• Archivio Lavoro & Salute
  • Medicina Democratica
Log in or Register
Close
Lost your password?
Lavoro & Salute – Blog
Visita Rifondazione.it
  • Home
  • Archivio
    • Cronache Politiche
    • Cronache Sociali
    • Comitati di Lotta
    • Cronache di Lavoro
    • Cronache Sindacali
    • Movimenti di Liberazione
    • Altra Informazione
  • Sito LeS Cartaceo
  • Editoriali
  • Annali
  • Altro Blog
SFOGLIA IL GIORNALE INTERATTIVO
Chi è interessato a scrivere e distribuire la rivìsta nel suo posto di lavoro, o pubblicare una propria edizione territoriale di Lavoro e Salute, scriva a info@lavoroesalute.org Distribuito gratuitamente da 36 anni. A cura di operatori e operatrici della sanità. Finanziato dai promotori con il contributo dei lettori. Tutti i numeri in pdf www.lavoroesalute.org

  •  Seguici su Facebook Lavoro E Salute
  •  Seguimi su FacebookFranco Cilenti
Visita Medicina Democratica

LA RIVISTA NAZIONALE
MEDICINA DEMOCRATICA


Rifondazione Due per mille

Rifondazione Due per mille

Notiziario online del PRC

Notiziario online del PRC

Notiziario online del PRC - Dire Fare Rifondazione

Contro La Crisi

Visita Contro La Crisi
Free Palestine
  • Intifada
  • OLP
  • Free Palestine FB Page

Blog Lavoro e Salute – Categorie

  • Ambiente e salute (1.587)
  • Blog (8.305)
    • Altra Informazione (6.592)
    • Comitati di Lotta (6.255)
    • Cronache di Lavoro (6.514)
    • Cronache Politiche (6.717)
    • Cronache Sindacali (5.981)
    • Cronache Sinistra Europea (4.947)
    • Cronache Sociali (6.569)
    • Culture (3.809)
    • Editoria Libera (2.267)
    • Movimenti di Liberazione (749)
    • Politiche di Rifondazione (6.084)
    • Storia e Lotte (3.003)
  • cronache sindacali (34)
  • Internazionale (201)
  • lavoratrici (29)
  • OSS sanità (11)
  • sanità e salute (4.076)
  • servizio sanitario privato (55)
  • sicurezza lavoro (1.167)
  • Uncategorized (80)

Archivio Settimanale

  • 18 Gennaio, 2021–24 Gennaio, 2021
  • 11 Gennaio, 2021–17 Gennaio, 2021
  • 4 Gennaio, 2021–10 Gennaio, 2021
  • 28 Dicembre, 2020–3 Gennaio, 2021
  • 28 Dicembre, 2020–3 Gennaio, 2021
  • 21 Dicembre, 2020–27 Dicembre, 2020
  • 14 Dicembre, 2020–20 Dicembre, 2020
  • 7 Dicembre, 2020–13 Dicembre, 2020
  • 30 Novembre, 2020–6 Dicembre, 2020
  • 23 Novembre, 2020–29 Novembre, 2020
  • 16 Novembre, 2020–22 Novembre, 2020
  • 9 Novembre, 2020–15 Novembre, 2020
  • 2 Novembre, 2020–8 Novembre, 2020
  • 26 Ottobre, 2020–1 Novembre, 2020
  • 19 Ottobre, 2020–25 Ottobre, 2020

Archivio Mensile

  • Gennaio 2021 (124)
  • Dicembre 2020 (211)
  • Novembre 2020 (205)
  • Ottobre 2020 (192)
  • Settembre 2020 (149)
  • Agosto 2020 (124)
  • Luglio 2020 (184)
  • Giugno 2020 (123)
  • Maggio 2020 (135)
  • Aprile 2020 (166)
  • Marzo 2020 (221)
  • Febbraio 2020 (161)
  • Gennaio 2020 (148)
  • Dicembre 2019 (143)
  • Novembre 2019 (127)
  • Ottobre 2019 (113)
  • Settembre 2019 (114)
  • Agosto 2019 (83)
  • Luglio 2019 (116)
  • Giugno 2019 (103)
  • Maggio 2019 (120)
  • Aprile 2019 (107)
  • Marzo 2019 (114)
  • Febbraio 2019 (111)
  • Gennaio 2019 (106)
  • Dicembre 2018 (117)
  • Novembre 2018 (100)
  • Ottobre 2018 (112)
  • Settembre 2018 (99)
  • Agosto 2018 (91)
  • Luglio 2018 (104)
  • Giugno 2018 (102)
  • Maggio 2018 (103)
  • Aprile 2018 (96)
  • Marzo 2018 (108)
  • Febbraio 2018 (98)
  • Gennaio 2018 (86)
  • Dicembre 2017 (81)
  • Novembre 2017 (100)
  • Ottobre 2017 (98)
  • Settembre 2017 (73)
  • Agosto 2017 (50)
  • Luglio 2017 (115)
  • Giugno 2017 (100)
  • Maggio 2017 (94)
  • Aprile 2017 (108)
  • Marzo 2017 (112)
  • Febbraio 2017 (139)
  • Gennaio 2017 (126)
  • Dicembre 2016 (109)
  • Novembre 2016 (94)
  • Ottobre 2016 (97)
  • Settembre 2016 (66)
  • Agosto 2016 (37)
  • Luglio 2016 (83)
  • Giugno 2016 (76)
  • Maggio 2016 (65)
  • Aprile 2016 (78)
  • Marzo 2016 (67)
  • Febbraio 2016 (71)
  • Gennaio 2016 (71)
  • Dicembre 2015 (87)
  • Novembre 2015 (90)
  • Ottobre 2015 (91)
  • Settembre 2015 (64)
  • Agosto 2015 (28)
  • Luglio 2015 (71)
  • Giugno 2015 (69)
  • Maggio 2015 (77)
  • Aprile 2015 (87)
  • Marzo 2015 (96)
  • Febbraio 2015 (105)
  • Gennaio 2015 (107)
  • Dicembre 2014 (101)
  • Novembre 2014 (89)
  • Ottobre 2014 (120)
  • Settembre 2014 (34)
  • Agosto 2014 (18)
  • Luglio 2014 (33)
  • Giugno 2014 (33)
  • Maggio 2014 (29)
  • Aprile 2014 (27)
  • Marzo 2014 (65)
  • Febbraio 2014 (22)
  • Ottobre 2013 (11)

Commenti di Mauro Biani

  • Atlantide/Good morning America

    Stasera ad Atlantide.
  • 15 giorni. Quasi un anno

    Zaki. Resisti. Oggi su Repubblica.
  • Taglio alto/democrazia e algoritmo

    Questa settimana su L’Espresso.
  • Navalnyj e Putin

    Rientro in Russia.  Oggi su Repubblica.
  • Crisi di governo

    Oggi su Repubblica.
  • Costruttori

    Oggi su Repubblica.

Visitatori Blog da Ottobre 2016

  • 86Questo articolo:
  • 1584103Totale letture:
  • 669780Totale visitatori:
  • 771Ieri:
  • 14977Visitatori per mese in corso:
  • 1Utenti attualmente in linea:
Blog, Culture — Giugno 29, 2015 11:24 am

Racconteranno la bassa padana senza gli urli e le panzane da sballo della Lega su scabbia e emergenza e violenza “di negri e zingari”. Renderanno migliori i giornali su cui scriviamo e ci faranno leggere tutta un’altra storia di quella che stiamo costruendo e raccontando nell’Italia di oggi.

I migranti faranno a pezzi le nostre bugie.

Pubblicato da franco.cilenti

Questo è l’articolo scritto da un bianco sulla storia di due ragazzi neri e con ogni probabilità sarà letto quasi esclusivamente da bianchi: racconta l’inizio della fine di questo genere di articoli e comincia a Palermo nel 2012.
Il filo della matassa parte dal Senegal, passa dal Gambia, arriva a Pittsburgh, tira dentro John Fante Martin Scorsese mia zia Sarina, e finisce in Padania per massimo scorno di leghisti e cattivisti e nuovi asini nazionalisti. Però bisogna cominciare da Palermo.

È luglio, ci sono trenta gradi e la città si squaglia e risolidifica in una nuova realtà fatta per l’ottanta per cento di umidità e per il venti per cento di canicola: molti, per comodità, definiscono questa realtà “estate siciliana”. Nell’estate siciliana succede che molte cose rallentino o si fermino del tutto, gli uffici vanno deserti. Chi ha bisogno deve arrangiarsi come può, ed è per arrangiare una soluzione che il comune telefona alla scuola di lingua italiana per stranieri dell’ateneo.

Il problema è che mentre anche i centri di accoglienza per migranti rallentano le loro attività, gli sbarchi non diminuiscono: 13.267 persone sono arrivate in Italia quell’anno, 8.488 sulle coste siciliane. Tra loro ci sono molti adolescenti. La professoressa Mari D’Agostino dice a Laura Purpura, dirigente dell’ufficio che si occupa della loro situazione, che un modo per non abbandonarli all’afa palermitana potrebbe essere quello di farli partecipare ai corsi estivi della scuola.

“Potete immaginare che cosa significhi avere avuto nella stessa classe una ragazza norvegese a Palermo per l’Erasmus e un diciassettenne senegalese, e cercare di insegnare a entrambi l’italiano”, racconta D’Agostino. “I percorsi che segue una persona che sta studiando per una laurea e una che non è quasi mai andata a scuola sono radicalmente diversi”.

Un buco nero enorme è la Libia, ci finiscono violenze e abomini, denuncia Save the children

Da quell’estate del 2012 a oggi, senza che per i loro progetti sia stato speso un euro, D’Agostino e il suo gruppo di lavoro si sono rimessi a studiare, hanno costruito programmi nuovi per i nuovi ragazzi che si sono trovati tra i banchi e alla fine, come raccontano nel libro Dai barconi all’università, sono riusciti a insegnare l’italiano a trecento di loro. Minori stranieri non accompagnati, come sono definiti con un’etichetta che costruisce una realtà. Tra loro, oltre all’inizio della fine di articoli come quello che state leggendo, c’è anche l’esplosione di queste etichette e la messa in discussione di una retorica a cui siamo abituati. Le storie di Ibrahima e Bakari aiutano a visualizzarla meglio.

Me le raccontano a casa della professoressa D’Agostino, dietro il teatro Massimo di Palermo. Con noi c’è uno dei suoi collaboratori, Marcello Amoruso, e a me viene da pensare che siamo in commissariato. Non per la scena, ma per la struttura della scena: tre borghesi occidentali, bianchi, appartenenti a due istituzioni, l’università e l’informazione, di fronte a due ragazzi neri, africani, che non hanno niente, se non le loro storie. In base a queste storie sono giudicati dalle istituzioni, e sulla base di questo giudizio possono trasformarsi da rifugiati in clandestini. Perciò all’inizio misurano sguardi e frasi, e c’è bisogno di ripetere molte volte che il loro racconto non sarà pesato sulla bilancia della legge infame che regola l’immigrazione in Italia.

Bevono una coccola, si interrompono spesso, guardano la professoressa e Marcello, cercano rassicurazioni nei loro occhi, parlano.

Ibrahima è nato in Senegal e da piccolo aiuta il padre nel negozio di famiglia. Vendono stoffe e cuciono vestiti, le giornate sono semplici. Finché la madre non si ammala e il padre la porta in Gambia, dov’è nata e dove può curarsi meglio. A Ibrahima tocca occuparsi del negozio.

“Sono solo e a notte sento rumori dal negozio. Qualcuno veni per rubare la macchina da cucire. So, io sono fight. Questo è coltello, solo io, loro tre persone, tre ragazzi più grandi”.

Quando dice “questo è coltello” dice della cicatrice che ha sulla fronte e del taglio sul petto e della perdita dei sensi e del risveglio in una casa che non conosce, in un bosco che non conosce, assieme a ragazzi che non conosce, tenuto prigioniero da gente e per motivi che non conosce.

Dopo una settimana riesce a scappare e a raggiungere Kaolack, 189 chilometri a sud di Dakar. Dopo va in Mali, dopo il Mali il Niger, dopo il Niger, pausa: sono viaggi che raccontati così non significano molto, vederli su una mappa aiuta farsi un’idea.

 -

Il racconto quasi mai è lineare, è pieno di vuoti e omissioni. Un buco nero enorme è la Libia, ci finiscono violenze e abomini, come denuncia Save the children. Ibrahima non ne parla volentieri. Dice di esserci rimasto due anni, fino a un tentativo di rapina che finisce con lui mezzo morto per terra. È il 2013, ha sedici anni, mette insieme dei soldi e sale su una barca insieme a un altro centinaio di persone: ha più fortuna di altri. “Tanti muoiono, no?”.

Bakary ascolta, tiene gli occhi sulle punte delle scarpe e spesso annuisce con la testa. È più silenzioso, parla meno bene di Ibrahima. Arrivava anche lui dalla Libia, e prima ancora, a ritroso, Niger, Mali e Gambia, dov’è nato, diciassette anni fa. Il silenzio non è dovuto solo alle difficoltà con l’italiano, e non riguarda solo la Libia, in generale è qualcosa che riguarda la sua vita dopo lo sbarco, i suoi giorni qui a Palermo.

“È più introverso di altri”, dice Amoruso, “quest’anno a un certo punto non l’abbiamo più visto tra i banchi. Dopo una settimana telefono al centro d’accoglienza dove vive e chiedo spiegazioni: spiegazioni non ce n’erano. Bakary non si alzava dal letto la mattina, non gli andava, non vedeva un motivo per farlo. Abbiamo chiacchierato un po’, ha riacquistato fiducia e voglia, non ha più perso un giorno di lezione”.

Trascrivo una sua frase, che mi sembra tra le più belle annotate quel pomeriggio: “Mi piace il pallone, bello, mi piace il Palermo, ma anche studio è bello (pausa, risata) difficile però”. Questa difficoltà me la raccontano D’Agostino e Amoruso. “Dovresti vederli in classe, alcuni si piegano sul foglio, altri impazziscono a stare nelle righe, moltissimi non hanno mai tenuto una penna in mano”.

Una lezione al centro di lingua per stranieri, a Palermo.  - Antonio Gervasi Una lezione al centro di lingua per stranieri, a Palermo. (Antonio Gervasi)

“Quando riescono a superare le difficoltà, allora emergono i pezzi di un racconto epico che si sta formando proprio sotto i nostri occhi, e a cui magari non prestiamo attenzione”, dice la professoressa, “ma si modella anche per alimentare il nostro bisogno di inquadrare la realtà in un certo modo”.

Un esempio può essere quello di uno dei ragazzi del corso che ricorre alla struttura del racconto collettivo che tutti conosciamo per non dover dare conto della sua storia personale. Dunque, la versione ufficiale suona così: Bangladesh, fame, miseria, viaggio verso l’Europa per trovare un lavoro e spedire qualche soldo a casa. Ma più probabilmente è vicina a: una famiglia media, senza troppi problemi di soldi, un’omosessualità da nascondere a tutti i costi, l’impossibilità di nasconderla a tutti i costi, l’Europa come speranza e salvezza.

“Non è più facile, in casi del genere, raccontarci quello che vogliamo sentirci raccontare? L’epica collettiva semplifica la realtà e la rende più semplice da capire”, osserva la professoressa. “Le singole storie verranno fuori più in là, e ci racconteranno più di quanto sappiamo e vogliamo sapere noi oggi, così come è stato per esempio per l’emigrazione italiana nel novecento”.

È a questo punto che la storia che è partita dal Senegal, è passata dal Gambia, finisce a Pittsburgh. Non è la prima volta che assistiamo a un flusso migratorio così massiccio come quello che in questi anni sta facendo arrivare in Europa milioni di persone dall’Africa e dall’oriente.

La faccenda ha riguardato anche italiani e europei, e quello che è successo, in termini di racconto della realtà, sta succedendo di nuovo.

In estrema sintesi: le storie di chi scappa da qualcosa (guerra, miseria, dittature) sono in prima battuta raccontate da chi li vede arrivare; si costruisce una retorica che si autoalimenta (spesso con pregiudizi e razzismi vari); pian piano chi arriva comincia ad appropriarsi di una lingua, la fa sua e inizia a raccontare la sua versione dei fatti; la retorica iniziale frana, lo stato delle cose inizia a mutare.

Durante il corso di teatro, a Palermo.  - Antonio Gervasi Durante il corso di teatro, a Palermo. (Antonio Gervasi)

Provo a tradurre quest’idea con qualcosa di pratico. Sono siciliano e da almeno tre generazioni la mia famiglia emigra. Mia nonna non ha mai conosciuto un fratello, emigrato in Argentina prima che nascesse e mai più tornato; mio padre negli anni sessanta ha lavorato in una fabbrica a Bonn; io e mio fratello ce ne siamo andati dopo la laurea a Roma e a Padova.

È cambiato tutto, da allora, sono cambiati i motivi che ci hanno spinto a lasciare la Sicilia, è cambiata la Sicilia, sono cambiati i viaggi, siamo cambiati noi: è rimasto uguale l’incrinarsi della voce di chi resta quando parla di chi se ne va. Il dolore per i figli i mariti i fratelli lontani, in molte famiglie siciliane, è un basso continuo e la mia non ha fatto eccezioni, dall’autobus preso da mio padre a diciassette anni per entrare illegalmente in Germania ai viaggi in treno da trenta ore di mio fratello fino al suo primo volo da novecentomila lire per Padova: non c’è stato spostamento che non abbia rotto voci e cuori.

Uno dei fratelli di mia nonna negli anni cinquanta è partito per gli Stati Uniti, la moglie lo ha raggiunto poco dopo, una delle loro figlie scriveva lettere a mia madre da Pittsburgh. In una risuonano molte disperazioni, e una di queste disperazioni ha a che fare con la lingua:

Carissima nipote Rosetta e Totò,
scusami del mio ritardo a scriverti come stai? Spero che la prisenti vi venga a trovari a tutti di una buona salute. I sono invecchiata ma riagisco bene, solo che mi sento troppo triste e sola li vicini non ci parlo non ci capiamo, in questa terra o subito troppo dispiacere e spero a Dio che che mi da un poco di conforto nel cuore. Parlami dei tuoi figli, facci studiare la lingua, la lingua passa lu mari. Tanti abbracci a tutti, a tua mamma e a tuo papà.
Sarina

La lettera è datata 1997, all’epoca mia zia aveva vissuto più negli Stati Uniti che in Italia, ma la lingua era ancora una delle cose che più le torceva il sonno e la teneva ai margini di quel paese e della sua storia. Quasi un secolo prima delle sue parole, questo isolamento aveva i contorni di una vignetta pubblicata sul quotidiano di New Orleans, The Mascot, nel 1888.

 -

Si intitola “Per quanto riguarda gli italiani” e è una pratica guida su come sbarazzarsi degli immigrati italiani a New Orleans: buttandoli in mare o manganellandoli. Tre anni dopo, il 13 marzo 1891, sempre a New Orleans ci fu uno dei più feroci linciaggi della storia degli Stati Uniti. Undici italiani furono picchiati dalla folla, che li accusava di aver ucciso il capo della polizia: non era vero. Ma nel racconto collettivo degli statunitensi, gli italiani erano violenti sporchi cattivi nullafacenti ladri e pieni di malattie: vi ricorda niente, questa descrizione?

Per riscriverla ci sono volute almeno due generazioni e una lingua nuova. Figli e nipoti di linciati cresciuti negli Stati Uniti si sono presi l’inglese, a differenza di mia zia, e hanno iniziato a fare a pezzi la retorica che gli avevano appiccicato addosso. John Fante nel ciclo di romanzi con protagonista Arturo Bandini ha raccontato la vergogna di essere il figlio di un muratore italiano e il riscatto del figlio di un muratore italiano, mentre Martin Scorsese ha svelato le contraddizioni dei piccoli e dei grandi criminali italoamericani meglio di molti articoli di giornali.

Questa battaglia contro i luoghi comuni non ha riguardato solo gli italiani, e non solo gli Stati Uniti. Scrittrici come Toni Morrison e registi come Spike Lee hanno smontato le menzogne sui neri di Chicago New York Boston; Sergej Dovlatov ha raccontato cosa ha significato scappare dall’Unione Sovietica e vivere da spiantato oltreoceano; Hanif Kureishi ha scritto dei ragazzini indiani cresciuti nelle periferie di Londra negli anni settanta; Abdellatif Kechiche ha portato sullo schermo le giornate dei maghrebini che vivono in Francia.

I racconti della gente comune, le lettere e le telefonate dei migranti a casa, i pugni stretti e le depressioni, le gioie, gli arresti e le violenze, le vittorie: sono queste le cose che hanno riempito pagine di romanzi e scene di film, registi e scrittori sono stati antenne e hanno ritrasmesso questi segnali sparati nell’aria, rendendoli più chiari.

Oggi i segnali più forti trasmessi in Italia sui migranti riempiono l’aria e le nostre teste di rumore. Con parole chiave tipo emergenza, scabbia, invasione.

Per sgonfiarle basterebbe citare qualche numero. Il Libano ha sei milioni di abitanti e oltre 1,2 milioni di rifugiati; la Germania ha 82 milioni di abitanti e l’anno scorso ha detto sì a41 mila richieste di asilo; l’Italia ha sessanta milioni di abitanti e nei centri d’accoglienza sono ospitati 73.705 migranti e richiedenti asilo. Dal 1 gennaio 2015 a oggi sono arrivati nel nostro paese 57.019 migranti. Aspettate che lo ripeto: sessanta milioni di abitanti, 73 mila richiedenti asilo.

La scabbia: si cura con una pomatina.

In molti provano a ripetere queste semplici cose, ma la verità è che non sta funzionando, o almeno non abbastanza. Il rumore è ancora forte, i bau bau e gli spauracchi sono dappertutto. Siamo ancora dentro la versione bianca e spaventata (quando non aggressiva) della storia.

Tra chi sta imparando l’italiano a Palermo, o a Milano (come racconta Tullio De Mauro), c’è l’inizio della fine di questa versione. Molti ovviamente se ne andranno in giro per l’Europa, qualcuno andrà incontro a storie feroci di sfruttamento, come racconta Luca Muzi sul Guardian, qualcuno tornerà a casa, ma è ragionevole pensare che chi resterà imparerà una lingua e la trasmetterà ai figli e nipoti, e che questi figli e nipoti faranno a pezzi le miserabili menzogne su chi ha avuto l’unico torto di nascere dall’altro lato del Mediterraneo.

Racconteranno la bassa padana senza gli urli e le panzane da sballo della Lega su scabbia e emergenza e violenza “di negri e zingari”. Renderanno migliori i giornali su cui scriviamo e ci faranno leggere tutta un’altra storia di quella che stiamo costruendo e raccontando nell’Italia di oggi.

Fonte: http://www.internazionale.it/reportage/2015/06/25/migranti-scuola-italiano

Giuseppe Rizzo

giornalista di Internazionale

27/6/2015 www.internazionale.it

 

 

  • Condividi questo post:
  • Facebook
  • Twitter
  • Delicious
  • Digg
Autore: franco.cilenti
© Copyright 2021 — Lavoro & Salute – Blog. All Rights Reserved - Created by Pep Web - Privacy Policy
blog-lavoroesalute.org è un blog collettivo di giornalisti e di autori e non una testata giornalistica. Il suo aggiornamento è infatti senza periodicità. blog-lavoroesalute.org non è quindi un prodotto editoriale ai sensi della legge n. 62 del 7.03.2001. I contenuti e le opinioni di blog-lavoroesalute.org devono per questo motivo essere considerati espressione esclusiva di chi ne è autore e, in ogni senso, sotto la sua individuale e personale responsabilità. I contributi multimediali utilizzati da blog-lavoroesalute.org- testi, foto, video, audio e grafiche - se non di produzione o di proprietà dei giornalisti e degli autori o concessi esplicitamente da autori terzi o dalle persone ritratte, sono di pubblico dominio perché, ove possibile, offerti dalla rete e trattati, in relazione alle loro opzioni di riproduzione o elaborazione, come contenuti di blog-lavoroesalute.org, nel rispetto dei 6 livelli di tutela dell’autorialità previsti dalla versione inglese e dalle bozze italiane del CCPL 4.0 per la gestione della pubblicazione e della elaborazione di Creative Commons. Se gli autori o i soggetti ritratti o riprodotti fossero contrari, nella forma utilizzata o in assoluto, alla pubblicazione su blog-lavoroesalute.org di contenuti che li riguardano, hanno facoltà di inviare una segnalazione a blog-lavoroesalute.org per la loro correzione, in ogni modo indicato, o per la loro rimozione, con il diritto di stabilire la rilevanza della eventuale rettifica, compreso anche quanto pubblicato sui social-network. Ogni contribuzione volontaria o entrata pubblicitaria ricevuta da blog-lavoroesalute.org è esclusivamente funzionale al suo mantenimento.
Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy. Cliccando sul tasto o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all’uso dei cookie.
Accetto
Privacy & Cookies Policy
Necessario Sempre attivato