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Commenti di Mauro Biani

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    Nell’aprile dello scorso anno, la giurista gambiana Fatou Bensouda ha reso noto, con un documento di 60 pagine, che la sua “Procura ha esaminato attentamente le osservazioni delle parti e rimane dell’opinione che la Corte penale internazionale abbia giurisdizione sul Territorio palestinese occupato”. C’è stata molta confusione sul significato di quella decisione e sui tentativi politici di sabotarla.

    I labirinti della giustizia che non c’è

    Pubblicato da franco.cilenti
    foto Pixabay

    L’intervista all’avvocato Ugo Giannangeli, da molti anni impegnato nella solidarietà con il popolo protagonista della più lunga resistenza della storia contemporanea, spiega in modo estremamente dettagliato il significato e le conseguenze reali di quell’affermazione. Nella migliore delle ipotesi, bisognerà attendere almeno dieci anni per avere una sentenza che sancisca le responsabilità dei leader israeliani per crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Eppure, precisa il giurista, seguire i meandri infiniti di quell’iter processuale estenuante è molto importante, e forse non soltanto dal punto di vista storico. D’altra parte, se anche quella sentenza arrivasse l’anno prossimo, per il livello insopportabile raggiunto dal regime di apartheid cui è stato sottoposto quel popolo, la giustizia non arriverebbe mai abbastanza presto. L’oppressione israeliana vive e rinasce giorno dopo giorno, non solo nella strategia del terrore e nei massacri ma nella concretezza della vita quotidiana. Esattamente come l’impossibilità di farla finita con la resistenza che ogni giorno gli si oppone. La Corte penale è un’istituzione politica, soggetta agli interessi dei suoi membri, solo il tempo dirà fino a che punto sarà disposta a spingersi. La lotta per l’affermazione dei diritti umani e della dignità non dipende dai tribunali.

    Intervista di Patrizia Cecconi su comune-info.net

    Le modifiche in campo internazionale hanno indotto qualcuno a sperare – non sappiamo se per puro ottimismo della volontà o per aver colto qualche debole segnale – in un’inversione di rotta circa le ingiustizie subite dal popolo palestinese. Sebbene la fiducia nella legalità internazionale sia sempre più flebile, non sono pochi a fare affidamento sulla Corte penale internazionale (CPI) visto che le speranze riposte nell’ONU sono sempre più evanescenti. Per questo abbiamo intervistato il giurista Ugo Giannangeli, affinché ci faccia conoscere qualcosa di più circa il procedimento in corso sulla Palestina presso la CPI.

    Il tuo impegno per la Palestina e per i diritti umani in genere è conosciuto dagli attivisti, in particolare nel nord dell’Italia, e da chi ha letto le tue pubblicazioni. Per questo ci pare importante conoscere il tuo parere su un tema che sta molto a cuore a chi crede nell’aiuto che la Corte penale internazionale possa dare alla causa palestinese. Puoi dirci qualcosa?

    In molteplici occasioni ho verificato che gli attivisti per la causa palestinese ripongono molte speranze e molta fiducia nel procedimento in corso avanti alla Corte penale internazionale de L’Aja. Dietro questo atteggiamento c’è quasi sempre l’ignoranza del funzionamento e del ruolo della Corte. Al termine degli incontri pubblici, nella fase di dibattito, alcune domande lo dimostrano. 

    Puoi spiegarci con qualche esempio?

    Certo. Solo a titolo di esempio, spesso viene chiesto ai relatori: “Perché non si è portato prima Israele dinanzi alla Corte ?” ignorando che la Corte giudica i singoli individui e non gli Stati. Oppure, recentemente ,“La Corte ha accolto il ricorso palestinese” quando, invece, la Procuratrice Fatou Bensouda ha semplicemente ritenuto sussistenti i presupposti per avviare un’attività preliminare di indagine; l’affermazione dimostra di considerare sentenza quello che è un semplice primo passo di indagine ed evidenzia l’incapacità di distinguere i ruoli di Procuratore e Corte.

    Come pensi si possa riuscire a far chiarezza su un tema così importante e così confuso per i non addetti ai lavori?

    Sono un penalista, ho studiato diritto internazionale ma non ho pratica avanti alla CPI. Ho ritenuto pertanto opportuno porre una serie di domande a un docente di diritto internazionale, attivo anche dinanzi alla CPI e ti risponderò tenendo conto delle sue risposte.

    Benissimo, posso intanto chiederti quando nasce la Corte penale internazionale e su quali reati ha competenza?

    Lo Statuto della CPI viene redatto durante la conferenza diplomatica che si tiene a Roma dal 15 giugno al 17 luglio 1998. La Corte diventa operativa il 1° luglio 2002 dopo l’adesione di 60 Paesi. Non hanno aderito, tra gli altri, USA, Cina, Russia e Israele. I reati su cui ha competenza sono: genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra. Nello Statuto di Roma, così come integrato nel 2010 alla Conferenza di Kampala, è presente la definizione del crimine di aggressione. Dal Luglio 2018, data in cui è stato raggiunto il numero di ratifiche previsto, la Corte potrebbe esercitare la sua giurisdizione anche su questo crimine ma sinora il Procuratore non ha mosso alcuna accusa avente ad oggetto questo reato.

    So che spesso si confondono la Corte internazionale di giustizia (chiamata anche Tribunale internazionale de l’Aia), che è organo giudiziario delle Nazioni Unite, i Tribunali “ad hoc”e la Corte penale internazionale (CPI). Puoi dirci qualcosa di specifico circa la sola CPI, dove ha sede, come vengono scelti i magistrati e come si arriva all’azione penale?

    La CPI ha sede a L’Aja. I giudici sono candidati dagli Stati ed eletti dall’Assemblea degli Stati che ne fanno parte (ASP). Per il ruolo di Procuratore ci si può candidare e poi la decisione spetta sempre all’ASP. L’azione penale è promossa dal Procuratore.

    Come si svolge la procedura che può portare all’azione penale?

    La giurisdizione può essere attivata da uno Stato membro, dal Consiglio di sicurezza o dal Procuratore (Referral). Alla Corte viene ‘riferita’ una cosiddetta ‘situation’ (ad es. Kenya situation, Libya situation etc.), poi però spetta solo al Procuratore decidere se avviare l’indagine e portare dei casi contro determinati individui dinanzi alla Corte.

    Molte volte sono state espresse critiche verso questi organismi internazionali, in particolare verso i Tribunali ad hoc che, a conti fatti, è legittimo supporre siano stati influenzati da posizioni politiche. Può valere questa critica anche per la CPI?

    È vero che gli organismi giudiziari internazionali sono stati spesso oggetto di critiche perché svolgono un ruolo giuridico influenzato, e spesso condizionato, da interessi politici. Anche nei  confronti della CPI sono state mosse critiche, ad esempio, per una sua attitudine a sottoporre a giudizio soprattutto esponenti africani. Nel caso di altro Tribunale, quello per la ex Jugoslavia, effettivamente la critica era dovuta alla criminalizzazione soprattutto di una parte (i serbi).
    Mi chiedi se la CPI può essere considerata organo giudiziario realmente indipendente. Occorrerebbe una lunga discussione. In questa sede possiamo soltanto dire che, fino ad ora, l’operato della Corte ha dato vita a molti dubbi sulla sua indipendenza, visto che si è tenuta lontana da crimini internazionali commessi da cittadini di potenze mondiali.

    La CPI tiene conto di pareri o dossier presentati da ONG o da esperti su questioni specifiche ?

    Vuoi sapere che ruolo hanno nel procedimento quelle realtà che il Diritto definisce  “amici curiae”, cioè chi offre informazioni alla Corte che possano essere utili al procedimento?

    Sì, esattamente questo. Puoi dirci qualcosa al riguardo?

    Sì, gli “amici curiae” possono presentare una memoria su una questione specifica ai giudici quando questi ultimi la richiedono. Si tratta, in genere, di pareri scritti presentati dalla società civile (ONG) o da accademici per conto degli Stati. Mi è stato riferito che nel caso della Palestina ci sono stati circa 45 interventi sulla sola questione preliminare oggi in discussione, se cioè la Palestina sia uno Stato ai sensi del diritto internazionale o, meglio, ai sensi dello Statuto di Roma.

    Sai dirci che pareri ci sono stati a seguito di questi interventi?

    I pareri sono contrastanti, equamente divisi tra pro e contro. Tra i Paesi contro, posso citare: Germania, Austria, Canada, Uganda, Repubblica Ceca, Ungheria, Brasile. La situazione è paradossale e contraddittoria perché alcuni di questi Paesi hanno riconosciuto la Palestina come Stato; non solo, ma la Palestina dal 2015 è Stato parte della CPI. I pareri contrari sono frutto di una pressione diplomatica fortissima esercitata da Israele.

    A chi spetta il potere di indagine?

    All’ufficio del Procuratore, ma ovviamente c’è sempre bisogno della cooperazione degli Stati membri, visto che la Corte non ha nemmeno una sua forza di polizia. Gli organi che eseguono le sentenze sono gli Stati o la Corte, a seconda della sentenza, ma occorre sempre la cooperazione dello Stato.

    Per quel che riguarda esattamente il caso della Palestina, quando e da chi è stata promossa  l’azione?

    L’azione è stata proposta una prima volta dallo Stato di Palestina nel 2009 e successivamente, nel 2015, dopo che la Palestina è diventata anche Stato membro della CPI.

    Puoi dirci se ci sono procedimenti in corso, verso chi e per quali crimini?

    Mi è stato confermato che non ci sono ancora soggetti incriminati – ci troviamo ancora in una fase pre-investigativa – e che il procedimento attualmente dinanzi alla Corte ha ad oggetto crimini di guerra presuntivamente commessi sia da israeliani (insediamenti e azioni contro Gaza) quanto da palestinesi (omicidi di collaborazionisti, razzi su territorio israeliano). Nei confronti dei palestinesi l’azione è stata proposta autonomamente dal Procuratore.

    Il fatto che la Palestina sia stata ammessa all’ONU come Stato osservatore e che Israele sia uno degli Stati che non hanno aderito al Trattato di Roma crea ostacoli?

    Questa è esattamente la questione su cui si deve pronunciare la Camera preliminare della Corte. Su richiesta del Procuratore, i giudici (da più di un anno) devono decidere se la Palestina è uno Stato ai sensi dello Statuto di Roma. In caso affermativo, l’indagine potrà continuare.

    Israele che reazioni ha avuto finora?

    Fino ad ora Israele ha ufficialmente boicottato la Corte, ma ufficiosamente fa pressione diplomatica chiedendo alle ‘sue’ ong e agli Stati ‘amici’ di presentare delle memorie come amici curiae. Come detto, non ci sono ancora indagati. Questi ci saranno soltanto se la Camera preliminare darà il semaforo verde al Procuratore e se quest’ultimo porterà dei casi dinanzi alla Corte.

    Ci sono altre questioni che tu hai sottoposto al tuo referente e che ci puoi esporre?

    Sì, ho chiesto se ci sono, nelle denunce, soggetti già sottoposti a giudizio in Israele e quindi non giudicabili dalla Corte e se, in tal caso, la Corte possa ritenere il giudizio non conforme ai principi del “giusto processo” e procedere ugualmente.

    E qual è stata la risposta?

    La risposta è stata che la Corte può ritenere il giudizio nazionale non conforme ai principi del giusto processo solo quando il procedimento interno aveva come unico  fine quello di proteggere l’imputato dalla giustizia penale internazionale. La Corte può procedere se lo Stato non ha la capacità o la volontà di promuovere l’azione, ma se sono violati i principi di indipendenza e imparzialità, non è rilevante per la Corte, la quale non è giudice della violazione dei diritti. Insomma, la Corte può procedere solo se constata che quello nazionale è stato un “finto” processo.

    Quindi si può dire che serve la collaborazione dello Stato interessato alle accuse per procedere?

    Ho chiesto al mio referente se si può avere qualche risultato investigativo senza la collaborazione degli organismi israeliani e la risposta è stata che, rispetto agli insediamenti illegali, la non collaborazione non è molto rilevante, mentre lo è per altri crimini come le azioni contro Gaza. Alla mia richiesta circa la maggiore difficoltà nell’investigare sui crimini di guerra rispetto ai crimini contro l’umanità, la risposta è diversa a seconda dei fatti specifici. Per esempio, per gli insediamenti che configurano un crimine di guerra realizzato con il trasferimento di popolazione dello Stato occupante (coloni) nei territori occupati l’accertamento è piuttosto semplice.

    Quindi in caso di accertamento di responsabilità cosa succede?

    Vuoi sapere cosa farà Israele nei confronti del condannato? Cioè se Israele consegnerà il condannato  agli organi preposti alla esecuzione della sentenza? Israele non riconosce la Corte e non collaborerà mai con la Corte. Men che meno consegnerà un eventuale condannato.

    Per conoscere la sentenza, ammesso che mai venga pronunciata, quanto dovremmo aspettare?

    Vuoi sapere se saranno mesi o anni? Secondo il mio consulente, se ci saranno mai dei casi completi, dobbiamo mettere in conto almeno una decina d’anni.

    Una risposta che non ci riempie davvero di speranza. Ci puoi dire in cosa consiste il principio della giurisdizione universale e quali Stati lo applicano?

    Secondo il docente con cui mi sono consultato, è difficile dire quanti Stati prevedano la giurisdizione universale viste le sue innumerevoli versioni. Nella forma più ‘pura’ la giurisdizione universale consente a uno Stato di processare un individuo per determinati crimini internazionali anche in mancanza di alcun criterio di connessione (territorialità, personalità attiva, personalità passiva, etc.). Tra gli Stati che applicavano il principio di giurisdizione universale ci sono il Belgio e la Spagna che però, nel tempo, hanno “ammorbidito” le proprie leggi richiedendo criteri di connessione. Nel caso del Belgio questo è avvenuto su pressione di Israele dopo il famoso caso di Sharon.

    Pixabay

    Il quadro che emerge da quanto ci dici e da quanto afferma il tuo referente risulta piuttosto inquietante circa le speranze riposte nella CPI. Puoi dirci francamente il tuo parere su tutto questo, sia come giurista che come uomo impegnato da decenni nella causa palestinese?

    Il mio giudizio circa il quadro complessivo è decisamente sconfortante e non tale da giustificare le speranze riposte dagli attivisti. A distanza di oltre 10 anni dalla prima denuncia e di oltre 5 dalla seconda, non è stata ancora risolta la questione preliminare sulla giurisdizione della Corte e quindi non sappiamo se l’indagine potrà essere avviata o meno. Israele non collaborerà mai alle indagini e il Procuratore incontrerà difficoltà a raccogliere prove, oltre a quelle già messe a disposizione dai denuncianti. La sola reazione di Israele alla richiesta della Procuratrice, l’avv.sa Fatou Bensouda, è stato un violento attacco a livello personale e professionale contro di lei, strategia già usata a suo tempo contro il giudice Goldstone a capo della Commissione di indagine per l’eccidio denominato “Piombo Fuso”. Così come con la Commissione Goldstone, Israele ha negato l’ingresso a Gaza degli investigatori della Procura. Ovviamente ha definito la Corte antisemita e ha lasciato al grande alleato Trump, oggi ex-presidente USA, l’adozione di misure concrete contro Bensouda e il suo staff (limitazione di movimenti negli USA e congelamento di beni). Ad una eventuale sentenza di condanna non sarà mai data esecuzione e quindi i responsabili non sconteranno mai la pena. La sentenza si aggiungerà alle tante condanne già emesse contro Israele da organismi non giudiziari senza alcuna conseguenza concreta.

    Quindi pensi che, seppure si dovesse arrivare ad una sentenza di condanna, questa non servirebbe a nulla?

    Non proprio, perché è innegabile che un accertamento anche in sede giudiziaria di responsabilità di israeliani per crimini di guerra e crimini contro l’umanità sarebbe di grande importanza e significato. Se i condannati rivestissero alte cariche nell’esercito o nel governo, come probabile, sarebbe lo Stato ebraico nel suo complesso, di fatto, a subire la condanna e sarebbe legittimo (anche se non corretto tecnicamente) affermare che è Israele stesso ad essere responsabile di crimini di guerra e contro l’umanità. A tutto ciò è da aggiungere il fattore tempo. Ci dice il docente che per una sentenza occorreranno almeno 10 anni! Quanta terra sarà nel frattempo ancora depredata? Quante case abbattute? Quanti palestinesi uccisi o resi invalidi? Quanti imprigionati? Quanta storia palestinese cancellata dai libri e dal territorio? Dieci anni si aggiungeranno al secolo di Resistenza: la più lunga occupazione della storia e la più lunga resistenza.

    Quindi, avv. Giannangeli, come attivista per i diritti del popolo palestinese, oltre che come giurista, cosa dici agli attivisti che si battono per la giustizia in Palestina? Stai dicendo loro che ogni speranza di giustizia è illusoria, o cosa?

    Dico a tutti quelli che hanno a cuore la causa palestinese, consapevoli dei limiti di tempo e di potere della Corte penale internazionale, che dovranno comunque seguire il lavoro della Procura e sollecitarlo (come avvenuto anche recentemente, il 6 gennaio, da parte di varie associazioni (Al Haq, Al Mezan, Al Dameer ed altre). Soprattutto, però, dovranno continuare il proprio lavoro a sostegno della Resistenza, in particolare appoggiando e incrementando il movimento BDS, che in oltre 15 anni di attività ha conseguito importanti risultati a livello internazionale. Lo ha fatto sostituendosi a quella attività di boicottaggio e sanzioni che, a suo tempo, è stata svolta contro il Sudafrica dell’apartheid dagli Stati e dalla comunità internazionale nel suo complesso. Con una sola eccezione: Israele.

    foto: https://onestatecampaign.org

    La tua risposta e il tuo energico invito mi portano alla mente una frase di Sandro Pertini relativa alla sua gioventù di combattente per la libertà: “a volte è necessario saper lottare non solo senza paura, ma anche senza speranza”. Non arrendiamoci alle avversità neanche quando sembrano montagne invalicabili. Grazie per il tuo prezioso contributo a capire meglio cos’è, come funziona e cosa possiamo aspettarci dal ricorso alla CPI e grazie per l’invito a non cedere, nonostante tutto, rivolto a tutti gli attivisti.

    24 gennaio 2021

    Ugo Giannangeli, Avvocato penalista dal 1974, all’impegno nella professione ha sempre affiancato un impegno sociale e politico nella sinistra militante, prevalentemente sui temi del carcere, della pena, della repressione delle lotte sociali e della solidarietà internazionale, in particolare a sostegno del popolo palestinese. Come giurista ha contribuito alla nascita della Camera penale di Milano, ha fatto parte del Comitato Avvocati contro la guerra. Ha partecipato come osservatore internazionale ai processi contro Marwan Barghouti a Tel Aviv e contro Ocalan ad Ankara, e alle elezioni in Nicaragua nel 1989 e in Palestina nel 2006. Ha preso parte a convegni politici a Cuba, in Libia, in Libano. Ha contribuito alla stesura del libro “Palestina” della collana “Crimini contro l’umanità”, ed. Zambon e, con lo stesso editore, alla riedizione del libro “Coi miei occhi” della avvocatessa Felicia Langer. Ha contribuito alla nascita del movimento “ No M346 ad Israele” e del “Forum contro la guerra” di Venegono. Collabora come docente con la Scuola dei diritti umani di Como.

    Tags: bambini palestinesi Cisgiordania Corte penale internazionale de L’Aja Crimini di Israele Gaza giuristi democratici Israele Palestina Palestina occupata Patrizia Cecconi Razzismo in Israele Ugo Giannangeli
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    Autore: franco.cilenti
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