Il complesso militar-cinematografico

L’esercito che si infiltra silenziosamente in uno studio cinematografico… l’idea potrebbe sembrare la trama immaginaria di un film, ma Top Gun: Maverick ci ricorda che è fin troppo reale. Il nuovo blockbuster è l’ultimo prodotto di un’elusiva sinergia tra Forze Armate e Industria dell’intrattenimento di cui pochi sono a conoscenza, ma che informa una parte sostanziale di ciò che leggiamo, vediamo e sentiamo sull’esercito e sul militarismo.

È nei film che questo sistema di furtiva propaganda militarista prevale – nonostante sia a malapena rivelato agli spettatori.

Per esempio, per aiutare regista e produttori a portare a termine il sequel di Top Gun, la marina militare ha consegnato piloti, aerei da caccia, e portaerei, e ha perfino infranto le sue stesse regole di addestramento al volo per fare in modo che Tom Cruise apparisse il più figo possibile. In cambio, la produzione del film non ha solo pagato una tariffa per affittare gli aerei da 11.000 dollari all’ora – ha permesso al Pentagono di contribuire alla costruzione del film.

Come rilevato nell’episodio più recente del Lever Time podcast del Professor Roger Stahl dell’Università della Georgia, direttore del film documentario Teatri di Guerra: Come il Pentagono e la CIA conquistarono Hollywood, la richiesta di rendere pubblici gli archivi ha rivelato che agli ufficiali militari è stato permesso di apportare modifiche a Top Gun: Maverick, incluso far sì che «argomenti cruciali» riguardanti per esempio reclutamento e politica estera fossero inseriti nel film.

Adesso, per capitalizzare sul successo del film, l’aeronautica militare manda in onda pubblicità per il reclutamento prima delle proiezioni.

Come ha detto a Fox News un ufficiale di reclutamento di spicco, «Vogliamo trarre vantaggio dall’opportunità di legare non solo il film all’idea del servizio militare, ma al fatto che abbiamo lavoro e abbiamo reclutatori che li aspettano».

Questo formule equivoche non sono inedite. Da decenni, l’esercito lavora fianco a fianco con Hollywood per aiutare nella produzione di film promozionali e show televisivi, e per scoraggiare la produzione di film che criticano le forze armate e il militarismo come ideologia.

Il modo in cui funziona è piuttosto semplice: gli uffici adibiti ai film dell’esercito offrono agli studi cinematografici l’accesso gratuito o a buon prezzo a basi, portaerei, aerei e tutti gli altri tipi di hardware. Ma c’è un inghippo: in cambio dell’accesso, gli studi devono sottoporre i copioni perché vengano editati riga per riga in modo che i film siano a favore dell’esercito.

Questa pretesa ha creato una dinamica potente a Hollywood. Ottenere l’accesso agli strumenti militari gratuitamente o a tariffa ribassata rappresenta effettivamente un sussidio importante per gli studi cinematografici che accondiscendono alle richieste di propaganda dell’esercito – e in alcuni casi, l’esercito ha usato questo potere per spingere i registi a distorcere la storia americana.

D’altro canto, se l’accesso è negato spesso i film non vengono realizzati – perché gli studi sanno che sarebbero più costosi da produrre.

I leader militari conoscono da tempo e a fondo il potere di influenzare i prodotti culturali – e di farlo segretamente.

«La mano del governo deve essere attentamente nascosta, e, in alcuni casi oserei dire, totalmente eliminata» ha scritto il presidente Dwight Eisenhower in una lettera del 1953, che delineava la sua strategia per influenzare l’immagine estera degli Stati Uniti durante la Guerra Fredda:

Gran parte di questa specifica cosa dovrebbe esser fatta attraverso accordi con ogni sorta di imprese operate privatamente nel settore dell’intrattenimento, del teatro, della musica, e così via. 

Un’altra parte si farebbe attraverso accordi clandestini con riviste, giornali e altri periodici, e case editrici.

Eisenhower, ex generale, si riferiva agli sforzi del governo di influenzare l’immagine estera degli Stati Uniti – ma questa strategia è anche ciò che guida il connubio Forze Armate-Industria dell’intrattenimento che in modo impercettibile piega l’opinione pubblica americana, a partire dalle invasioni militari fino al budget del Pentagono.

A seguire un estratto del capitolo “Operation red down” del mio libro Back to our Future (Ritorno al nostro Futuro), che si addentra fino in fondo in questo sistema di propaganda invisibile.

L’esercito lavora con i produttori di Hollywood dal 1927, quando ha contribuito alla produzione di Wings, vincitore della prima Academy Award per il Miglior Film. Nei primi due terzi del ventesimo secolo, il coinvolgimento del Pentagono è stato fluttuante, ma ha sempre mirato a raggiungere i bambini. Negli anni Cinquanta, per esempio, l’esercito ha lavorato con Lassie a show che mettevano in luce la nuova tecnologia militare, e ha prodotto “Mouse Reels” per il Club di Topolino, uno dei quali mostrava dei bambini in visita al primo sottomarino nucleare. Come ha scoperto il giornalista investigativo David Robb, un promemoria del Pentagono notava allora che i media diretti ai bambini «sono un’opportunità eccellente di avvicinare un’intera nuova generazione alla Marina nucleare».

Questa linea ha trovato il suo culmine nel 1968, quando il Pentagono ha prodotto The Green Berets, un film che combina il potenziale attrattivo del cowboy John Wayne per gli adolescenti con un messaggio a favore della Guerra nel Vietnam.

Gli anni Settanta hanno visto molti meno film di guerra supportati dal Pentagono per un pubblico ormai affaticato dal Vietnam e dalle sue conseguenze, che permeavano i notiziari serali. Ma secondo l’Hollywood Reporter, appena il militarismo raeganiano ha iniziato a sollevarsi, gli anni Ottanta hanno visto «una crescita costante delle richieste di accesso alle strutture militari e nel numero di film, show televisivi e home video a tema militare».

In cambio dell’accesso, l’esercito ha iniziato a esigere un pagamento… Sempre più, perché produttori e registi potessero accedere alle più semplici ambientazioni militari, i gatekeeper del Pentagono richiedevano correzioni importanti di trama e dialoghi, in modo da assicurarsi che l’esercito fosse in buona luce, anche se quelle trame e quei dialoghi originali rappresentavano la verità verificabile.

All’interno dell’industria cinematografica questo non era un vero segreto. In un rapporto del 1986 di Maclean’s, alcuni ufficiali dell’esercito hanno ammesso che quando i registi andavano da loro a chiedere i permessi, le richieste venivano rifiutate se gli stessi ufficiali ritenevano che le forze armate non fossero rappresentate «abbastanza eroicamente per i loro standard».

In una storia di Variety del 1994, l’intermediario a Hollywood del Pentagono, Phil Strub, è stato ancora più diretto: «Il criterio principale che usiamo [per decidere se dare l’approvazione] è… come può la produzione proposta giovare all’esercito… può essere utile per reclutare [e] è in linea con la politica attuale?».

Top Gun, nel 1986, costituisce una pietra miliare della collusione tra cinema ed esercito e una trionfalistica pubblicità di reclutamento di teenager centrata intorno ai «migliori dei migliori» della marina, che ovviamente non pensano nemmeno a farsi le più elementari delle domande elementari. Svolta sul ritmo della ballata Danger Zone, terribilmente orecchiabile, l’unica domanda incalzante della narrazione sembrava essere solo quanti aeroplani Vietcong avesse fatto saltare in aria il padre di Maverick negli anni Sessanta, e se Maverick avrebbe ritrovato la propria sete di sangue alla velocità Mach-3 dopo aver perso il suo amico Goose a causa della cabina di pilotaggio difettosa di un impresario militare.

La palese mancanza di curiosità dei personaggi non è stata un incidente. Il copione è stato modellato dai pezzi grossi del Pentagono in cambio dell’accesso completo a ogni tipo di equipaggiamento – accesso che è comunque un prezioso finanziamento dei contribuenti. Secondo Maclean’s, Paramount Pictures ha pagato solo «1,1 milioni di dollari per l’uso degli aerei da guerra e una portaerei» molto meno di quanto avrebbe dovuto pagare lo studio se avesse deciso di finanziarsi da solo il fanservice. 

Come se la dinamica bastone-carota non fosse abbastanza coercitiva per registi e produttori, negli anni Ottanta il Pentagono ha espanso la definizione di «cooperazione» per includere la collaborazione nella scrittura della sceneggiatura nella sua prima stesura. «Fa risparmiare tempo [agli scrittori] che non scrivono stupidaggini», ha detto un ufficiale per spiegare il nuovo processo.

«Stupidaggini» era un eufemismo per dire «cose che all’esercito non piacciono», e ci è voluto poco prima che il Pentagono iniziasse a fare minacce esplicite, come quella che Robert Anderson della marina ha lanciato al Pbs.

«Se vogliono la collaborazione completa della marina, abbiamo molto potere, perché sono le nostre navi, è la nostra cooperazione – ha detto – E finché la sceneggiatura non assume una forma che possiamo approvare, la produzione non va avanti».

Una simile noncuranza affiancata poi al successo in box-office di Top Gun, approvato dal Pentagono, ha convinto gli studios negli anni Ottanta che cedere alle richieste dell’esercito, e quindi produrre film sempre più militaristi, era una formula che garantiva il successo. Di conseguenza, tra l’uscita di Top Gun e l’inizio della Guerra del Golfo, il Pentagono ha riferito che il numero di film prodotti con la sua assistenza (e approvazione) è quadruplicato, e che una parte significativa di queste produzioni d’azione e avventura (trasformate subito in videogiochi, action figure, ecc.) erano dirette ai teenager.

Nonostante molti genitori avrebbero potuto sollevare obiezioni a una tanto oscena collusione tra il Pentagono e Hollywood, la maggior parte di loro non aveva idea che tale collusione fosse in atto. A differenza dei cinegiornali, orgogliosamente finanziati e pubblicizzati dal Pentagono, prodotti da Hollywood durante, diciamo, la Seconda guerra mondiale, i produttori cinematografici dagli anni Ottanta in poi non rivelano quasi mai al loro pubblico che sta assistendo a una produzione finanziata e scolpita dall’esercito. Gli spettatori potranno pensare di star guardando una produzione puramente commerciale quando invece stanno guardando cinegiornali contemporanei.

«Ancora e ancora i documenti [del Pentagono] sono pieni di affermazioni in cui puntano ai bambini per farne future reclute» dice il giornalista David Robb, il cui libro seminariale Operazione Hollywood esamina i legami tra i film e le forze armate. «I bambini e le persone che guardano i film non sanno che si tratta di una pubblicità dell’esercito».

L’impatto a breve termine di questa convergenza tra esercito e Industria dell’intrattenimento si è visto nei picchi di arruolamenti in corrispondenza di specifici successi box-office degli anni Ottanta. Come unico (anche se grande) esempio, quando Top Gun è uscito gli arruolamenti sono aumentati del 400%, e ciò ha portato l’esercito a piazzare banchetti per l’arruolamento nei cinema una volta realizzati i suoi effetti.

Oggi, il Pentagono offre a Hollywood lo stesso incentivo verso il militarismo e le stesse punizioni all’antimilitarismo di sempre. In aggiunta al militarismo degli anni Ottanta, che viene costantemente riciclato nel mondo delle repliche televisive, è facile dire che qualsiasi blockbuster di Jerry Bruckheimer o Michael Bay che viene adesso adorato da un pubblico di teenager è come minimo parzialmente finanziato dal Pentagono, e come condizione di questo supporto, i blockbuster solitamente acconsentono a reiterare deliberatamente la moralità dell’esercito e della guerra.

Al contrario, è ugualmente ovvio che per ognuna delle poche sceneggiature antimilitari che diventano film, molte di più vengono automaticamente ritirate perché il loro contenuto dissidente solleva obiezioni tra i leader militari, il che significa che il Pentagono non fornisce la sua approvazione ufficiale e quindi non c’è finanziamento dalle tasse e il film non è prodotto dagli studi cinematografici che si preoccupano del budget. Come il direttore di Caccia a Ottobre rosso ha riportato, questa nuova realtà ha fatto sì che gli studi negli anni Ottanta iniziassero a chiedere agli sceneggiatori di «ottenere la collaborazione [dell’esercito] o dimenticarsi del film». Non sorprende che questa direttiva abbia incoraggiato una pressione insidiosa verso una autocensura a favore dei militari presso un’intera generazione di sceneggiatori.

«Quando sai che ti servirà l’assistenza dell’esercito, e sai che leggeranno il tuo copione, lo scrivi in modo che a loro piaccia fin dall’inizio» scrive David Robb in Operazione Hollywood.

Citando lo sbilanciamento a favore della guerra dei film che il Pentagono ha approvato negli ultimi trent’anni e la posizione antimilitarista di quelli che il Pentagono ha fermato nello stesso periodo, Robb pone una questione inquietante che riassume l’eredità della collusione tra l’esercito e Hollywood degli anni Ottanta.

«Quanti di quelli che sono morti in Iraq si sono uniti all’esercito perché hanno visto un qualche film da piccoli?» chiede:

Quanti degli statunitensi caduti si sono uniti all’esercito a causa di qualche film che hanno visto senza sapere che l’esercito era dietro le quinte a manipolare il contenuto della sceneggiatura per far sembrare l’esercito migliore di quello che effettivamente è? Una volta arrivati in Iraq era troppo tardi: lì non era così glorioso. 

David Sirota è editor-at-large di JacobinMag. È redattore di The Lever in precedenza è stato consulente senior e autore di discorsi per la campagna presidenziale 2020 di Bernie Sanders. Questo articolo è uscito suJacobinMag. È coautore del soggetto di Don’t look up!. La traduzione è di Valentina Menicacci.

14/6/2022 https://jacobinitalia.it

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