando lo sceglieremo noi. E se useranno la forza… allora vedremo. Non ho paura. Ho settantatré anni, che cosa potrebbe succedermi? Sto lottando per i miei nipoti. Contro i paradisi fiscali e tutti il denaro che le banche stanno riciclando, contro l’energia fossile”.

Pochi momenti dopo, il comandante della polizia Souchi ha ordinato alla sua polizia antisommossa pesantemente armata di caricare il gruppo pacifico in cui stava Genevieve Legay e lei si è trovata a terra, circondata da poliziotti antisommossa, con il cranio incrinato e costole rotte. È tuttora in ospedale con gravi lesioni.

Lunedì il procuratore pubblico e il presidente Macron hanno negato categoricamente che lei avesse avuto un qualsiasi contatto con la polizia e il presidente, intervistato dal giornale locale, ha presentato una scusa ipocrita “augurandole una pronta guarigione e sperando che lei possa apprendere un po’ di ‘sagesse’ (letteralmente ‘saggezza’, ma solitamente applicato a bambini, nel senso di imparare a “comportarsi bene”). Secondo il presidente della Francia, da fragile persone anziana la signora Legay avrebbe dovuto saper fare meglio che uscire nella piazza, tanto per cominciare, e così era finita travolta dalla folla. (L’altezzoso Macron, come l’arrogante Trump, pare godere nell’aggiungere beffa al danno). Ma come chiarisce la sua intervista televisiva, Genevieve Legay sapeva benissimo che stava rischiando la vita per difendere la libertà democratica di manifestare e aveva previsto tale aggressione momenti prima che fosse ordinata dal comandante della polizia Souchi.

In realtà, video girati sul posto e la testimonianza di medici di strada e di altri testimoni (compresi poliziotti) hanno raccontato una storia differente. Apparentemente un poliziotto che portava uno scudo l’aveva colpita alla testa e abbattuta, dopo di che lui e altri poliziotti le si erano messi sopra e l’avevano trascinata via sanguinante, rifiutando di consentire ai medici di strada di assisterla. Potrebberlo averla anche presa a calci mentre era a terra, il che potrebbe spiegare le sue costole rotte. Più tardi la polizia è entrata nella sua stanza d’ospedale, come la signora Legay era sola (le sue figlie erano state obbligate a star fuori senza spiegazioni). I poliziotti hanno ripetutamente cercato di far ammettere alla signora Legay che l’aveva fatto cadere un “cameraman”, ma quando lei ha ripetuto che era stato un poliziotto, hanno smesso di prendere appunti.

Nel frattempo video dell’attacco erano dovunque su Internet e il sito giornalistico indipendente, sostenuto da abbonati, Médiapart aveva raccolto prove di testimoni e le aveva presentate al procuratore pubblico che il 29 marzo è stato obbligato a far marcia indietro e ad affermare il coinvolgimento della polizia. Poi, l’8 aprile, Médiapart ha svelato la deliberata copertura ufficiale di questo attacco. Emerge che la persona posta a capo dell’indagine, Hélène P., una delle poliziotte che presumibilmente avevano fatto pressioni sulla signora Legay nella sua stanza d’ospedale perché dichiarasse di essere stata fatta cadere da un “cameraman”, era nessun altro che la moglie civile del comandante Souchi, che aveva urlato l’ordine “Carica! Carica!” contro il gruppo pacifico in si trovava la signora Legay.

Questo scandalo ha rotto alla fine il silenzio ufficiale sulla brutalità poliziesca francese dopo cinque mesi di attacchi violenti e indiscriminati contro i Gilet Gialli, visibili su YouTube ma non in televisione. Persino la morte, durante una dimostrazione per la casa a Marsiglia, di Zaineb Redouane, una signora ottantenne uccisa il 4 dicembre sulla sua finestra al piano superiore colpita direttamente al volto da un candelotto lacrimogeno, è passata sotto silenzio. (Era solo un’algerina).

Bugie e insabbiamenti di Macron

Dunque, il presidente della repubblica è stato colto a mentire direttamente per coprire la brutalità della polizia. Non tanto strano quanto sembra, considerato che lo scandalo che gli si è attaccato addosso come una zecca l’estate scorsa, scoperto anch’esso da Médiapart, è l’Affare Benalla, nominato capo della sicurezza di Macron, che l’anno scorso è stato ripreso in video, con addosso un’uniforme della polizia antisommossa presa in prestito, mentre bastonava ferocemente un dimostrante steso a terra, apparentemente solo per il gusto di farlo. È poi emerso che il protégé e braccio sinistro di Macron, Benalla, era anche coinvolto in una varietà di intrighi e truffe internazionali, che continuano a macchiare l’immagine da Mastro Lindo di Macron in Francia con l’emergere di nuove prove.

Ciò nonostante Macron, un ex socialista, è tuttora considerato internazionalmente un leader democratico progressista che sta modernizzando con efficienza l’arcaica “eccezione” della Francia al dogma neoliberista, fondamentalmente un amico dei diritti umani. La straordinaria violenza del suo regime è rimasta celata dietro una cortina di fumo di demonizzazione dei Gilet Gialli e una censura di fatto da parte dei media prevalenti. Persino la liberale New York Review of Books, che negli anni ’60 aveva stampato in prima pagina un diagramma di una bottiglia Molotov, ha aderito a questa linea, incolpando della “violenza” i dimostranti. Dunque prima di abbandonare questo tema, osserviamo alcune statistiche sgradevoli ed esaminiamo poi il ruolo dei Black Bloc dei cosiddetti casseurs (“devastatori”) nel sostenere tale immagine.

La violenza di chi?

La versione ufficiale è che i Gilet Gialli sono andati attaccando le forze dell’ordine e in effetti sono spesso visti in televisione mentre rimandano candelotti lacrimogeni indietro contro la polizia. Il ministro dell’interno Castener è stato categorico: “Non conosco nessun poliziotto che abbia attaccato i Gilet Gialli”. Ecco le statistiche.

Nessun poliziotto risulta essere rimasto ferito seriamente durante i cinque mesi di scontri settimanali con i Gilet Gialli. D’altro canto le cifre ufficiali più recenti del ministero dell’interno elencano 2.200 dimostranti feriti, 10 occhi rimossi permanentemente, 8.700 arresti, 1.796 condanne, 1.428 candelotti lacrimogeni sparati, 4.942 granate a dispersione sparate e 13.460 flashball (LBD) sparate.

Le flashball, prodotte in Svizzera, sono classificate come “armi militari sub-letali”, ma quando attraversano il confine francese diventano magicamente dispositivi per il controllo delle folle. Sono estremamente potenti e accurate a circa cinquanta metri e il numero di ferite alla testa indica che sono state deliberatamente mirate alla testa di dimostranti, così come i candelotti e le granate lacrimogene.

L’elenco di Médiapart conta 606 dimostranti feriti, tra cui un morto, 5 mani amputate, 23 perdite di un occhio, 236 ferite alla testa (tra cui fratture della mascella) e 103 attacchi a giornalisti. Tra i feriti, 462 erano dimostranti, 39 minori, 22 passanti, 61 giornalisti e 20 medici.

E i vandali violenti?

Per quanto riguarda i Black Bloc e altri casseurs (“devastatori”) essi sono certamente colpevoli di danni alle proprietà su scala considerevole ma, per quanto ne so, non hanno ferito, accecato o mutilato nessun essere umano. Questa per me (ma evidentemente non per i media francesi) è una differenza importante. Non ho mai mangiato nel ristorante Fouquet, ma sono certo che è assicurato.

Il mio problema con i Black Bloc nelle dimostrazioni dei Gilet Gialli è che non finiscono mai arrestati o colpiti da flashball. Andate su YouTube e potrete vedere dozzine di video di tizi mascherati, vestiti di nero con piedi di porco che fracassano banche e devastano negozi alla luce del sole. Nessuno li ferma. Perché? Un certo numero di casseurs è stato individuato (e filmato) come costituito da provocatori della polizia, infiltrati nelle manifestazioni, a devastare cose e poi fatti filtrare indietro attraverso gli schieramenti della polizia. Questa è una vecchia tattica poliziesca francese mirata a macchiare l’immagine di una dimostrazione e a giustificarne la repressione violenta, ma la verità completa è che l’Europa è piena di giovani arrabbiati, sedicenti anarchici, profondamente coinvolti nel combattere il sistema distruggendone i simboli. Provengono da tutta l’Europa. Così i poliziotti li lasciano stare e si concentrano sulla loro missione principale: brutalizzare le folle di dimostranti comuni per spaventarli e reprimere il dissenso. Inoltre quelli del Black Bloc è più probabile che facciano sputare sangue ai poliziotti che cercano di fermarli, che non lo facciano ragazzi delle superiori, genitori con figli e vecchi come me e Genevieve. Mi piacerebbe molto di più i Black Bloc se combattessero gli stessi poliziotti, invece di usare noi come scudi umani mentre manifesta la sua rabbia molto comprensibile e noi finiamo gassati e sparati.

Legislazione “liberticida”

Le nuove leggi “anti-casseurs” che Macron sta facendo passare attraverso il parlamento legalizzeranno e fisseranno nel marmo per il futuro le pratiche repressive usate contro i Gilet Gialli, rendendole permanentemente disponibili ai suoi successori (ad esempio a Martine LePen). Non hanno nulla a che fare che i reali casseur (che ovviamente stanno violando leggi esistenti e devono semplicemente essere arrestati in base a esse) e tutto per rendere quasi impossibile manifestare a ecologisti, sindacalisti o Gilet Gialli.

Ad esempio, se si è un Gilet Giallo di una piccolo paese e si prende il treno per Parigi un sabato, è probabile che si sarà fermati diverse volte tra la stazione ei Champs Elysées. Se nello zaino si ha vaselina, gocce per gli occhi, occhiali da sci, un casco da ciclista, una sciarpa o, Dio non voglia, una maschera antigas, si può essere arrestati, sottoposti a un giudizio sommario e condannati lo stesso giorno per far parte di un “gruppo organizzato al fine di distruggere l’ordine pubblico e ostacolare le forze dell’ordine”.

Naturalmente se insistete per avere un vero processo con avvocati e tutto il resto, saranno lieti di detenervi in carcere, ma se non vi presentate al lavoro lunedì perderete il posto e nel frattempo chi si occupa dei bambini? E se alla fine riuscite a partecipare alla dimostrazione e la dimostrazione determina danni a proprietà, potrete anche essere reso legalmente e finanziariamente responsabile. Potrete anche finire in una lista di persone pericolose e bandito dal dimostrare di nuovo, a capriccio del prefetto locale.

La prospettiva raggelante di trasformare in legge queste assurde pratiche di uno stato di polizia è ciò che ha portato pacifisti come Genevieve Legay nelle strade con i Gilet Gialli. Intervistata in ospedale, dove è ancora sofferente e sta guarendo lentamente da molteplici lesioni, ha detto:

“Oggi sono decisa a portare avanti la lotta. È sempre più necessario farlo quando si assiste alla deriva antidemocratica di questo governo […] I Gilet Gialli mi appoggiano e io continuerò ad appoggiare loro. Non smetterò di battermi per difendere i nostri diritti, come ho fatto per cinquant’anni, e di lottare contro la repressione statale qualsiasi forma assuma”.

Il gatto è fuori dal sacco

Non sarà sola. La Lega per i Diritti dell’Uomo e più di altri cinquanta gruppi per i diritti civili, associazioni religiose, sindacati, associazioni civiche e partiti di estrema sinistra hanno appena convocato una grande dimostrazione nazionale per il diritto di manifestare, assieme ai Gilet Gialli, questo sabato, 13 aprile. Spero che sarà imponente.

La scelta di sabato è importante come atto di solidarietà con i Gilet Gialli, che da soli hanno difeso il diritto del pubblico di riunirsi in luoghi pubblici, e ciò a considerevole rischio personale. Per 22 settimane i Gilet Gialli hanno attuato questo diritto democratico fondamentale attraverso il loro rifiuto di principio di chiedere alla polizia il permesso speciale perché cittadini si riuniscano in una pubblica piazza o sfilino lungo le strade. Immaginate “Occupy Wall St.” che abbia luogo in tutto il paese, in città e in rotatorie stradali, settimanalmente. Da soli, i Gilet Gialli hanno subito migliaia di lesioni e migliaia di arresti in questo atto settimanale di disobbedienza civile, proclamando il diritto alla città. Oggi, finalmente, hanno riconoscimento e alleati.

Questa convergenza di altri gruppi, assieme alle nuove prospettive uscite dall’Assemblea delle Assemblee dei Gilet Gialli, possono segnare una nuova fase nella loro lunga e solitaria lotta contro il duro regime neoliberista antidemocratico di Macron nella sua implacabile spinta a cancellare i relativi vantaggi nel tenore di vita, servizi sociali e libertà personali conquistati da precedenti generazioni del popolo francese nel 1936 (lo sciopero generale), nel 1945 (la Liberazione) e nel 1968 (lo sciopero generale e le rivolte degli studenti). In effetti dal 1789 (Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo che onora il diritto del popolo a manifestare le sue rimostranze).

Richard Greeman

Fonte: zcomm.org

Traduzione per znetitaly di Giuseppe Volpe (© 2019 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3). Titolo originale completo I Gilet gialli lottano per reinventare la democrazia

9/4/2019 Pubblicato da https://comune-info.net

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Autore: franco.cilenti
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