Il copyright sui vaccini è omissione di soccorso

Uno degli effetti della corsa all’accaparramento dei vaccini anti Covid-19 è stato quello di rendere ancora più evidente quanto l’attuale sistema internazionale, a dispetto della retorica umanitaria formalmente sbandierata, si basi ancora sulla legge del più forte e sia nei fatti spietato coi più deboli. 

Fino a maggio 2021, infatti, dieci paesi nel mondo hanno ricevuto circa l’85% delle dosi disponibili, grazie ad accordi del valore di miliardi di dollari con case farmaceutiche private, per aggiudicarsi vaccini non ancora sviluppati. Le Nazioni Unite hanno varato un programma per riservare ai paesi a basso reddito una quota di vaccini, il Covax, che per ora non si sta dimostrando efficace, visto che a quella data erano state consegnate solo un quinto delle dosi previste e ben 130 paesi non avevano ricevuto neppure una fiala . Le prospettive per questi paesi sono così gravi che il Direttore dell’Organizzazione mondiale della sanità ha chiesto ai paesi ad alto reddito di impiegare nel programma Covax i vaccini destinati a bambini e ragazzi, dato che quest’anno i morti da Covid-19 saranno superiori a quelli dello scorso anno.  Alcune organizzazioni non governative riunite nella People’s Vaccine Alliance, e più di 100 paesi a basso reddito hanno chiesto ai paesi più abbienti, inclusi Stati uniti, Regno Unito e Unione europea, di sospendere il monopolio delle case farmaceutiche sui brevetti dei vaccini. Anche il Papa ha fatto un appello simile e i leader dell’Unione Europea sono divisi sul tema. . A inizio giugno l’Amministrazione Usa ha iniziato a distribuire 25 delle 80 milioni di dosi di vaccino promesse ai paesi a basso reddito che ne hanno più bisogno, in sostegno al programma Covaz. 

 Meglio tardi che mai. Anche perché, come da poco annunciato, gli Usa hanno comprato così tante dosi di vaccini da poter vaccinare per due volte tutta la propria popolazione

Da anni, filosofi autorevoli come Thomas Pogge della Yale University, hanno raccomandato l’adozione di espedienti normativi internazionali capaci di conciliare efficacemente salvaguardia di un gran numero di vite umane e larghi guadagni delle case farmaceutiche, indispensabili per i loro investimenti, spesso rischiosi, in ricerca e innovazione. Eppure, la prospettiva con la quale le organizzazioni internazionali, gli studiosi, gli attivisti e l’opinione pubblica globale affrontano l’attuale emergenza sanitaria così come, più in generale, il tema della povertà mondiale, è sempre la stessa: chiedere, più o meno gentilmente, ai governi nazionali di mettere mano al portafoglio. Per più o meno «graziosa» concessione. Serve invece un cambio di prospettiva radicale: aiutare chi, senza il nostro intervento, rischia di morire al di fuori dei nostri confini è un vero e proprio dovere internazionale, e non semplicemente un’opzione attivabile o meno, a seconda della «generosità» dei governanti di turno. Non fare del proprio meglio per salvare le vite salvabili nei paesi a basso reddito è una forma di omissione di soccorso. 

In Italia l’omissione di soccorso (art. 593 del C.p.) è un reato penale che si configura quando la nostra scelta di non intervenire per salvare qualcuno causi la sua morte. Non è dunque lasciato al buon cuore del singolo, ma chiarito dalla legge: se il nostro intervento è necessario non possiamo esimerci dal fornirlo. 

Il principio dell’omissione di soccorso rende evidente quanto sia fondamentale assicurare a tutti pari accesso alle cure di base non come una forma di carità ma un dovere di chi è più ricco. Da grandi ricchezze derivano grandi responsabilità. Lo sviluppo della pandemia sta dimostrando che l’unica soluzione efficace sia vaccinare tutti, pena rimanere in balia delle varianti del virus. Solo una completa e rapida vaccinazione ne può assicurare l’estinzione.

Sull’interpretazione estensiva dell’omissione di soccorso un quadro normativo esiste già, perché la nostra Costituzione proclama la vita umana inviolabile, senza parlare di confini. Alcuni trattati internazionali attualmente in vigore prevedono obblighi verso gli stranieri. Bisogna allora abbracciare questa nuova prospettiva per non limitarsi a pietire la beneficenza dei paesi ricchi ma per chiarire un principio: il fatto che una persona sia dall’altra parte del mondo non ci esime dal dovere di fare del nostro meglio per salvarle la vita, se rischia concretamente di perderla senza il nostro aiuto. 

Questo dovere di aiutare i popoli più svantaggiati in teoria è perfettamente compatibile con un ideale classico della sinistra: la giustizia sociale e ambientale. Eppure, i partiti di sinistra europei e americani hanno agende politiche rigorosamente nazional-centriche. A vent’anni di distanza dalla grande mobilitazione di Genova contro il G8 l’intuizione della necessità di una revisione dell’assetto mondiale in chiave redistributiva torna a essere di forte attualità. Serve una mobilitazione e una capacità critica all’altezza della sfida che abbiamo di fronte: un’emergenza sanitaria globale richiede risposte globali. Il dibattito sulla sospensione dei brevetti è una buona occasione in questo senso. Infatti accaparrarsi i vaccini per primi, a discapito dei più poveri, non fa che aumentare il divario fra dominanti e dominati, e dunque l’odio sociale. 

Il contesto di nuova guerra fredda fra Usa e Cina per il dominio sul mondo, pone l’Europa in un ruolo ancillare nei confronti degli Stati uniti. Invece essa potrebbe affermare l’idea di un mondo multipolare e contribuire a scardinare la dinamica di guerra fredda. Il progetto di una Unione europea per la giustizia internazionale, il welfare e la sanità per tutti e contro la guerra è sicuramente un progetto all’altezza del nostro tempo.

La battaglia sulla sospensione dei brevetti sui vaccini è una buona occasione per cominciare a mettere in discussione proprio il modello del dominio internazionale. Non c’è mai stato nella storia un conflitto così palese fra proprietà privata e vite umane. Pur ammettendo che il copyright non è l’unico ostacolo alla produzione di vaccini su larga scala, sicuramente esso è un forte deterrente. Tutti ben ricordano come uno dei grandi impulsi nella lotta all’ultima pandemia (Hiv) sia venuto da un paese a basso reddito, l’India, che decise unilateralmente di violare i brevetti sui farmaci salvavita costringendo le case farmaceutiche a produrne di nuovi e ancora più efficaci.

Lottare per un mondo più giusto, e combattere i privilegi di un occidente stanco, dunque non è buonismo, ma un dovere. Proprio come l’omissione di soccorso. Chi oggi non si impegna a lottare contro queste morti in modo concreto, mettendo in conto di rinunciare a una politica centrata sulla propria nazione, ne è complice. 

Dario Pasquini, dottore di ricerca in Storia contemporanea (Università di Torino e FreieUniversität di Berlino), è autore di Ansia di purezza. Il fascismo e il nazismo nella stampa satirica italiana e tedesca (1943-1963) (Viella, 2014) e ha scritto articoli per La Repubblica, l’Huffington Post e Il Giornale dell’Arte.

Filippo Riniolo è artista visivo e attivista al circolo Sparwaasser e nell’Arci.

23/7/2021 https://jacobinitalia.it

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