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Altra Informazione, Blog, Comitati di Lotta, Cronache di Lavoro, Cronache Politiche, Cronache Sindacali, Cronache Sociali, Politiche di Rifondazione, sanità e salute — Febbraio 24, 2017 7:38 am

“Come Curatore dell’Osservatorio Indipendente di Bologna morti sul lavoro, chiedo di dedicare l’Otto marzo a Lisa Picozzi un’ingegnera morta sul lavoro. Lisa è il simbolo dell’emancipazione femminile. Nessuno più di lei rappresenta la donna moderna. Consiglio a tutti, soprattutto ai politici, di leggere questo bellissimo articolo dove è stata intervistata Marianna Viscardi la madre di Lisa Pucozzi. In sette anni non ha ancora ottenuto giustizia. Chiedo a qualche amico sindaco e amministratore di dedicare una strada, un luogo di ritrovo, una piazza, o una rotonda a questa giovane donna morta in modo così drammatico. Chiedo alle donne che fanno politica di non far sentire sola questa madre.” Carlo Soricelli. >>> LA LETTERA DELLA MADRE

IL JOBS ACT E’ UN ASSASSINO: ANCORA MORTI SUL LAVORO

Pubblicato da franco.cilenti

omicidi lavoro

In questi dieci anni, unico in Italia a monitorare tutte le morti sul lavoro con l’Osservatorio Indipendente di Bologna morti sul lavoro, mi sono accorto della parzialità dei dati raccolti, e della mancanza di conoscenza da parte di tutti di questo fenomeno che produce oltre 1.400 morti per infortuni ogni anno. Dal secondo anno di monitoraggio scrivo a tutti delle anomalie che ho riscontrato nel controllare tutte queste morti. “Repubblica” ha fatto un’inchiesta veramente ammirevole e completa su questo fenomeno e della “scomparsa” di tanti lavoratori morti mentre lavoravano. Sono diverse centinaia ogni anno che muoiono all’insaputa di tutti. Purtroppo anche dello Stato.

Ma non voglio, per un’altra volta che la Segretaria della CISL Furlan, prenda un altro pugno nello stomaco come l’ha preso quando ha appreso della scomparsa di tanti morti dalle statistiche ufficiali e alla Segretaria Camusso vorrei dire di non fare come ha fatto: d’ignorare le mail che ho spedito anche a lei e a diversi segretari della CGIL, di ignorarli per poi dire come se fosse una cosa risaputa da tutti dell’entità di queste tragedie, tantissimi della CGIL sapevano di questo, lo SPI, in cui sono iscritto, mi ha intervistato con Stefano Gallerani dove dicevo queste cose e non solo.

Quindi niente “furbate” e far finta di esserne interessati dopo che ne parla la grande stampa, mentre prima mai una parola. Idem con il responsabile della Sicurezza della CGIL, che mi ha tolto l’amicizia su Facebook dopo che avevo contestato la sua condiscendenza ai “grandi tavoli”. Dove non contestava le dimensioni del fenomeno dicendo che è in calo come poi dicevano le controparti. Cosa assolutamente non vera se si prendono tutti i morti sui luoghi di lavoro (esclusi i morti sulle strade e in itinere che richiedono interventi diversi). Dal 2008 anno d’apertura dell’Osservatorio registriamo un aumento dello 0.7%. Altro che cali favolosi ogni anno.

Ma torniamo all’assassino il Jobs Act. Perché scrivo che è un assassino? Lo dico ai Segretari Furlan, Camusso e Barbagallo; in questi dieci anni di monitoraggio quello che salta di più agli occhi è che a morire sui luoghi di lavoro al 95% sono lavoratori che non hanno l’articolo 18, solo una piccola parte, meno del 5% non sono coperti da questo articolo che tutela chi lavora anche sulla Sicurezza, per il semplice fatto che ti possono licenziare con una scusa anche se ti rifiuti di svolgere lavori pericolosi. Un altro esempio. In questo 5% morti nelle aziende che hanno l’articolo 18, molti non sono dipendenti dell’azienda stessa, ma lavoratori esterni che eseguono lavori all’interno dello stabilimento. Quasi tutti questi lavoratori sono artigiani o lavoratori di piccole aziende che non hanno la copertura dell’articolo 18.

Da anni lo ripeto ai sindacati che a mio parere sono anche sadici. Ma come, vi sto dicendo che dov’è presente il Sindacato le morti sono quasi inesistenti? E cosa fanno, lo ignorano invece di esaltare questo valore? Purtroppo questo sfugge alla mia comprensione, oppure sono diventati talmente istituzionali che tutto quello che viene da fuori dalle caste di cui i vertici fanno parte, non esiste. Insomma un atteggiamento orwelliano.

Ora non possono più ignorare quello che scrivo, non può ignorarlo neppure la politica, non possono ignorarlo i parlamentari che questo Jobs Act l’hanno votato, che ricordo a tutti elimina di fatto l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori quello che recita che non si può licenziare senza “giusta causa e giustificato motivo”. Tutti i nuovi assunti non godono più di questo articolo che tutela anche la vita di chi lavora. Lo scopo è evidente, comprimere i salari, dividere i lavoratori tra chi può scioperare e chi no (quelli col Jobs Act no, pena il licenziamento), perché non ha gli stessi diritti di un suo compagno assunto prima della Riforma voluta da Renzi, d’accordo con la parte più retriva degli industriali.

Ma è una legge costituzionale se discrimina chi lavora anche nello stesso luogo? C’è tra i tanti amici qualche giurista che possa far chiarezza? Posso comprendere che tanti parlamentari in buona fede non hanno compreso fino in fondo le implicazioni che ha su chi lavora l’abolizione dell’articolo 18 col Jobs Act. Del resto solo l’Osservatorio monitora tutte le morti sul lavoro e ha scoperto che senza l’articolo 18 aumentano i morti per infortuni.

Davvero cari parlamentari volete distruggere le conquiste fatte in un secolo di lotte? Davvero volete la distruzione di sindacati come CGIL, CISL e UIL che moriranno per mancanza di iscritti nel prossimo futuro se faranno i sindacati veri? Avete possibilità di rimediare, il Governo Gentiloni è nel pieno delle proprie funzioni. Si elimini il Jobs Act altrimenti nessuno caschi dalle nuvole se quello che scrivo poi si realizzerà.

Carlo Soricelli

Curatore dell’Osservatorio Indipendente di Bologna morti sul lavoro

http://cadutisullavoro.blogspot.it

FIGLIA MIA, E’ TROPPO INGIUSTO MORIRE LAVORANDO

“Da quando Lisa è morta scivolo spesso, cado e batto la testa. E’ come se mi preparassi a morire come lei. Più tardi possibile. No, prima possibile. Mi creda, non c’è più una sola ragione per cui io voglia continuare a vivere”.

Sei anni e mezzo fa Marianna Viscardi ha perso la sua unica figlia. Lisa Picozzi, milanese, aveva 31 anni ed è morta mentre svolgeva la sua professione: era ingegnere edile. E’ precipitata dal solaio di un capannone industriale a Tricase, nel Salento. E, secondo la sentenza di primo grado, l’incidente doveva e poteva essere evitato. Ma il processo per accertare le responsabilità della sua morte è ancora in corso: è stato chiesto l’appello.

Secondo Carlo Soricelli, Coordinatore dell’Osservatorio Indipendente di Bologna sugli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, nel 2016 sono morti 641 lavoratori sui luoghi di lavoro, e oltre 1.400 se si considerano le vittime sulle strade e in itinere. Ma la stima è minima, per l’impossibilità di conteggiare i morti sulle strade fra le partite IVA individuali e i morti in nero.

Questa settimana al Senato è stata presentata la proposta di legge del parlamentare di Sinistra Italiana-SEL Giovanni Barozzino. L’obiettivo è quello di “una punizione più severa nei confronti di chi sul lavoro cagiona la morte di vittime innocenti, per distrazione, disinteresse, o peggio per un’assoluta non curanza delle normative sul lavoro”.

Da tre anni Lisa lavorava per la SunSystem srl, società nel settore delle energie rinnovabili, e aveva la responsabilità della progettazione di impianti fotovoltaici e di centrali fotovoltaiche sviluppate a terra. Proprio per seguire il completamento di una di queste, che lei aveva progettato e installato nell’agosto 2010 a Tiggiano, provincia di Lecce, il 29 settembre di quell’anno si trovava in Salento e, per esigenze aziendali, le era stato chiesto di fermarsi a Tricase per un sopralluogo sulla superficie di un edificio.

Aveva trovato una scala in alluminio per salire sulla copertura dei blocchi servizi e una scaletta in legno, che era lì da diversi anni, per passare dalla copertura dei blocchi servizi alla copertura del capannone. E da lì, quando aveva quasi ultimato i rilievi tecnici e fotografici, è caduta da 7 metri, sfondando una lastra in fibro-cemento, che ricopriva l’intera superficie dell’edificio, nascondendo un lucernario non protetto da una rete anticaduta a norma di legge. Trasportata d’urgenza all’ospedale, è morta tre ore dopo.

“Per me ogni giorno è sempre quel 29 settembre” – spiega la madre Marianna – “E’ tutto fermo all’ora in cui ho ricevuto quella terribile chiamata. Da allora il telefono, per me, ha perso ogni importanza: non c’è più nessun messaggio che io aspetti”.

Lisa era diventata un ingegnere edile molto apprezzato, dopo essere stata una studentessa modello, ma aveva reso orgogliosi i suoi genitori anche per come giocava a pallavolo (fino alla soglia della serie A), perché era creativa, umile, generosa, e per la sua bellezza. Era alta, slanciata, aveva un viso da cameo e occhi color fiordaliso che alla sua mamma sembra di riconoscere ogni volta che guarda il cielo.

“Mercoledì 29 settembre 2010” – ha scritto Marianna in una delle moltissime lettere alla figlia – “anche il mio è stato un biglietto di sola andata, perché il mio cuore e la mia voglia di vivere sono rimasti là, su quel pavimento, dove la tua vita si è fermata”.

E ancora: “Solo chi ha perso un figlio può davvero capire quanto è grande il dolore che ti squarcia il cuore e quanto è poca cosa tutto quello per cui la maggior parte della gente si affanna. Perdere un figlio provoca un senso di smarrimento e di devastazione, che va oltre ogni umana comprensione. Gli altri possono solo cercare di immaginarlo, provare a esserti vicini, nel tentativo di aiutarti a sopportare il senso di abbandono e la disperazione che ti tolgono il respiro e la voglia di esistere. Ma è un’impresa impossibile”.

Non passa giorno, non passa ora che Marianna non pensi a sua figlia: “Mi sono sempre chiesta che fine faccia l’anima, quando si muore. Sono certa che l’intelligenza delle persone non svanisca, ma rimanga. Lisa mi dà tanti segni della sua presenza, però noi avevamo un rapporto simbiotico, molto fisico, e lei aveva mille attenzioni per me: quei segni non mi bastano. Sono credente, ma non abbastanza da accettare che quello che è successo possa essere espressione della volontà di Dio”.

Da: http://www.vanityfair.it

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