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Commenti di Mauro Biani

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    Altra Informazione, Blog, Comitati di Lotta, Cronache di Lavoro, Cronache Politiche, Cronache Sindacali, Cronache Sociali, Politiche di Rifondazione — Dicembre 6, 2016 8:30 am

    Questo rinnovo, che non a caso condivide molti aspetti col futuro contratto degli statali, rischia di fare da modello per una nuova tipologia di contratto. Il modello cui ambiscono è un accordo di garanzia per le aziende che si assicurano la pace sociale grazie alle clausole di raffreddamento, erogano aumenti in “natura”, legano tutti gli unici aumenti salariali aziendali ad incrementi di produttività (cioè sfruttamento), concorrono al definitivo smantellamento del sistema pubblico sanitario e pensionistico.

    Il CCNL dei metalmeccanici. Né il pane né le rose!

    Pubblicato da franco.cilenti

    Il CCNL dei metalmeccanici. Né il pane né le rose!

    “Il pane e le rose” è lo slogan che meglio sintetizza l’idea di una società in cui si è realizzati e liberi. Una società in cui oltre al necessario si può aspirare anche al resto. Trasferito su un contratto sindacale, potrebbe essere un accordo che concede soldi e al tempo stesso diritti. Nell’ipotesi d’accordo firmata il 26 novembre da FIM, FIOM e UILM non c’è né l’uno né l’altro. Non ci sono i soldi e non ci sono i diritti. Né il pane né le rose.

    Dopo due contratti separati, nel 2009 e nel 2012, il gruppo dirigente della FIOM considera questa una vittoria. La parola ora passa ai lavoratori e alle lavoratrici, perché l’ipotesi di accordo sarà valida soltanto se sarà approvata nella consultazione del 19-20-21 dicembre.

    Ad oggi non posso che prendere atto della posizione espressa a maggioranza dalla FIOM. Ma il mio giudizio resta totalmente negativo. L’accordo rappresenta un sistema contrattuale completamente nuovo, che mette a rischio il ruolo stesso del contratto nazionale di lavoro così come lo abbiamo conosciuto in questi decenni nel suo ruolo di tutela generale dei diritti dei lavoratori.

    Il ccnl sarà valido solo dopo il voto e questo è un bene, non ci sono dubbi. Ed è quello che la FIOM ha chiesto negli ultimi otto anni. Tuttavia, un conto è dire che questo accordo sarà votato dai lavoratori, altro è avere la certezza che d’ora in avanti ogni contratto nazionale dovrà essere votato per essere valido. Se FIM e UILM hanno accettato di votare un contratto firmato unitariamente, non c’è nessuna garanzia, purtroppo, che in futuro saranno altrettanto disponibili a votare anche su eventuali accordi separati.

    In ogni modo, se il voto è una conquista della FIOM, ben altre sono le conquiste di Federmeccanica, che ottiene gran parte di quello che ha preteso fin dall’inizio di questa lunga trattativa iniziata un anno fa: aumenti salariali bassi, premi aziendali variabili, welfare e benefits aziendali per fidelizzare i dipendenti, la piena disponibilità della settimana lavorativa, allungabile e accorciabile a seconda delle esigenze della produzione.

    Sugli aumenti salariali il dato è eclatante. In quattro anni (da gennaio 2016 a dicembre 2019) i metalmeccaniciportano a casa un valore stimato di 51 euro. Stimato e non certo perché gli aumenti sono calcolati sull’inflazione reale, conosciuta quindi soltanto l’anno successivo a quello di riferimento. È bene considerare che in questi anni l’inflazione programmata è sempre stata superiore a quella reale. In ogni caso, se anche i dati previsionali si avverassero e gli aumenti fossero effettivamente di 51 euro, stiamo parlando di cifre di gran lunga inferiori a quelle di tutti gli altri contratti nazionali firmati negli ultimi anni. Non è un caso, che ancora prima della conclusione sul tavolo dei metalmeccanici, Confcommercio abbia preteso e ottenuto di congelare l’aumento di 16 euro già previsto dal ccnl del terziario firmato nel 2015.

    Nei volantini di FIM, FIOM UILM si legge in realtà che l’aumento è di 92 euro, perché impropriamente si sommano i 51 euro con voci che sono di altra natura, legate a welfare aziendale: 7,69 euro sulla previdenza integrativa (che vanno però soltanto agli iscritti a COMETA, circa il 40% dei metalmeccanici); 12 euro sulla sanità integrativa (di cui una parte erano già previsti per Metasalute nel 2012); 13.6 euro di welfare (i cosiddetti buoni carrello) e la quota per il diritto alla formazione continua, per chi ne usufruirà. Fino a pochi giorni fa la si diceva giustamente che il welfare non doveva essere alternativo all’aumento salariale. Ora invece viene sommato ai 51 euro per dire quale sarà l’aumento complessivo. Ma il punto è semplice. Il welfare non è sostitutivo oppure l’aumento è di 92 euro. Entrambe le cose non posso essere vere.

    Inoltre, i minimi salariali saranno assorbiti dal 2017 dalle parti fisse del salario. É prevedibile che questo porti a contrattare soltanto premi di risultato variabili, come d’altra parte è espressamente scritto nell’ipotesi d’accordo. Con questo rischia di chiudersi quella politica salariale di secondo livello basata su premi fissi e certi che la FIOM ha provato a portare avanti in questi anni, pur con grandi difficoltà.

    Certo, poi le singole RSU in fabbrica potranno sempre riconquistare premi fissi e non assorbibili. Però è bene dire da subito che questo significa scaricare su di loro il peso e gli effetti negativi di un pessimo accordo. Se le RSU in fabbrica devono riconquistare quanto ha perso il contratto nazionale, significa che esso non è più quello strumento solidaristico e universale che dovrebbe salvaguardare tutti e casomai permettere alle RSU più forti di ottenere condizioni migliori.

    Oltretutto è anche poco realistico che le RSU riconquistino quello che a livello nazionale non siamo riusciti a difendere. Come quando la CGIL decise di fermare la mobilitazione contro il Jobs act nel 2014, provando a convincerci che si affidava alle RSU e ai contratti nazionali il compito di contrastarlo. Il bilancio non è mai stato fatto, ma basta vedere il contratto nazionale dei metalmeccanici, in cui non abbiamo nemmeno iniziato a discutere di articolo 18, demansionamenti, videosorveglianza, contratti di lavoro precari.

    Oltre al salario, peggiorano anche vari aspetti normativi. Per esempio, la legge 104 che viene peggiorata nella sostanza. Seppure nel testo si richiama formalmente il rispetto della legge, si accetta che i lavoratori e le lavoratrici debbano dire quando saranno in permesso addirittura 10 giorni prima che inizi il mese di riferimento. Se anche sono fatte salve le urgenze, nella pratica questo determinerà un netto peggioramento nell’utilizzo dei permessi.

    Viene inoltre introdotto il lavoro agile (il cosiddetto smartworking). Oggi l’ipotesi di accordo lo definisce uno strumento utile. La stessa FIOM fino a pochi mesi fa lo considerava invece giustamente l’ennesimo cavallo di Troia per destrutturare la prestazione di lavoro, in nome dell’innovazione tecnologica e organizzativa.

    Inoltre, rinnovando il ccnl del 2012, viene riconosciuto tutto quello che non è espressamente modificato e che giustamente 4 anni fa la FIOM rifiutò e che in larga parte attiene alla prestazione effettiva di lavoro e al controllo degli orari. Per esempio il raddoppio delle ore di straordinario obbligatorio, l’aumento delle ore di flessibilità e la sottrazione del controllo delle RSU (nel nuovo ccnl si reintroduce il ruolo della RSU ma soltanto per stabilire le modalità del recupero, non sulla flessibilità in quanto tale). Senza considerare poi la penalizzazione delle malattie brevi.

    Infine, le deroghe. Da un lato è un bene che siano state cancellate le deroghe salariali riconosciute da FIM e UILM nel 2012 (quelle che permettevano in azienda di derogare con accordo della RSU anche dai minimi salariali nazionali). Dall’altro vengono però riconosciute quelle normative con l’applicazione del Testo Unico sulla rappresentanza, quello firmato anche dalla CGIL il 10 gennaio del 2014, che la FIOM tanto criticò nel Congresso di quell’anno. Le deroghe saranno uno straordinario elemento di ricatto, anche se, come pare sia stato pattuito tra le organizzazioni sindacali, si introducesse il vincolo che per essere valide non basta l’accordo con la RSU ma è necessario anche quello delle organizzazioni territoriali. Un vincolo in più, è vero. Ma il ricatto si sposterebbe semplicemente più in alto, a livello territoriale piuttosto che aziendale.

    È inoltre pericoloso che sulle altre parti relative all’applicazione del TU, ci si affidi a una commissione che partirà dopo la firma del contratto, senza che siano mai state escluse le parti più contestate e pericolose, come le clausole di raffreddamento e le sanzioni.

    Insomma, un po’ troppo perchè possa essere descritto come un buon accordo. Certo, i tempi non sono i migliori e parafrasando il Candide di Voltaire può anche essere che questo sia “il migliore degli accordi possibili” in questa condizione. È pure vero però che il gruppo dirigente della FIOM non ha spinto fino in fondo l’acceleratore sulle lotte durante la trattativa. Non mi nascondo le difficoltà che ci sono state. Mobilitare i lavoratori non è mai facile. Ma provare a determinare altri rapporti di forza sarebbe stato l’unico modo per tentare di costringere Federmeccanica a modificare le sue richieste. Credo che sia stata sbagliata la scelta di non proseguire gli scioperi a giugno e rinunciare allo sciopero generale a Roma.

    È anche vero che quando si dice che una ipotesi di accordo non va bene, si deve pensare a quale sarebbe l’alternativa se non si firmasse. Questo però è un argomento che usavano FIM e UILM nel 2009 e nel 2012. La FIOM giustamente rifiutò allora quella logica. Ora la FIOM invece firma e invita i lavoratori e le lavoratrici a votare NO.

    La parola spetta a loro e qualunque essa sia la rispetteremo, ovviamente. Il sindacatoaltracosa-opposizione CGIL farà campagna per il NO, appoggiando i delegati e le delegate ad attrezzarsi affinché le ragioni di dissenso siano conosciute, argomentate e sostenute nelle assemblee che si terranno e nel referendum del 19-20-21 dicembre. In un sistema “democratico” in cui si vota SI o NO ma si può sostenere soltanto il SI.

    Non è facile in effetti trovarsi a aprire una campagna per il NO (quella all’ipotesi di accordo dei metalmeccanici) mentre non abbiamo ancora finito di sostenere l’altro NO (quello per il referendum del 4 dicembre). Da un lato è in discussione la Carta Costituzionale. Dall’altro il contratto nazionale di lavoro. In entrambi i casi, il NO non è che un primo passo, che resta l’ultimo se non si ricostruisce un terreno di partecipazione, mobilitazione e conflitto. Nelle fabbriche, nei posti di lavoro e nella società.

    Eliana Como

    3/12/2016 www.lacittafutura.it

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