I nodi al pettine. Una certezza: no a Draghi

Mentre le invettive contro Renzi continuano, cominciano i peana per Draghi, il predestinato.

Proverò però a ragionare al riparo da entrambi.

Dato a Renzi quel che è di Renzi, e cioè una posizione programmatica di destra e una posizione politica volta a stravolgere gli equilibri e gli assetti dati, sarebbe infatti bene provare a porsi qualche domanda che vada oltre l’invettiva.

Tutto fa pensare infatti che siamo al crash di una epoca, quella della seconda Repubblica in versione cinquestelle.

Un crash che può farsi drammatica in una situazione che già lo è per la pandemia e il disastro economico e sociale.

La prima domanda è come sia stato possibile che Renzi sia stato il segretario del Pd.

Qui c’è tutta la storia di un partito nato male che ha evocato le macerie in realtà per produrne. Renzi è quello che è ma, ancora ora, molti, troppi, nel suo ex partito, la pensano nel merito come lui.

La seconda è come sia stato possibile che un movimento che si voleva alternativo come i  Cinquestelle si sia trasformato in una dependance di Pd e Bruxelles. Ma come sia stato possibile consentirgli nel frattempo di sfasciare la rappresentanza del Parlamento, cosa che rende le prospettive, del nuovo che verrebbe, e prima poi verrà, dalle elezioni, inquietanti.

E come si può pensare, come ha fatto chi propone l’alleanza strategica con i grillini che un movimento antiestablishment divenisse pro establishment e mantenesse i voti? Questo può accadere con una forza antisistema, capace di  trasformarsi in riformatrice portandosi dietro la sua rappresentanza. Ma i Cinquestelle non rappresentano, hanno “espresso”. Il Pci non avrebbe mai puntato sull’”Uomo qualunque”, il movimento di Giannini.

Quella più angosciosa è come si sia consentito a destre, padronali e populiste insieme, di realizzare una saldatura con il malessere sociale cresciuto nel trentennio liberista.

Una saldatura pericolosissima e che ha arroccato il cosiddetto fronte democratico sul bisogno di governare a prescindere laddove il prescindere è dal requisito fondamentale di avere la maggioranza.

Qui veniamo alla questione fondamentale e cioè che 30 anni di liberismo trasversale sono andati a sbattere sulla pandemia. Senza sapere, volere, avere le forze per fare quella rottura col passato, con sé stessi, come sarebbe necessario.

Il sommarsi della crisi pandemica e sociale, con la crisi determinata nella rappresentanza  dal taglio del Parlamento e con la crisi evidente delle attuali identità politiche può diventare ora esplosiva.

Il mio suggerimento è di non chiudere gli occhi e le orecchie di fronte alle domande che ponevo.

E di provare a stare molto su ciò che serve ora e ciò che questo evoca.

Serve vaccinare tutte e tutti prima possibile. Per farlo serve ripensare la principale opzione del trentennio e cioè il privato al centro di tutto e il pubblico sradicato.

Occorre fare tutto il contrario. Dai vaccini al lavoro si deve investire tutto sul pubblico.

Cosa che è l’esatto opposto di ciò che si incarna nel nuvo incaricato Mario Draghi.

Un nuovo outsider dalla e della politica come ne è pieno il trentennio, da Ciampi a Monti, da Prodi a Conte.

Purtroppo anche l’interprete più autentico di quell’”europeismo” evocato, a sproposito, come discrimine. Colui che ci ricorda che la maggioranza di Ursula Von der Leyen va dai Socialisti, ai Popolari, ai Liberali, ai Verdi ma anche a Orban (iscritto al PPE) e ai polacchi del Pils che fanno gruppo con Meloni.

Tutto ciò che Renzi ha fatto non può essere l’alibi per accettare Draghi che è ciò che Renzi (solo lui?) voleva.

Oggi, significativa coincidenza, è il trentennale dallo scioglimento del Pci.

Ne sono seguiti 30 anni “peggioristi” in cui si sono alternati governi di centrosinistra, centrodestra e tecnici mentre si è persa l’idea del miglioramento.

Avventurismo, subalternità, governismo hanno mal sostituito una identità politica autonoma e collettiva.

Draghi, oggi, è l’ultimo atto di una crisi politica e istituzionale.

Bisogna dirgli no ma sapendo che si dice no non solo alla vecchia austerità ma alla sua idea di oggi di una ristrutturazione capitalistica europea.

Contro di essa non c’è il galleggiamento ma un’idea opposta di una Europa pubblica.

Roberto Musacchio

3/2/2021 https://transform-italia.it

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