Il bazar della Riforma Moratti, funerale del Servizio Sanitario Lombardo

Se la Lombardia fosse uno stato indipendente, come chiedeva Umberto Bossi, oggi sarebbe al 7° posto nel mondo come numero di morti per Covid in relazione agli abitanti: 343/100.000; nella prima fase della pandemia, la Lombardia era addirittura al primo posto: una tragedia nella tragedia, nella regione che si vanta di avere il miglior servizio sanitario del Paese.

Un modello di sanità portato in palmo di mano non solo dalla destra, ma anche da settori del centrosinistra.

In Lombardia circa il 40% della spesa sanitaria corrente è destinata alle strutture private convenzionate.

Per il privato, come in qualunque altro settore, l’obiettivo è fare profitti, ma in questo caso i profitti si fanno sulle malattie e sui malati, non sulle persone sane, quindi, la prevenzione per i privati è solo una pericolosa concorrente. Il privato sceglie i settori nei quali investire: non il pronto soccorso, né il dipartimento d’emergenza, ma la cura delle patologie croniche e la specialistica di alto livello.

Al contrario, il servizio pubblico più previene, meno persone si ammalano, più risparmia; ma in Lombardia (e non solo) il servizio pubblico da oltre venticinque anni è gestito con la stessa logica e i medesimi obiettivi del privato.

LA SPESA È ORIENTATA verso una medicina unicamente curativa, la parte del leone la fanno gli interventi di altissima specialità e le cure di ultima generazione, spesso ancora inserite nei trial di sperimentazione; queste eccellenze richiamano malati da ogni parte d’Italia, ma per le caratteristiche e per i costi che hanno (una terapia oncologica con gli ultimi farmaci può superare i 100.000 euro) possono riguardare un numero limitato di persone spesso curate in strutture private convenzionate, le quali si aggiudicano gran parte dei finanziamenti.

In assenza di una programmazione sanitaria pubblica a farne le spese, è stata la medicina preventiva e le strutture territoriali ridotte al minimo, private del personale e delle risorse necessarie: dalla carenza dei medici di medicina generale, all’esiguità dell’assistenza domiciliare, alle liste di attesa lunghe talvolta anche un anno, alla chiusura dei servizi di psichiatria, alla insufficienza di quelli dedicati ai minori, alla mancanza di personale nella medicina del lavoro ecc.

Un sistema sanitario così organizzato non è stato in grado e non lo sarà in futuro, di contrastare una pandemia che si deve fronteggiare innanzitutto sul territorio in uno stretto rapporto tra popolazione e strutture sanitarie.

La scadenza istituzionale che obbligava la Lombardia a modificare la legge sulla sanità poteva rappresentare un’occasione unica per modificarne l’impianto, facendo tesoro della dura lezione impartita dalla pandemia.

NULLA DI TUTTO QUESTO. La legge Moratti/Fontana approvata il 30 novembre va nella direzione opposta. Stabilisce ”l’equivalenza delle strutture pubbliche e private accreditate” questo significa che il pubblico, con i suoi doveri e vincoli, farà da supporto al privato che potrà scegliere dove e come collocarsi;

  • vengono istituiti i distretti sanitari, ma le Case e gli ospedali di comunità potranno essere gestite dai privati che le utilizzeranno per indirizzare i cittadini verso le loro strutture di diagnosi e cura;
  • la programmazione rimane inesistente e non inciderà nel selezionare la presenza del privato dentro il servizio pubblico, tutto sarà trasformato in un grande bazar nel quale ogni mercante presenta la sua merce: chi potrà acquisterà, gli altri si arrangeranno con attese di mesi e mesi;
  • l’impostazione rimane ospedalocentrica, prevenzione e medicina territoriale continueranno a far la parte di Cenerentola, l’epidemiologia e i piani pandemici restano fantasmi;
  • rimangono sia le ATS, Agenzie di Tutela della Salute (dovrebbero essere le ASL) che le ASST, le Aziende Socio sanitarie Territoriali, in un’enorme confusione di ruoli, ma con una pletora di posti da dirigente da distribuire secondo i noti criteri di fedeltà politica;
  • nulla cambia nella gestione delle RSA quasi completamente in mano ai privati;
  • viene lasciato grande spazio alle assicurazioni private con è il rischio che in futuro potranno utilizzare percorsi riservati di accesso al Servizio Sanitario…

Lo scenario futuro verso il quale ci stanno portando è evidente: la possibilità di curarsi dipenderà dal proprio portafoglio e dall’assicurazione privata, per gli altri rimarrà solo una limitata assistenza sanitaria di base.

LA PARTITA NON È CHIUSA; in Lombardia si è costituito “Dico 32. Campagna per il diritto alla salute” che attorno ad una proposta di ventidue punti ha raccolto l’adesione di decine di associazioni e che è riuscita a chiamare alla mobilitazione tutto lo schieramento di opposizione, comprese quelle forze politiche che in regione negli anni passati non avevano certamente svolto un deciso ruolo di contrasto alle politiche di privatizzazione.

Questa non è una vicenda puramente lombarda; rappresenta uno dei punti più avanzati di penetrazione della logica liberista nel mondo sanitario; i nostri corpi sono trasformati in merce che genera enormi profitti e la vicenda dei brevetti sui vaccini per il Covid né un altro esempio.

Durante le trattative sul TISA, l’Accordo sul commercio dei servizi, rappresentanti di fondi finanziari hanno esplicitamente dichiarato che la sanità sarebbe l’ambito più redditizio per gli investimenti privati a condizione che “gli Stati, le Chiese e le opere caritatevoli si ritirino” lasciando libero il campo.

Ed è quello che sta accadendo.

Ma non è detto che debba finire così. Le competenze e le risorse umane per bloccare queste strategie ci sono e non sono poche, in Lombardia, in Italia e nel mondo.

Vittorio Agnoletto

2/12/2021 https://ilmanifesto.it

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