I segreti della Pfizer.

In queste due settimane abbiamo visto tutte le contraddizioni nei rapporti tra le case farmaceutiche, prettamente la Pfizer, e gli Stati Europei nella crisi sanitaria da Covid-19.

Abbiamo scoperto che Pfizer vende più dosi di vaccino a chi paga di più, come per esempio la Germania, che ha avuto più rifornimenti di vaccini rispetto all’Italia la quale questa settimana ha avuto un calo delle forniture del 29/30% con 150mila dosi in meno. Mi verrebbe da dire che a permetterlo è l’economia di mercato che plasma la società di mercato, per la quale è più importante il profitto privato rispetto alla salute pubblica, in questo caso.

Il Governo italiano ha attivato l’Avvocatura Generale dello Stato per valutare i diversi profili di responsabilità della casa farmaceutica Pfizer in caso di inadempienza e le possibili azioni da intraprendere a tutela degli interessi del Paese e dei cittadini. Questo è un ottimo passo avanti che si apprende da ambienti di Governo e della struttura Commissariale per l’Emergenza, ma ad oggi non sappiamo se in contratti commerciali “top secret” tra case farmaceutiche ed Commissione Europea prevedano delle clausole per la quale la Pfizer sia tutelata in caso di mancata fornitura di dosi.

È una deduzione, ma d’altronde la Pfizer non sembra essere preoccupata che questo fatto possa ledere la propria immagine, anche se lo scandalo è finito a reti unificate.

In questi casi, dove sono i rapporti di forza a dettare il destino della salute pubblica, sarebbe veramente un’ottima idea espropriare senza indennizzo e nazionalizzare sotto controllo della collettività la ricerca e l’industria farmaceutica in nome del motto umanista “sulla salute non si fa profitto”. Solo così si potrebbe avere una sanità pubblica, bene comune, di ottima qualità e senza profitto, esattamente come succede a Cuba.
Ma non si fermano qui gli scandali di Pfizer!

Inchiesta di Report: le dosi difettose di Pfizer

Nella puntata di lunedì 25 gennaio Report ha raccontato come è avvenuta l’autorizzazione dei vaccini, quali sono i dati sulla loro efficacia, e ha svelato alcuni dei documenti ufficiali dell’Ema Leak. Il programma di servizio pubblico di Report, in collaborazione con i giornalisti investigativi del progetto “Behind the pledge”, è riuscito, tramite le mail dell’Ema ritrovate sul dark web, a scoprire che a novembre 2020 erano emersi problemi nella qualità del vaccino Pfizer: “integrità dell’mRna inferiore rispetto alle dosi usate nei trials”. L’Ema ha rassicurato che tutto si è risolto, ma intanto Pfizer ha ridotto le consegne europee del farmaco.

Lo scorso novembre l’Ema, l’agenzia europea che ha il compito di approvare i farmaci, aveva scoperto che alcuni lotti della produzione industriale dei vaccini Pfizer avevano una qualità inferiore rispetto a quelli utilizzati nei trials clinici e aveva chiesto all’azienda di risolvere urgentemente il problema.

Ciò emerge dagli Ema Leaks, un insieme di mail interne scambiate tra il 10 e il 25 novembre e di documenti riservati provenienti dai server dell’agenzia e finiti sul dark web. (https://www.journalismfund.eu/how-eu-money-spent-covid19-drugs).

Proprio la settimana scorsa, Pfizer ha annunciato una riduzione delle forniture di vaccini del 29% in diversi Paesi europei a causa “dell’adeguamento delle strutture e dei processi in fabbrica che richiede nuovi test di qualità e approvazioni da parte delle autorità”. Lo stop, afferma Pfizer, ha l’obiettivo di ampliare la produzione a partire dal 15 febbraio. Secondo quando la casa farmaceutica ha comunicato a Report, non esiste alcun collegamento tra i problemi emersi lo scorso novembre nel dialogo con i regolatori e l’attuale riduzione delle forniture.

Eppure in una mail interna del 24 novembre, un funzionario dell’Ema ha scritto di “differenze nel livello di integrità dell’mRna”, comparando il materiale per le prove cliniche e quello di alcuni lotti destinati all’immissione in commercio. Secondo i documenti ritrovati nel dark web “i vaccini utilizzati negli studi clinici avevano tra il 69% e l’81% di Rna “intatto”. Al contrario, i dati sui lotti prodotti nelle linee di produzione hanno rivelato percentuali inferiori, in media 59%. Il 23 novembre 2020 è lo stesso funzionario dell’Ema a definirlo un “punto critico”.

Il 25 novembre, secondo quanto emerge da un report contenuto nella “Rolling review”, strumento regolatorio che l’Ema usa per velocizzare l’approvazione di farmaci promettenti, l’agenzia Ema scrive: “C’è qualche indicazione che un aggiustamento del processo di produzione può ripristinare i livelli di integrità osservati durante la fase clinica, ma rimangono dubbi sulla riproducibilità, e sono attesi ulteriori dati”. L’Ema si riserva di avanzare all’azienda “richieste ulteriori di dati dopo l’autorizzazione”.

In un ulteriore report interno del 30 novembre 2020, l’Ema scrive: “La comparabilità tra materiale clinico e commerciale non è stata ancora dimostrata, il che solleva incertezze sulla coerenza della qualità del prodotto e quindi incertezze per quanto riguarda la sicurezza e l’efficacia del prodotto commerciale”.

Dalla documentazione emerge che Pfizer è stata in grado di risolvere il problema, raggiungendo una integrità del 75%, ma ciò potrebbe aver comportato un rallentamento della produzione, come riportato anche del Wall Street Journal del 3 dicembre. L’Ema, sollecitata da Report, ha confermato che “durante la valutazione sono state sollevate questioni relative all’integrità dell’mRNA per il vaccino Comirnaty”, precisando però che “l’azienda è stata in grado di risolvere questi problemi e fornire le informazioni e i dati necessari per emettere la raccomandazione positiva per l’autorizzazione questo vaccino”. L’agenzia, domenica 17 gennaio, ha diramato una nota secondo la quale i documenti sarebbero stati manipolati ma ha confermato l’esistenza delle “questioni che emergono dai documenti pubblicati”.

Nella documentazione degli Ema Leaks emergono anche le pressioni esercitate dalla Commissione Europea e dagli Stati membri sui regolatori per arrivare nel più breve tempo possibile all’approvazione del vaccino.
È il quotidiano francese Le Monde ad aver pubblicato le mail in questi giorni. La corrispondenza si riferisce soprattutto a Pfizer e a Moderna e le mail, spedite tra il 10 e il 25 novembre scorso, sono state sottratte a inizio dicembre. Una delle conversazioni dimostra come la nuova commissaria Ue alla Salute, Stella Kyriakides, avesse insistito affinchè tutti gli stati membri ricevessero il vaccino allo stesso tempo. Sembra che la priorità di Bruxelles fosse di impedire che i paesi Europei andassero in ordine sparso, ovvero che potessero affidarsi a soluzioni che puntassero su scala nazionale e non comunitaria (alternativa comunque possibile). Nelle mail hackerate risulta che anche un altro esponente dell’Ema, Harald Enzmann, abbia parlato di una “atmosfera tesa e sgradevole” e si è detto stupito che la presidente della Commissione Europea Ursula Von der Leyen avesse già identificato quali fossero i vaccini che avrebbero dovuto essere approvati prima di fine anno.

Critica di Peter Doshi al vaccino Pfizer e la posizione dei Verdi Europei sulla trasparenza delle case farmaceutiche.

Peter Doshi, professore presso l’University of Maryland – tra i più autorevoli ricercatori sui servizi sanitari farmaceutici –  ha analizzato i dati sulla richiesta di approvazione da parte di Pfizer e Moderna presentati all’EMA e al Food and Drug Administration, scoprendo che l’efficacia dei rispettivi vaccini (spacciata per il 90-95%) è in realtà del 19% e il 29% in quanto i trial sono stati condotti, con test PRC, su pazienti etichettati come “sospetti Covid”, “Covid asintomatici non confermati”. I risultati della sua ricerca sono stati pubblicati in un suo articolo sul British Medical Journal (1), che non può certe essere additato come “negazionista”.

«Solo la piena trasparenza e il rigoroso esame dei dati permetterà un processo decisionale informato» – sono le parole con cui Peter Doshi, associate editor del British Medical Journal, inizia il suo editoriale dedicato ai vaccini anti-Covid, sostenendo che i dati devono essere resi pubblici.

Sul sito della Pfizer sono disponibili informazioni sulle modalità generali di accesso ai dati dei trial del gruppo farmaceutico (2): «I dati dei trial saranno resi disponibili 24 mesi dopo la data di conclusione dello studio primario»; «Pfizer prenderà in considerazione le richieste provenienti da ricercatori qualificati per l’accesso a dati clinici Pfizer» – o ancora – «Pfizer esaminerà le richieste attraverso una commissione interna». Nella pagina si elencano poi ulteriori condizioni che vengono esaminate dalle commissioni interne alla casa farmaceutica prima di dare l’autorizzazione all’accesso ai dati. Ma nulla di più.

Critico anche Silvio Garattini, farmacologo e presidente dell’Istituto Mario Negri, secondo le dichiarazioni riportate dall’Agenzia AdnKronos e tratte da “Il Messaggero”: «Abbiamo bisogno di pubblicazioni scientifiche su riviste serie e non annunci più o meno propagandistici. Senza queste pubblicazioni non si possono fare valutazioni. In sostanza, quello che ci viene chiesto è di fidarci di tutto ciò che riferisce l’azienda senza avere un quadro completo dei dati. Non è così che si fa la scienza» prosegue Garattini. «Bisogna porre fine a questa assurda gara a chi arriva prima al vaccino. Non ha senso. Arrivare per primi non rappresenta un vantaggio per l’azienda. Perché nessuna di queste aziende è al momento in grado di produrre e distribuire dosi sufficienti del vaccino. Considerato che è tutto il mondo ad aspettare il vaccino, le dosi di cui avremo bisogno sono tantissime, troppe, e non sarà solo un’azienda a poterle fornire. Alla fine avremo probabilmente più di un vaccino. Due, tre, quattro o addirittura dieci».

Sul tipo di immunità conferita dai vaccini in arrivo contro Covid-19 è intervenuto Franco Locatelli, Presidente del Consiglio superiore di sanità (Css), in conferenza stampa al ministero della Salute, secondo le dichiarazioni riportate dall’Agenzia AdnKronos. Il tipo di immunità «è ancora da definire con i dati dei prossimi mesi. Dalle informazioni disponibili dei press release, e non da studi scientifici sottoposti a revisione, almeno uno dei vaccini sembrerebbe conferire immunità sterilizzante» ha detto Locatelli.

Secondo Doshi, bisognerebbe avere accesso ai dati grezzi dello studio (3). «E qui nascerebbe un nuovo sospetto: “Nessuna azienda sembra aver condiviso i dati con terze parti”, scrive Doshi. Pfizer afferma che sta rendendo disponibili i dati “su richiesta e soggetti a revisione” – si legge su Il Fatto Quotidiano – “Ciò impedisce di rendere i dati pubblicamente disponibili, ma almeno lascia la porta aperta”, scrive Doshi. “Quanto sia aperto non è chiaro, dal momento che il protocollo dello studio dice che Pfizer inizierà a rendere disponibili i dati solo 24 mesi dopo il completamento dello studio”, aggiunge. La dichiarazione sulla condivisione dei dati di Moderna afferma che i dati “potrebbero essere disponibili su richiesta una volta completato lo studio”. “Ciò si traduce in un periodo compreso tra la metà e la fine del 2022, poiché il follow-up è previsto per 2 anni” spiega Doshi. Forse l’Agenzia europea per i medicinali e quella l’agenzia canadese, potrebbero condividere i dati per qualsiasi vaccino autorizzato molto prima. L’Ema si è già impegnata a pubblicare i dati presentati da Pfizer sul suo sito web “a tempo debito”, così come Health Canada».

A chiedere delucidazioni sulla trasparenza è anche Michèle Rivasi (4), europarlamentare dei Verdi Europei che ha dichiarato di essere delusa per la “trasparenza”. Sono da mesi che chiede accesso ai contratti tra Ue e case farmaceutiche, ma non vengono dati. Il Parlamento Europeo ha votato più di 2 miliardi di euro da destinare ai laboratori, ma non sappiamo quanto ha ricevuto ogni laboratorio. Nei luoghi di produzione si sono visti i problemi di Pfizer in Belgio, ma non si è detto nulla in merito. “Non potete dare così tanto denaro pubblica senza contropartita” – ha affermato Rivasi – “Si direbbe che vi rifugiate dietro il segreto commerciale, mentre è legittimo render conto ai cittadini europei”. “Chi è responsabile degli effetti secondari?” – chiede Rivasi in una interrogazione – “Se io mi faccio vaccinare domani e poi ho una paralisi al volto, a chi mi rivolgo? Agli Stati o ai laboratori? Chi è responsabile? A questo dovete rispondere perché nei contratti non si dice nulla in merito”.

Anche Philippe Lamberts, co-Presidente dei Verdi Europei, durante un’intervista a Il Manifesto, ha attaccato dicendo che “la segretezza dei contratti è un insulto alla democrazia”. A preoccupare Lamberts sono le logiche di profitto che si celano dietro i vaccini anti-Covid, avvertendo che le case farmaceutiche non vogliono far sapere al consumatore a quali condizioni ha acquistato il prodotto. Secondo Lamberts ci sarebbe la chiara volontà di scaricare la responsabilità delle conseguenze dovute ad eventuali effetti collaterali del vaccino sul pubblico e “se così non fosse sarebbe un problema”, intendendo che ci sarebbero ragioni più gravi. “Solo la trasparenza è garanzia di interesse pubblico”, ha affermato. Ad oggi infatti non sappiamo se le case farmaceutiche si prenderanno carico degli effetti secondari a breve e a lungo termine, o se solo di quelli a breve termine scaricando le seconde sul pubblico. Chi ha responsabilità di negoziare i termini dei contratti segue una logica neoliberale che porta l’istituzione a interagire alla pari con le case farmaceutiche, quando in realtà il rapporto dovrebbe essere fondato sulla subordinazione in nome dell’interesse pubblico.

Questo vale per tutte le case farmaceutiche: Pfizer, Moderna, Sanofi e Astrazeneca. L’unica è stata CureVac, che ha fatto un’operazione meramente di facciata, visto che solo alcuni europarlamentari hanno potuto visionare i documenti in cui inoltre sono stati omessi i dati essenziali.

Questo sottolinea la sudditanza degli organismi internazionali, come la Commissione Europea, ai colossi privati, in questo caso le case farmaceutiche, non usufruendo dei poteri che hanno in situazioni d’emergenza.

Fornitura vaccini Pfizer: debolezza o massimizzazione dei profitti
Dopo Pfizer anche Astrazeneca ha annunciato un drastico taglio delle scorte per non meglio specificati problemi tecnici. Su queste scelte aleggia il sospetto che le case farmaceutiche o abbiano avuto problemi di produzione o non siano in grado di produrre tutte le dosi necessarie.

Ma c’è un terzo sospetto che può essere più probabile, ovvero che le case farmaceutiche stiano scatenando, nel mercato dei vaccini, un’asta a rialzo tra gli stati per accaparrarsi più dosi. 

Anche se i vari contratti stipulati dal colosso farmaceutico americano sono sostanzialmente segreti, stando agli ultimi dati forniti dall’azienda inglese Airfinity, Israele, dove sono state vaccinate finora 3,3 milioni di persone pari al 38% della popolazione, pagherebbe ogni singola dose la bellezza di 28 dollari, mentre gli Stati Uniti dove i vaccinati sono finora 17,5 milioni sborsa 19,50 dollari a dose.

L’Unione Europea, stando al report, invece avrebbe concordato con Pfizer un prezzo di 14,50 euro a dose, praticamente quasi la metà rispetto a Israele, mentre il Sudafrica pagherebbe 10 dollari e l’Unione Africana 6,75 dollari.

Un modo semplice per fregarsene della salute pubblica e di una crisi sanitaria, permettendo di massimizzare i profitti con il miglior offerente. D’altronde le case farmaceutiche non sono associazioni filantropiche ma degli enti di lucro.

Sebbene si sia fermata in parte la produzione per ampliare lo stabilimento belga di Puurs con il fine di aumentare la produzione da 1,3 miliardi a 2 miliardi dosi, i ritardi sembrerebbero riguardare soltanto l’Unione Europea e non Stati Uniti e Israele, che pagano di più rispetto a Bruxelles. Con il rischio di una battaglia legale visto i tagli decisi in maniera unilaterale da Pfizer, resta il sospetto che l’azienda abbia trattato meglio i “clienti migliori”, venendo meno agli impegni contrattuali presi.

Sta di fatto che fino a metà febbraio, l’Italia rischia di avere il 45% delle forniture in meno, con la campagna che così è al momento rallentata tanto da essere a rischio le prime dosi vista la necessità adesso di iniziare a fare i richiami.

Lorenzo Poli

Collaboratore redazionale di Lavoro e Salute

25 gennaio 2021

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