I pifferai magici di un’Italia senza più spina dorsale

Che bella illustrazione di copertina per un argomento così triste! Su un luminoso sfondo turchese naviga, distendendo tutti i suoi tentacoli fin nel risvolto, un mollusco color corallo – forse un paguro immaginario? – ben alloggiato in un guscio a coclea, avvolto elegantemente a spirale.

La suggestione biologica è peraltro perfetta per offrire raffigurabilità alla metafora del titolo, secondo il quale ad essere sprovvista di scheletro non è solo la parassitaria creatura marina, ma la nostra intera nazione: l’Italia invertebrata, appunto, della quale tratta con la consueta appassionata forza polemica Pierfranco Pellizzetti, che – lo dichiara subito egli stesso fin dalle prime pagine – si ispira al classico saggio di José Ortega y Gasset, secondo il quale ad essere invertebrata era allora, nel 1922, la Spagna.

L’autore convoca sul banco degli accusati quella che avrebbe dovuto essere l’impalcatura portante: l’intera classe dirigente, coloro chiamati a costituire la spina dorsale della Nazione. Troppo spesso – scrive – ci imbattiamo invece in “presunti ‘maestri di pensiero’ che di tale pensiero se ne rivelano i veri inquinatori”. Personaggi diversi, ma con evidenti tratti comuni, la cui abilità non consiste nel plagiare le masse, ma nell’offrire loro ciò che già pensano, in una rassicurante reciproca conferma circolare del consenso.

Una sintesi del libro non è possibile, poiché la modalità di argomentare dell’autore è policentrica. Dopo la breve introduzione, si profilano due grandi blocchi, articolati in capitoli. Nel primo, “I personaggi”, possiamo leggere: Ragazzi del sud, opinionisti neri; Operaisti, nell’inverno del loro scontento; Papisti attappetati e papocchioni; Mercatisti filo-golpisti; Liberali, liberisti, liberaloidi; I nuovi Pangloss; Il regno del falso.

Il secondo è invece intitolato “Gli argomenti”: Armageddon Europa: L’alluvione immigrati; Tecnologia come pietra filosofale; L’italico eccezionalismo; La guerra di liberazione dell’art. 18; Meno tasse per tutti.
Il linguaggio, come si vede, è brillante e sarcastico e la mannaia della critica si distribuisce in ogni distretto della vita politica e della società.

Facendo mia la metafora di Pellizzetti, i conti tornano. Se passiamo dalla collettività all’individuo, in effetti constatiamo, sia nella patologia conclamata, sia nella ‘piccola psicopatologia della vita quotidiana’, quanto oggi prevalga l’eso-scheletro rispetto all’endo-scheletro. Cioè, nell’umanità contemporanea (e questo non vale solo per l’Italia) per lo più la struttura psicologica dell’io è carente, il processo di sviluppo precario, l’organizzazione della personalità è fragile e indefinita. Per contro, si è rafforzata la configurazione difensiva esteriore; l’identità è garantita dall’adesione alle formule stereotipate dell’apparire, a spese delle fatiche del percorso di identificazione.

Nel bene e nel male, non ci sono più le grandi nevrosi di una volta, solidamente strutturate e precisamente individuabili nella scala nosografica. Prevalgono invece le condizioni ‘borderline’, le personalità imitative, i ‘falso sé … I quadri clinici sono dinamici e variabili, i confini tra le varie manifestazioni morbose spesso risultano imprecisati, con labili costellazioni sintomatiche sempre più aspecifiche.

Anche nella vita comune le configurazioni di personalità sono più fluide e mutevoli. Non si vede quasi più la rigidità schiacciante del superio, il peso del senso di colpa. Per contro, a dominare la scena psicologica sono i meccanismi di difesa: rimozione, scissioni, regressione, ambiguità, negazione e diniego … come una sorta di corazza esteriore che serve a compensare il deficit di consistenza interiore. Si evitano angosce e conflittualità intrapsichiche, ma all’alto prezzo di un impoverimento di idee e affetti. E’ un espediente che tende a perpetuare se stesso, poiché grazie alla corazza/guscio/carapace ci si regge in piedi, ma l’assetto interiore di personalità è sempre più connotato dalla mollezza dei tessuti, se non dal vuoto.

Non ho la competenza storica e la scioltezza di linguaggio politico dell’autore; talvolta mi sono smarrita nella giungla delle citazioni e nel deserto delle prospettive. Per affinità di interessi e sintonia, concentro allora la mia recensione sul capitolo “Il regno del falso”, un tema che da tempo mi accompagna.

L’imbroglio, scrive Pellizzetti, è oramai eletto a tecnologia del potere, “proiettando la nostra gente in una dimensione dove l’apparire si traveste da reale”. Una modalità malefica, concordo, secondo la quale inevitabilmente l’inganno viene fatto in variabile misura anche a se stessi. Così il consenso è diventato uno strumento gonfiato e viziato, tanto possente quanto capriccioso e precario. E’ un modo di essere e di fare che esonera dalla fatica della coerenza con se stessi e dei relativi tormenti; ma che certo non rende felici.

L’autore non fa l’errore di attribuire tutto il male al tempo presente; anche nel passato prossimo “le spine dorsali diritte non risultano proprio una straripante maggioranza”. Qualche inchino di troppo viene individuato perfino in personaggi come Lukács, Sartre, Togliatti … Si salvano Bertrand Russel e Rosa Luxembourg, che – seppure rinascessero – probabilmente non otterrebbero audience.

La pars destruens è inevitabilmente prevalente nel libro e non è certo intenzione di Pierfranco Pellizzetti fornire un elenco di rimedi. Se non si va all’origine del male, a quella disfunzione collettiva del senso dello Stato, alla carenza dei singoli cittadini di quello che una volta si chiamava l’impegno per il bene comune, ogni rimedio infatti non può che essere una nuova piccola scaglia che si aggiunge all’eso-scheletro, a tamponare provvisoriamente la falla del sistema difensivo che recalcitra a fronte della assunzione di responsabilità.

Non è paradossale dunque se quanto più ci si trova d’accordo con le sue denunce, tanto più la lettura di queste pagine genera malessere (rabbia e sconforto in variabili proporzioni) e alla fine, quando il libro si chiude, ne residua una sensazione di disagio, se non di colpa per non aver saputo porre argine a tanto degrado.

Lascio all’autore la domanda finale, più una invocazione che una aspettativa di riscontro, nella quale si chiede se e quando questa Italia invertebrata si possa risvegliare dal losco incantesimo che la paralizza:

“… Molto più importante capire se l’impegno intellettuale potrà tornare a svolgere il suo ruolo di frontiera, riattivando l’idea di progresso democratico, o se le sue sorgenti sono state completamente inaridite dalla siccità culturale e dai cedimenti morali della fase storica agli sgoccioli.” (Risveglio dall’incantesimo? pag. 27)

Personalmente, non so intravedere il ‘quando’; sono però convinta che ciò possa avvenire solo se si mette davvero in discussione il nodo nevralgico della relazione scellerata – come già scriveva Ortega y Gasset – “tra la massa e la minoranza dirigente”; tra coloro che amministrano il potere politico e coloro che glielo conferiscono e consentono loro di sperperarlo.

Simona Argentieri
Da Micromega

Pierfranco Pellizzetti, “Italia invertebrata – Personaggi e argomenti della decadenza del dibattito pubblico”, Mimesis edizioni, Milano, pag. 248, euro 22,00

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