I terribili costi dell’invasione dell’Iraq, 2003-2018. Per non dimenticare

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Non si tratta di biasimare certe posizioni ma di non far passare per scientifica una mozione di matrice politica… [Riteniamo]… che il mondo scientifico debba mantenersi estraneo a problemi che per la loro valenza non possono che essere affrontati dai supremi Organi elettivi del nostro Paese…”

Così concludeva, alla vigilia dell’invasione dell’Iraq nel 2003, la sprezzante risposta con cui il governo Berlusconi, per mano del Presidente della Commissione Sanità del Senato, prof. Antonio Tomassini, liquidava la Lettera Aperta dei Medici Italiani contro la Guerra. Accusata di prospettare “scenari apocalittici” nel “tentativo di dimostrare con dati scientifici un teorema politico”, la Lettera era in pochi giorni sottoscritta da oltre 1500 medici italiani.[1]

Nelle settimane e mesi che precedettero l’attacco, l’ipotesi di un’invasione dell’Iraq aveva scatenato proteste in tutto il mondo, con grandi manifestazioni popolari e prese di posizione da parte di movimenti spontanei e istituzioni, comprese università e associazioni professionali. Chi ha vissuto quei momenti ricorda fin troppo bene le bugie raccontate, l’isteria creata ad arte, le tattiche prepotenti usate per mettere a tacere il dibattito e la mobilitazione di massa in opposizione alla guerra. Le menzogne ​​più grottesche riguardavano lo sforzo di spacciare la guerra all’intera opinione pubblica mondiale come un’impresa facile, economica e nobile.

La Lettera dei medici italiani, oltre a citare altre analoghe iniziative internazionali di protesta, come i 500 docenti e studenti della London School of Hygiene and Tropical Medicine, riportava probabili scenari di devastazione e morte contenuti in rapporti di organizzazioni internazionali, compresa l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS).[2] “È indubbio che la guerra sia un problema di salute pubblica” affermava. “In qualità di medici abbiamo non soltanto il dovere di prenderci cura delle vittime della violenza e dei conflitti armati, ma anche di cercare di prevenirli… [L]a guerra in Iraq provocherà centinaia di migliaia di morti, la maggior parte tra i civili e i bambini, la esplosione di epidemie, carestie e distruzioni ambientali.”

L’attacco

Il 20 marzo 2003, Stati Uniti e Regno Unito alla testa di una “coalizione di volenterosi” scagliavano un massiccio attacco aereo, denominato Shock and Awe (“colpisci e terrorizza”) contro l’Iraq. Nelle prime quarantotto ore furono lanciate 3.000 bombe con guida di precisione (“intelligenti”) su Baghdad, città densamente popolata di 5,6 milioni di abitanti. In precedenza queste stesse armi avevano avuto un tasso di successo massimo dell’85%, indicando che almeno 200 missili avrebbero mancato ogni giorno i loro obiettivi. Importanti funzionari del Pentagono prima ancora dell’attacco dichiararono pubblicamente: “Non ci sarà un posto sicuro a Baghdad… si avrà un effetto simultaneo, simile all’arma nucleare di Hiroshima, non in giorni o settimane, ma in minuti.” Lo scopo è “abbattere la città, che vuol dire privarli di elettricità e di acqua. In due, tre, quattro, cinque giorni, saranno fisicamente, emotivamente e psicologicamente stremati.”

Come tutti dovrebbero sapere, un attacco armato di questa natura viola i principi fondamentali del diritto internazionale umanitario che richiedono di distinguere tra popolazione civile e combattenti, e tra infrastrutture civili e obiettivi militari.  Nonostante la mancanza di un’autorizzazione formale da parte del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, l’intervento fu giustificato sulla base di un approccio che passerà alla storia come “guerra preventiva” (l’accusa, mai provata, alla dittatura di Saddam Hussein era di possedere armi di distruzione di massa) e come “esportazione della democrazia”. È stato necessario il lavoro titanico della Commissione Chilcot[3] per stabilire, nel 2016, che l’invasione fu non soltanto inutile, ma anche disastrosa.

Come ha documentato la Brown University, dal 2003 al ritiro formale delle forze combattenti statunitensi nel 2011, la guerra è costata ai contribuenti americani $1700 miliardi, con altri 490 miliardi per l’assistenza ai reduci di guerra.[4] 4.500 americani hanno perso la vita e più di 600.000 veterani sono registrati come disabili. Di essi circa il 10% soffre di disturbo da shock post-traumatico (PTSD), mediamente ogni notte 40.000 di loro sono senzatetto e hanno un rischio di suicidarsi 22 volte superiore alla media. L’Italia, la cui base principale era Nassiriya, si ritirò nel 2006, lasciando alle spalle 33 morti che contribuiscono al totale di 4.839 caduti dell’intera coalizione.[5]
I costi umani per la popolazione irachena

Erano davvero “apocalittici” gli scenari prospettati dalla Lettera dei medici italiani? Doveva davvero “il mondo scientifico mantenersi estraneo a problemi che per la loro valenza non possono che essere affrontati dai supremi Organi elettivi del nostro Paese?” Non era forse la salute e la vita della popolazione irachena (e non solo) di una “valenza” tale da rendere legittima e addirittura doverosa l’intromissione del “mondo scientifico” nel dibattito sull’opportunità che l’Italia partecipasse a quella tragica impresa?

La guerra in Iraq ha avuto un impatto enorme, che continua a crescere nel tempo, la cui entità viene tuttavia raramente evidenziata come costo umano sostenuto dalla popolazione irachena. Un suo breve sommario può aiutarci a completare il quadro.[6]

Riguardo alla mortalità legata alla guerra in Iraq, sono stati condotti tre importanti studi epidemiologici. Il primo, pubblicato su The Lancet nell’ottobre 2004 e condotto da ricercatori dellaJohns Hopkins School of Public Health e personale medico in Iraq, ha quantificato in circa 100.000 i “morti in eccesso” a causa della guerra nei primi 18 mesi dall’invasione.[7] La seconda indagine, da parte nuovamente della Johns Hopkins, terminata nel giugno 2006 e pubblicata quattro mesi dopo ancora su The Lancet, stimava che 650.000 persone (civili e combattenti) erano morte in quel periodo in Iraq a causa della guerra.[8] Un terzo studio, compiuto dal Ministero della Salute iracheno contemporaneamente al secondo della Hopkins e pubblicato sul New England Journal of Medicine(NEJM) rilevava 400.000 morti in eccesso, 151.000 per violenza diretta. Come nel caso della maggior parte di simili indagini svolte durante il periodo della guerra, emergevano problemi nella raccolta dei dati e l’analisi tendeva a sottostimare i numeri delle morti violente. Tuttavia l’indagine confermava l’altissima mortalità riportata sul The Lancet.[9]

Va notato che sia il secondo articolo di Lancet sia quello del NEJM erano basati su studi completati in Iraq nel pieno della violenza legata alla guerra (2006). I combattimenti su larga scala continuarono per un altro anno e lentamente si assestarono nell’anno seguente a livelli inferiori ma continuativi. Quelle stime sono quindi una frazione del totale causato dalla guerra. Nel 2008, la rivistaConflict and Health pubblicava “Stime della mortalità della guerra in Iraq: una revisione sistematica” riportando che gli studi di maggiore qualità, quelli cioè che usano metodi basati sulla popolazione, avevano fornito le stime più alte. Le morti medie giornaliere variavano da 48 a 759.[10] Diversi altri tentativi sono stati fatti per stimare i morti della guerra, e in particolare i civili uccisi dalla violenza diretta. Il più noto, l’Iraq Body Count, ha contato le morti riportate nei giornali in lingua inglese, il che ne ha gravemente limitato l’ambito.

Le stime del numero degli sfollati (all’interno dell’Iraq) e dei rifugiati (principalmente in Giordania e Siria) direttamente attribuibili alla guerra variano da 3,5 milioni a 5 milioni o più. In sostanza tutti i resoconti di prima mano hanno indicato la violenza o le minacce di pulizia etnica o settaria come cause principali dello spostamento di masse di popolazione. Inoltre, le devastazioni che colpiscono inevitabilmente sfollati e rifugiati rappresentano un altro indicatore dell’entità del numero di morti. In tutte le guerre recenti, dal 1945 in poi, il rapporto tra rifugiati e morti è stato di 10:1, spesso più nell’intervallo di 5:1. Applicando questa proporzione alla guerra in Iraq, si ottiene una mortalità di circa un milione di iracheni.[11]

Riguardo alla salute dei bambini, dal momento dell’invasione è evidente un costante aumento della mortalità infantile in Iraq. La copertura vaccinale è scesa dall’80% nel 1990 a poco più del 40% nel 2011, ben al di sotto dell’83-94% dei livelli di immunità, il peggiore della regione.[12] Uno studio del 2009 sugli effetti della guerra sulla nutrizione dei bambini, nelle aree non violente, mostrava profondi effetti negativi.[13]  Tra i residui belici rimasti a contaminare l’ambiente fisico dell’Iraq è presente una notevole quantità di uranio impoverito, le cui qualità cancerogene sono ormai note, e di metalli pesanti. A Falluja, la più grande città della provincia di Anbar e teatro di due enormi battaglie tra le forze americane e gli “insorti”, i difetti congeniti alla nascita sono notevolmente aumentati nel 2011.[14] Secondo uno studio del 2012, in meno di un decennio, sono aumentati di ben 17 volte nello stesso ospedale”.[15]

Perché il governo italiano scelse di sostenere l’invasione?

È legittimo discutere se i dati sopra esposti possano o no meritare l’appellativo di “apocalittici” e in che grado fossero prevedibili. Certamente nei mesi e settimane che precedettero l’invasione erano state condotte analisi predittive, per quanto ancora imprecise, che avrebbero dovuto ricevere adeguata considerazione dai “supremi Organi elettivi del nostro Paese”. Com’è stato possibile sottovalutarne le possibili, tragiche implicazioni?

La guerra ha un forte impatto su chi l’ha realmente vissuta, ma per la maggior parte di noi nell’occidente industrializzato è invece vissuta come un evento distante. È sufficiente osservare la nostra reazione all’arrivo di profughi dalle zone di conflitti. Semplicemente non prestiamo attenzione a ciò che è loro successo. Esistono, indubbiamente, ragioni politiche e psicologiche per questa indifferenza: l’idea stessa della violenza è insopportabile, le falsità raccontate dai politici finiscono per acquietarci e così via. Sintomo e causa di questa indifferenza è l’assenza di una narrazione adeguata degli effetti distruttivi delle guerre. I governi preferiscono non trattarne e i mezzi di informazione riportano preferibilmente le stime più basse possibili.

Ciò che in genere succede è che nelle nostre decisioni importanti siamo vittime di quella che gli psicologi chiamano l’illusione della validità (del nostro giudizio) (o “illusione della scelta razionale”) ossia la fiducia ingiustificata prodotta da una buona corrispondenza tra il risultato previsto e le informazioni a disposizione. Si tratta di un pregiudizio cognitivo secondo cui una persona sopravvaluta la sua capacità di interpretare e predire con precisione il risultato quando analizza un insieme di dati. Questo avviene in particolare quando i dati “raccontano” una storia coerente e per noi soddisfacente. Questo effetto persiste anche quando la persona è a conoscenza dei fattori che limitano l’accuratezza delle sue previsioni, cioè quando i dati o i metodi usati per giudicarli portano a previsioni molto fallibili.[16]

Le basse stime in termini di effetti negativi che i mezzi di informazione e i leader politici usano per descrivere il risultato delle guerre forniscono una sorta di auto-assoluzione alle scelte tragiche compiute sotto l’“illusione della scelta razionale”. Alla vigilia dell’invasione dell’Iraq, tale illusione era fornita dalle presunte “armi di distruzione di massa” di Saddam Hussein (o dalla pretesa caccia a Osama bin Laden). Ora le guerre possono essere giustificate sotto un’altra illusione di validità, ossia che i civili danneggiati dalle guerre siano, tutto sommato, relativamente pochi. Questi numeri, se pur raramente citati e per quanto vuoti di attendibilità, sono ripetuti così spesso che le stime assurdamente basse sono diventate senso comune. È così avviene che anche i media liberali, o gli stessi politici che dovrebbero tenere alta l’attenzione alle implicazioni sociali delle loro scelte, raramente esplorino i costi umani delle guerre.

Conclusione

A quindici anni di distanza appaiono chiari gli effetti diretti e indiretti che la guerra in Iraq ha avuto su quell’area geo-politica e sul mondo intero. Innanzitutto ha colpito il più ampio Medio Oriente, rafforzando l’Iran, accentuando le tensioni con l’Arabia Saudita e complicando notevolmente la guerra civile nella vicina Siria, dove dal 2011 sono morte oltre 400.000 persone e molti milioni sono stati sfollati. Anziché creare una democrazia liberale benigna, la guerra ha incoraggiato le violenze dei jihadisti e infiammato il settarismo che mette gli arabi contro i curdi e gli sciiti contro i sunniti. I cristiani sono fuggiti o sono stati “ripuliti” da gran parte della regione. L’instabilità in Medio Oriente ha anche contribuito alla peggiore crisi dei rifugiati in Europa dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Come ammesso da Barak Obama “L’ISIS è una conseguenza diretta di Al Qaeda in Iraq nata dalla nostra invasione”.[17]

Come membri della “coalizione dei volenterosi” che ha partecipato all’invasione, anche noi italiani abbiamo contribuito ai fatti sommariamente raccontati qui sopra. Credo quindi che debba anche per noi valere quanto affermato dal professor Juan Cole, accademico statunitense e storico del Medio Oriente, al ritiro delle truppe statunitensi dall’Iraq nel 2011:[18]

“Il pubblico americano per la maggior parte non ha ancora idea di cosa abbiano fatto gli Stati Uniti in quel paese. Fino a quando noi americani non ci assumeremo la responsabilità per il danno che facciamo agli altri con le nostre guerre perpetue, non potremo mai riprenderci dalla nostra malattia della guerra, che ci spinge a ricorrere alla violenza negli affari internazionali in un modo che nessun’altra democrazia fa abitualmente.”

Bibliografia

    1. Il senato risponde ai medici contro la guerra.https://lists.peacelink.it/news/msg04438.html
    2. Potential impact of conflict on health in Iraq. Geneva: WHO, 2003
    3. Il rapporto Chilcot dimostra che la guerra in Iraq è stata un errore. Internazionale, 06.07.2016
    4. Wikipedia.org: Financial cost of the Iraq War
    5. Icasualties.org
    6. Iraq: the Human Cost.
    7. Mortality before and after the 2003 invasion of Iraq: cluster sample survey.
    8. Burnham G, Burnham G, Lafta R, Doocy S, Roberts L. Mortality after the 2003 invasion of Iraq: a cross-sectional cluster sample survey. DOI: https://doi.org/10.1016/S0140-6736(06)69491-9 
    9. Violence-Related Mortality in Iraq from 2002 to 2006. N Engl J Med 2008; 358:484-493. DOI: 10.1056/NEJMsa0707782
    10. Christine Tapp C, Burkle FM, Wilson K, et al. Iraq War mortality estimates: A systematic review. Conflict and Health20082:1 https://doi.org/10.1186/1752-1505-2-1.
    11. UNHCR. For information about our work in Iraq
    12. Guha-Sapir D, Burkle FM. Health Trends in Iraq with a Focus on Children: No Cause for Optimism. Journal of Tropical Pediatrics 2014; 60(3): 177–178, https://doi.org/10.1093/tropej/fmu027
    13. Gabriela Guerrero-Serdán, 2009. The Effects of the War in Iraq on Nutrition and Health: An Analysis Using Anthropometric Outcomes of Children. HiCN Working Papers. 55, Households in Conflict Network.
    14. Alaani S, Savabieasfahani M, Tafash M, Manduca P. Four Polygamous Families with Congenital Birth Defects from Fallujah, Iraq. Int J Environ Res Public Health. 2011 Jan; 8(1): 89–96.
    15. Al-Sabbak M,Sadik Ali S, Savabi O, et al. Metal Contamination and the Epidemic of Congenital Birth Defects in Iraqi Cities. Bull Environ Contam Toxicol. 2012 Nov; 89(5): 937–944.
    16. Wikipedia.org: Illusion of validity.
    17. ISIS: The “unintended consequences” of the US-led war on Iraq. Foreignpolicyjournal.com, 23.03.2015
    18. Post-American Iraq by the Numbers. https://www.juancole.com/2011/12/post-american-iraq-by-the-numbers.html

Angelo Stefanini

21/3/2018 www.saluteinternazionale.info

 

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