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    Ambiente e salute, Blog — Giugno 11, 2015 7:36 am

    Un’ampissima letteratura ha accertato i pesantissimi impatti dell’elettromagnetismo sull’avifauna eppure sono proprio le aree dell’isola scelte per la nidificazione e la sosta in cui sono proliferate a dismisura le fonti di emissione di onde elettromagnetiche, in buona parte di origine militare. Il Piano di Gestione del SIC-ZPS delle “Isole Pelagie” di Legambiente (redatto, tra gli altri, dall’allora direttrice della riserva naturale e odierna sindaca di Lampedusa e Linosa, Giuseppina Nicolini) nel paragrafo dal titolo Infrastrutture e detrattori ambientali aveva già rilevato come “il territorio del SIC è attraversato da una serie di linee elettriche ad alta, media e bassa tensione e dai cavi sospesi della linea telefonica, infrastrutture con un forte impatto paesaggistico e che sono causa di mortalità per collisione e/o elettrocuzione per l’avifauna

    I radar di Lampedusa, un crimine ambientale

    Pubblicato da franco.cilenti

    Raccolta firme NO ELETTROMAGNETISMO A LAMPEDUSA

    Radar, ponti radio, antenne satellitari, sistemi elettronici, centri di spionaggio e intelligence. Sofisticati dispositivi di guerra puntati contro il Nord Africa e le imbarcazioni di migranti e richiedenti asilo in fuga dai mille crimini della globalizzazione. Un mixer micidiale di onde elettromagnetiche che attentano alla salute della popolazione e alla sopravvivenza della flora e della fauna di un’isola che pur soffocata dalla militarizzazione, resta una delle più belle del Mediterraneo. Con la proliferazione a Lampedusa delle infrastrutture belliche e inquinanti, le normative ambientali e i vincoli paesaggistici, archeologici e idrogeologici sono spudoratamente violati. Dall’estrema punta occidentale a quella orientale è un susseguirsi di postazioni d’ascolto e telecomunicazione, centri di raccolta ed elaborazione dati, tralicci che supportano antenne vecchie e nuove. A Capo Ponente, dove sono ancora visibili gli sfregi delle piattaforme in cemento armato che reggevano la maxi-antenna di 190,5 metri della (ex) stazione Loran C della Guardia Coste Usa, qualche mese fa l’Aeronautica militare ha installato il radar di sorveglianza FADR (Fixed Air Defence Radar) RAT 31-DL, nell’ambito di un programma di ammodernamento della rete nazionale di telerilevamento. L’impianto è di pertinenza della 134ª Squadriglia Radar, preposta alla sorveglianza e al controllo dello spazio aereo in ambito nazionale e Nato e dipendente amministrativamente dalla 4^ Brigata Telecomunicazioni e Sistemi per la Difesa Aerea e l’Assistenza al Volo e operativamente dal Centro per il controllo aereo di Poggio Renatico (Ravenna).

    A pochi metri di distanza dall’impianto dell’Aeronautica ci sono altri due potenti radar, un GEM presumibilmente  inserito nel sistema VTS della Capitaneria di Porto per il controllo del traffico marittimo e un radar EL-M 2226 prodotto dall’azienda israeliana ELTA-System. Nella vicina area di Albero Sole sorge invece la Stazione del 9º Nucleo Controllo e Ricerca (N.C.R.) dell’Aeronautica Militare, preposta all’individuazione di tutte le emissioni elettromagnetiche d’interesse strategico e alla guerra elettronica. La base di oltre 2.900 metri quadri di superficie ospita un imponente numero di antenne multiformi e le attrezzature di avvistamento avanzato per intercettare e analizzare le frequenze, le caratteristiche e le procedure delle trasmissioni radio, vocali e radar “nemiche” e “alleate”. Il 9° N.C.R. dipende dal Centro Intelligence Interforze di Castel Malnome, Roma, a sua volta subordinato con la Scuola interforze intelligence-guerra elettronica (S.I.I./G.E.) al 2° Reparto informazioni e sicurezza dello Stato maggiore della difesa. I dati intercettati a Lampedusa sono poi inviati per la loro elaborazione al Reparto Supporto Tecnico Operativo Guerra Elettronica (Re.S.T.O.G.E.) di Pratica di Mare.

    “Ad Albero Sole sono presenti altri dispositivi elettronici non chiaramente identificabili, tra cui una cupola che potrebbe ospitare un altro radar”, spiega il fisico sardo Massimo Coraddu, che per conto dell’Associazione culturale “Askavusa” ha effettuato un primo censimento delle sorgenti elettromagnetiche di Lampedusa. “Altri due radar per la sorveglianza costiera si trovano nel vicino sito della Marina militare. Le caratteristiche tecniche di questi dispositivi non sono note ma nel 2014 la Marina ne ha proposto la sostituzione con i modelli Gabbiano T200C e RASS CI (Radar di Scoperta di Superficie), entrambi prodotti da Selex ES, gruppo Finmeccanica. Il primo modello radar avrà una frequenza di 9.1-9.7 GHz, una potenza media di 215 W e una potenza di picco 3.45 KW. Per il secondo non sono stati forniti dati tecnici ma in base alle nostre conoscenze è verosimile che il RASS CI, versione costiera del radar RASS C imbarcato nelle unità militari, sia molto più pericoloso del Gabbiano T200C. Altrettanto preoccupanti le emissioni del FADR RAT 31-DL installato a Capo Ponente: operante in banda D con emissioni da 1 a 2 GHz, questo nuovo radar ha una potenza concentrata di 84 KW”.

    Pericolosi dispositivi emittenti imperversano nella parte restante dell’isola: si tratta di ripetitori radiotelevisivi e per la telefonia cellulare, trasmettitori VHF per le comunicazioni in mare e per quelle aeroportuali, un altro radar per la sorveglianza costiera e l’intercettazione di imbarcazioni di migranti EL-M 2226 con una potenza non inferiore ai 250-300 KW, installato dalla Guardia di finanza a Capo Grecale nell’area affidata in concessione a Telecom. “Dato il gran numero di sorgenti diverse, tutte di notevole intensità e la piccola superficie a disposizione, l’isola di Lampedusa presenta una densità molto alta e del tutto inusuale di emissioni elettromagnetiche”, denuncia il prof. Coraddu. “Sono state già evidenziate situazioni critiche, duplicazioni di funzioni (si pensi che sono presenti perlomeno sei radar di sorveglianza costiera da terra) e non è mai stata fatta una stima della potenza e degli effetti delle emissioni. Nessuno si è posto il problema delle loro conseguenze per l’ambiente o sugli insetti impollinatori, sull’avifauna, sui cetacei, ecc. o dei possibili rischi per i portatori di dispositivi elettromedicali impiantatati. Defibrillatori e pacemaker sono certificati per resistere a disturbi con una componente elettrica sino a 10 V/m, mentre gli impulsi di un radar possono raggiungere migliaia di V/m. La punta occidentale, ad altissima concentrazione di radar, non è neppure dotata di opportuni cartelli di avviso del pericolo”.

    Il prof. Coraddu ricorda che gli effetti biologici delle esposizioni alle onde elettromagnetiche, per campi a RF a 10 GHz d’intensità dell’ordine dei 300W/m2 e 300 V/m possono essere gravissimi (ustioni della pelle, cataratte oculari, ecc.), mentre per intensità di 1.000W/m2 e 600 V/m gli effetti sono letali (ipertermia e infarto). “Relativamente alle esposizioni prolungate con campi deboli, cioè molto al di sotto della soglia oltre la quale si verificano gli effetti acuti, gli studi in vitro sui tessuti biologici hanno evidenziato l’insorgenza di anomalie biochimiche nel funzionamento delle membrane cellulari, del ciclo della melatonina, dell’ossidazione dei radicali liberi, della copromozione della degenerazione tumorale, dell’espressione genica”, aggiunge il fisico. “Studi sugli animali hanno evidenziato l’insorgenza di tumori, linfomi in particolare, e infertilità (anche trasmissibile alle successive generazioni). Anche diversi studi epidemiologici rivolti ai lavoratori del settore delle telecomunicazioni, militari, residenti in prossimità di ripetitori radio, hanno evidenziato un incremento del rischio di insorgenza di tumori (leucemia, glioblastoma, linfomi, etc.). Studi recenti sugli utilizzatori di telefoni cellulari hanno fornito indicazioni inequivocabili legate alla lateralità di neurinomi e gliomi (tumori del nervo uditivo e del cervello)”.

    A Lampedusa tutti gli impianti di radio telecomunicazione, le installazioni radar e le postazioni per le guerre elettroniche sorgono all’interno di aree naturali istituite e protette dalle normative europee, nazionali e  regionali. Per il suo notevole interesse naturalistico-ambientale, la rarità e rilevanza di alcune delle specie vegetali e animali ospitate, l’intero territorio delle isole di Lampedusa e Linosa (12.715 Ha) è stato classificato nel 2005 come ZPS – Zona a protezione Speciale con il codice ITA040013 Arcipelago delle Pelagie-Area marina e terrestre. Il 67,81% del territorio dell’isola di Lampedusa (comprese le aree più densamente militarizzate di Capo Ponente – Albero Sole e Capo Grecale) e l’isolotto di Lampione, per una superficie di 1.397,42 Ha, è classificato invece come SIC – Sito d’importanza comunitaria con il codice ITA040002 Isola di Lampedusa e Lampione. Le infrastrutture militari che occupano la parte più occidentale dell’isola sorgono infine a meno di 400 metri in linea d’area dalla Riserva naturale orientata istituita nel maggio 1995 dall’Assessorato Territorio e Ambiente della Regione Sicilia. Con un’estensione di circa 320 ettari, la Riserva protegge buona parte della costa meridionale di Lampedusa, dall’incomparabile bellezza e ricca di grotte e calette (tra le più note Cala Pulcino e l’Isola dei Conigli, quest’ultima zona di deposizione delle uova della tartaruga Caretta caretta). Un ampio tratto di mare circostante l’isola di Lampedusa (da Punta Galera, verso ponente, fino alla punta a nord di Cala Pisana, compresi Capo Ponente e Capo Grecale) è inserito infine nell’Area Marina Protetta Isole Pelagie, istituita con decreto ministeriale del 21 ottobre 2002 e la cui gestione è affidata al Comune.

    “Lampedusa rappresenta un ambiente insulare unico in tutto il Mediterraneo, con un patrimonio naturalistico estremamente interessante, da un punto di vista biogeografico, per la presenza di  aspetti faunistici e floristici tipici dell’areale nord-africano”, riporta l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA). “La forma di vegetazione prevalente nell’isola è la gariga-steppa, costituita da asfodeli, asteracee e distese di Scilla marittima. Una forma più matura di gariga (con euforbia, lentisco, macchia della seta, camedrio) è presente nei Valloni, dove sopravvivono anche alcuni preziosi individui superstiti dell’antica macchia: ginepro fenicio, carrubo e rari oleastri”. Nell’isola sono ancora presenti habitat di particolare interesse conservazionistico come ad esempio le praterie sottomarine di Posidonia, le stazioni lungo le scogliere dell’endemico Limonium lopadusanum, le formazioni di Thero-Brachypodietea, con presenza di specie endemiche o rare come Daucus lopadusanus, Filago cossyrensis, Diplotaxis scapola, Allium lopadusanum, Allium hirtovaginatum, Linaria. Tra gli endemismi della flora, i botanici segnalano altresì la Dianthus rupicola, distribuita sulle scogliere dell’isola; la Suaeda pelagica, che forma piccoli nuclei nei substrati marnoso-argillosi, lungo il tratto occidentale costiero dell’isola; la Oncostema dimartinoi, presente in maniera sporadica in tre diverse stazioni dell’isola.

    Di rilevante importanza pure l’esistenza di specie endemiche delle isole del Canale di Sicilia o dell’area del centro del Mediterraneo, come ad esempio Elatine gussonei, Hypericum aegypticum, Plantago afra, Caralluma europea (una pianta nordafricana presente in Europa solo a Lampedusa e nella Spagna meridionale), Centaurea acaulis (specie che cresce spontaneamente in Nord-Africa). “Molti taxa sono fortemente minacciati perché costituiscono dei popolamenti davvero esigui, o perché crescono in corrispondenza di habitat vulnerabili”, rileva il Piano di Gestione dell’area SIC-ZPS delle Isole Pelagie elaborato nel 2008 da Legambiente in qualità di ente gestore della Riserva naturale di Lampedusa. Sempre Legambiente rileva come le “emergenze floristiche” nell’isola siano ben 95; tra i taxa vegetali endemici, rari e minacciati, 23 sono classificati come “vulnerabili”; 22 sono in “pericolo moderato”; una purtroppo “estinta” (Bryum rubens).

    Nell’isola sono state censite oltre 700 specie d’insetti con la presenza di numerosi endemismi (14 solo tra i Coleotteri) e di specie tipiche od esclusive del Nord Africa. Una sola la specie individuata appartenente alla classe degli Anfibi, nove ai Rettili e otto ai Mammiferi. Tra i Rettili in “pericolo critico” sono stati classificati la Tartaruga caretta, il Colubro dal cappuccino algerino, il Colubro lacertino orientale e lo Psammodromo algerino; a “più basso rischio” il Rospo smeraldino nordafricano. Studiosi e ambientalisti lamentano pure che nell’arcipelago delle Pelagie si sono verificati nel tempo alcuni fenomeni di estinzione, come ad esempio la scomparsa della Foca monaca e, più recentemente, della Tartaruga di Hermann. Tra i mammiferi, in pericolo d’estinzione c’è il Coniglio selvatico; specie “vulnerabili” sono il Miniottero e il Ferro di cavallo maggiore; “a più basso rischio” il Topolino domestico, il Vespertilio maggiore, il Pipistrello albolimbato, il Ratto nero e il Mustiolo.

    Per la particolare posizione nel Mediterraneo e la vicinanza al continente africano, Lampedusa e Linosa ricoprono un’importanza strategica per il rifugio e la sosta temporanea di numerosi uccelli migratori. Le due isole sono classificate come IBA (Important Bird Areas, Aree importanti per gli uccelli) in quanto offrono  ospitalità a specie minacciate a livello globale e a un numero particolarmente alto di uccelli migratori. La stessa istituzione della Zona a protezione speciale nell’arcipelago risponde alla necessità di rispettare la cosiddetta “Direttiva Uccelli” dell’Unione europea a tutela e conservazione dell’avifauna rara o minacciata e del suo habitat naturale.

    Solo a Lampedusa sono state censite 161 specie di Uccelli. “La maggioranza di quelle osservate nelle Pelagie è migratrice, in buona parte transahariana, cioè svernante a sud del Sahara e nidificante in Europa”, documenta Legambiente Sicilia. “Questi uccelli, in primavera, iniziano il lungo viaggio attraverso i due continenti (…) È stato messo in evidenza in più occasioni quale importante ruolo svolgono le piccole isole del Mediterraneo per la conservazione dell’avifauna europea; esse infatti sono una specie di trampolino di lancio, spesso tappe obbligate, in cui gli uccelli migratori sostano semplicemente per trascorrere le ore del giorno, in attesa di riprendere il viaggio nelle ore notturne o per recuperare energie, facendo accrescere il loro strato adiposo sottocutaneo, sfruttando le risorse che trovano”.

    Tra le specie più significative presenti, elencate negli allegati della “Direttiva Uccelli”, ci sono la Berta maggiore mediterranea (Calonectris diomedea) che nidifica nell’isola di Linosa con una colonia stimata in circa 10.000 coppie (pari a oltre il 60% della popolazione italiana e a oltre il 20% della popolazione europea) e, con una piccola popolazione anche a Lampedusa e Lampione; la Berta minore mediterranea (Puffinus yelkouan), la cui popolazione globale, endemica nel Mediterraneo centrale e orientale, si sta riducendo in modo critico e che nidifica a Lampedusa in tutta l’area costiera prospiciente Capo Grecale; l’Uccello delle tempeste mediterraneo (Hydrobates pelagicus melitensis), di cui è stata accertata la presenza di una colonia in una grotta.

    Tra le specie nidificanti a Lampedusa e Linosa, è stata registrata una preoccupante diminuzione del Marangone dal ciuffo (ormai poche coppie nidificano nelle falesie sotto Albero Sole), del Falco della regina (la colonia di Lampedusa è stimata intorno a 35-40 coppie), del Barbagianni (una piccola popolazione stabile di 1-3 coppie a Cala Galera e a Capo Grecale) e dell’Occhiocotto, la cui popolazione delle Pelagie è ritenuta di particolare interesse faunistico per la sua specifica colorazione e il singolare verso di richiamo. Gli studiosi classificano a “rischio d’estinzione” pure altri uccelli come l’Albanella reale, la Gru e il Falco pescatore; “in pericolo critico” la Forapaglie, il Mignattino alibianche e il Mignattaio; “in pericolo” l’Occhione, il Falco di palude, la Ghiandaia marina, il Gabbiano roseo, il Cormorano, la Beccaccia, la Bigia grossa, la Volpoca, la Pettegola, “vulnerabile” il Piro piro piccolo, la Marzaiola, la Sgarza ciuffetto, l’Albanella minore, il Colombo selvatico, il Falco pellegrino, il Lodolaio, il Gabbiano corallino, il Gabbiano comune, la Salciaiola, il Nibbio bruno, la Monachella, il Pecchiaiolo e il Baccapesci; “a più basso rischio” il  Martin pescatore, il Rondone maggiore, il Rondone pallido, l’Airone cenerino, l’Airone rosso, il Gufo comune, il Succiacapre, il Fratino, il Corriere piccolo, la Cicogna bianca, la Quaglia, l’Ortolano, il Grillaio, la Balia del collare, il Cavaliere d’Italia, il Tarabusino, l’Averla capirossa, il Codirossone, l’Assiolo e la Magnanina sarda.

    Un’ampissima letteratura ha accertato i pesantissimi impatti dell’elettromagnetismo sull’avifauna eppure sono proprio le aree dell’isola scelte per la nidificazione e la sosta in cui sono proliferate a dismisura le fonti di emissione di onde elettromagnetiche, in buona parte di origine militare. Il Piano di Gestione del SIC-ZPS delle “Isole Pelagie” di Legambiente (redatto, tra gli altri, dall’allora direttrice della riserva naturale e odierna sindaca di Lampedusa e Linosa, Giuseppina Nicolini) nel paragrafo dal titolo Infrastrutture e detrattori ambientali aveva già rilevato come “il territorio del SIC è attraversato da una serie di linee elettriche ad alta, media e bassa tensione e dai cavi sospesi della linea telefonica, infrastrutture con un forte impatto paesaggistico e che sono causa di mortalità per collisione e/o elettrocuzione per l’avifauna (per i rapaci e, a Lampedusa, anche per la Berta minore).

    “Le palificazioni – aggiunge Legambiente – sono concentrate lungo il perimetro orientale e nelle aree del SIC più urbanizzate, tuttavia attraversano anche zone più vulnerabili, come la Via Ponente, che costituisce il limite nord del perimetro della riserva naturale, dove elettrodotti e linee telefoniche seguono la strada per tutta la sua lunghezza per servire le strutture militari presenti ad Albero Sole e Capo Ponente…”. Sempre Legambiente segnala che “l’impianto di pubblica illuminazione del Belvedere di Albero Sole e del contiguo impianto Telecom, è causa di disturbo e di impatti sulle colonie di uccelli nidificanti sulle falesie”; altrettanto “forte” l’impatto esercitato dai cavi sospesi su aree contigue alla ZPS, in particolare a Capo Grecale e nella fascia costiera orientale, nella zona di Mare Morto e Cala Francese.

    “A Capo Grecale sorge l’impianto di trasmissione Telecom”, rileva il Piano di Gestione; “la presenza di una fonte luminosa fissa molto prossima alla falesia può rivelarsi potenzialmente dannosa per tutte quelle specie ornitiche che sono attive di notte o che nidificano sulla falesia sottostante e fanno ritorno al nido dopo il tramonto”. Sempre a Capo Grecale, dove è poi entrato in funzione il radar israeliano anti-migranti della Guardia di finanza, è presente pure una stazione dell’ENEA per la ricerca sui cambiamenti climatici. “La presenza di uno strumento per lo studio dei venti che emette costantemente un suono intermittente può ritenersi fonte di inquinamento acustico per l’avifauna nidificante e migratoria presente sulla falesia prossima all’edificio”, conclude Legambiente.

    Prima di autorizzare all’interno di un Sito d’interesse comunitario o di una Zona a protezione speciale qualsiasi intervento che può compromettere la conservazione di habitat e specie, sarebbe obbligatoria la cosiddetta valutazione di incidenza, anche se però non dovrebbe essere consentita la “realizzazione di impianti di illuminazione esterna, elettrodotti e linee telefoniche” o la “collocazione di torri eoliche e impianti fotovoltaici”. A Lampedusa sino ad oggi è accaduto diversamente, purtroppo, e non è chiaro chi e come dovrebbe far rispettare vincoli e divieti specie con le forze armate o le società della telefonia cellulare. Altrettanto negativo è l’impatto del processo di militarizzazione sull’importante e ricco patrimonio archeologico dell’isola (anche di origine preistorico), rilevato grazie alle campagne di scavi condotte a partire del 1985. “Il sistema dei siti archeologici presenti non soltanto all’interno del perimetro del SIC/ZPS, ma più in generale nell’intera isola, è stato di fatto probabilmente stravolto dalla realizzazione delle istallazioni militari (in particolar modo nella parte occidentale dell’isola) e, soprattutto, dalla realizzazione di strutture edilizie abusive, che hanno di fatto contribuito significativamente alla riduzione del patrimonio archeologico esistente e visibile”, sottolinea Legambiente nel suo Piano di Gestione.

    Le zone di interesse archeologico, in particolare Capo Grecale, sono state sottoposte a vincolo paesaggistico con “divieto della modificazione dell’assetto territoriale senza preventivo nullaosta della dalla Soprintendenza ai Beni Culturali ed Ambientali di Agrigento”, ma anche in questo caso non è dato sapere in che modo sia stata autorizzata l’installazione di radar e ponti radio. Dal punto di vista paesaggistico e archeologico ancora più grave è la vicenda riguardante il dammuso “Casa Teresa” ubicato nei pressi del Vallone della Forbice, a meno di cento metri dalla stazione di spionaggio del 9º Nucleo Controllo e Ricerca dell’Aeronautica Militare di Albero Sole e a 600 metri dagli impianti radar sorti nella ex area Loran di Capo Ponente. Costruzione funzionale alle attività agricole, il dammuso si diffuse a Lampedusa nella seconda metà del XIX secolo; quello di “Casa Teresa” è il più antico e tra i più rilevanti ed articolati per dimensione e tipologia. Dopo essere stato acquisito nel 1994 dalla Regione Siciliana, esso è stato oggetto di in terminabili e onerosi lavori di restauro ed allestimento museale e di un “piano di recupero arboreo” del prospiciente giardino con elementi vegetali appartenenti alla flora autoctona dell’isola.

    Attualmente a “Casa Teresa” sono in corso lavori migliorativi con finanziamento del Fondo Europeo Sviluppo Regionale (asse III 2007-2013) per complessivi 362.900 euro (la data di consegna dei lavori da parte dell’impresa SCR Srl di Agrigento doveva essere il 7 aprile scorso). Impossibile comprendere la compatibilità di un museo-guardino contiguo al filo spinato che delimita alcune delle installazioni militari nazionali e Nato top secret più rilevanti nel Mediterraneo, pericolosissime fonti di inquinamento elettromagnetico. La località di Albero Sole è infine sottoposta a vincolo idrogeologico ai sensi del Decreto Regio n. 3267 del 1923, ancora vigente e “qualsiasi intervento o movimento di terra che possa compromettere la stabilità del territorio, deve essere sottoposto a nulla osta dell’Ispettorato Ripartimentale delle Foreste di Agrigento”. Di terra ne è stata movimentata tanta ad Albero Sole, come innumerevoli sono stati gli interventi infrastrutturali per realizzare e potenziare negli anni gli impianti di guerra di Aeronautica e Marina. Chissà se adesso che monta nell’isola la protesta contro radar e antenne qualcuno vorrà fornire le copie di autorizzazioni e nullaosta ai cittadini e alle associazioni locali…

    Antonio Mazzeo

    11/6/2015 da http://antoniomazzeoblog.blogspot.it

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    Autore: franco.cilenti
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