Il lavoro nell’era dei robot

congresso prc

Nel dibattito congressuale della gran parte dei Circoli di Milano e Provincia, abbiamo posto all’ordine del giorno una questione che ritengo fondamentale per l’oggi ma soprattutto per il domani, ed ha a che fare con la nostra capacità di analizzare ed interpretare il presente per costruire una società del futuro dove la nostra classe non debba subire ancora piu’ drammaticamente la barbarie del capitale.

Mi riferisco al dibattito sull’impatto che la tecnologia esercita ed eserciterà sul lavoro, l’occupazione e i salari.

Un dibattito antico quanto la stessa era industriale, ma che il nostro Partito purtroppo non ha ancora assunto come base per l’elaborazione delle proposte relative alle politiche del lavoro.

Nel 1983 l’economista premio Nobel Leontief rese il dibattito popolare introducendo un confronto tra gli esseri umani e i cavalli.

Per molti decenni, l’impiego dei cavalli era sembrato resistere ai cambiamenti tecnologici. Perfino quando il telegrafo aveva soppiantato il Pony Express e le ferrovie avevano sostituito diligenze e carri, la popolazio­ne equina degli Stati Uniti aveva continuato a crescere in modo apparente­mente inarrestabile, aumentando di sei volte tra il 1840 e il 1900, sino a superare i 21 milioni tra cavalli e muli.

Gli animali erano fondamentali non soltanto nelle fattorie ma anche nei centri urbani in rapido sviluppo, dove trasportavano merci e persone trainando vetture di piazza e omnibus.

Poi, però, con l’avvento e la diffusione del motore a combustione interna, la tendenza subì una brusca inversione. Quando i motori furono applicati alle automobili in città e ai trattori in campagna, i cavalli divennero in larga mi­sura irrilevanti.

Nel 1960, negli Stati Uniti se ne contavano ormai appena tre milioni, un calo di quasi l’88% in poco più di mezzo secolo.

È possibile una svolta simile per la forza lavoro umana?

Gli ultimi progres­si lasciano intendere che non è più fantascienza immaginare miniere, fatto­rie, fabbriche e reti logistiche completamente automatizzate che rifornisco­no la popolazione di tutto il cibo e i prodotti di cui necessita. Molti servizi e lavori intellettuali potranno essere anch’essi automatizzati, con ogni loro aspetto – dal ricevere ordinazioni all’assistenza clienti all’esecuzione dei pagamenti – gestito da sistemi intelligenti automatici.

Forse in un mondo siffatto ci sarà ancora bisogno di esseri umani innovativi che sappiano ideare nuovi beni e servizi da consumare – ma non ne serviranno molti. Ce lo spiga bene il film d’animazione WALL-E, che propone una visione vivida e inquietante di una simile economia: la maggior parte della popolazione vive solo per consumare e assecondare il mercato, ed è diventata così obesa da riuscire a stento a muoversi con le proprie forze.

Come suggerisce la distopia di WALL-E, i bisogni illimitati non sono una garanzia di piena occupazione in un mondo dalla tecnologia sufficientemen­te avanzata. Dopo tutto, se anche le esigenze di trasporto degli esseri umani crescessero all’infinito – e sono cresciute enormemente nel secolo scorso – ciò avrebbe scarse ripercussioni sulla domanda di cavalli.

Oggi infatti, al contrario di quanto avvenuto nelle rivoluzioni precedenti (dall’agricoltura all’industria, poi dall’industria al terziario), i posti di lavoro eliminati non vengono sostituiti da altrettanti nel nuovo sistema di produzione (quello basato su digitale, robotizzazione, intelligenza artificiale, big data etc). Tendenze alla mano, il saldo tra nuovi posti di lavoro creati e posti di lavoro persi per sempre è di molto negativo.

La rarefazione dei posti di lavoro è dovuta al fatto che le tecnologie stanno sostituendo non più solo le professioni manuali, ma anche quelle del terziario.

Il tema è epocale, fondamentale.

E ha strettamente a che fare con tutto quello che succede attorno a noi: dall’impoverimento del ceto medio al dumping salariale, da Trump e Foodora, dal Movimento 5 Stelle a Le Pen, da Putin a Podemos, fino alla gigantesca questione nostrana dei voucher e, per quanto ci riguarda alla ridefinizione di un progetto culturale, di valori e di proposta politica, economica e sociale per una sinistra che sappia intercettare e proporre modelli rispetto al cambiamento strutturale in atto.

Apparentemente a beneficiarne saranno da un lato i consumatori, che potranno acquistare una vasta gamma di beni e servizi di alta qualità a prezzi bassi, dall’altro i creatori e i finanziatori delle nuove macchine, o tutti coloro che sapranno immaginarne l’impiego più competitivo. Si tratta anche di un processo destinato a creare grande ricchezza: basti pensare al caso di Instagram, venduta a Facebook per  un miliardo di dollari a meno di due anni dal lancio. Proprio pochi mesi prima una sua illustre antenata, Kodak, dichiarava fallimento.

Il confronto Instagram-Kodak è anche emblematico del diverso impatto che la “seconda rivoluzione delle macchine” avrà sul lavoro e sulla distribuzione della ricchezza. Kodak al massimo della sua espansione aveva 145.000 dipendenti. Le nuove aziende digitali hanno strutture molto più leggere (Instagram ha 4.600 dipendenti). Per contro, hanno creato una nuova classe di imprenditori e investitori super ricchi. Nell’era delle macchine intelligenti, in cui un bene o un servizio può essere venduto contemporaneamente a un numero infinito di consumatori addizionali, a un costo marginale spesso vicino a zero, la produttività non andrà più di pari passo con il lavoro e il reddito. Come visto, le nuove tecnologie possono quindi portare con sé un aumento della disoccupazione e della disuguaglianza e al momento è estremamente in ritardo nel nostro Paese l’analisi del fenomeno e la elaborazione di opportune politiche di sostegno del reddito dei cittadini.

Del resto se i giganti digitali decuplicano i profitti con un decimo dei dipendenti (e se questa è la tendenza) solo la tassazione di questi profitti e la loro redistribuzione col reddito minimo può salvare il meccanismo produzione-consumo su cui si regge l’economia.

Nell’era dei robot non c’è altro modo per evitare un collasso sociale ed economico. Nonostante ciò, l’Italia è tra i pochi Paesi europei a non prevedere ancora alcuna forma di reddito minimo.

Il tempo a disposizione non è molto: la sinistra deve rapidamente attrezzarsi con pratiche, linguaggi, schemi valoriali per immaginare quali saranno gli elementi esistenziali che rappresenteranno «la migliore approssimazione concreta alla felicità sulla terra», quando il   lavoro costituirà solo una piccola parte del nostro tempo, della nostra vita.

Ancora: in che cosa ciascuno di noi troverà la massima «manifestazione della libertà umana»? Quali saranno gli elementi di autorealizzazione personale, una volta emancipati dalle necessità produttive e di salario che ci portavano a lavorare, a impersonare un ruolo sociale in quanto idraulici, avvocati, cuochi, medici, operai, ingegneri?

Questa transizione sarà tanto più dolce quanto più anche il sistema scolastico saprà uscire dalle logiche dell’era industriale (quando bastava insegnare a leggere, scrivere e far di conto) e si attrezzerà per formare a un insieme più ampio di capacità personali e intellettuali, necessarie per lavorare accanto alle macchine di nuova generazione E’ il caso quindi che, data per scontata l’esigenza di un reddito per tutti nel mondo robotizzato, questo tema esistenziale sia la successiva “visione” per preparare la società di domani.

La popo­lazione equina accettò la propria irrilevanza economica senza un mormorio di protesta (per quel che ne sappiamo). Il nostro compito è quello di organizzare gli essere umani che non vorranno essere tanto mansueti.

È quindi ora di cominciare a discutere del tipo di società da costruire intorno a un’economia a bassa intensità di lavoro.

Come si dovrebbe ripartire la pro­sperità prodotta da una simile economia?

Come si può invertire la tendenza del capitalismo a produrre alti livelli di disuguaglianza?

Quali saranno i criteri di una vita gratificante e di una comunità sana, quando non si baseranno più su concezioni del lavoro proprie dell’era industriale?

Come bisognerà ripensare l’istruzione, lo stato sociale, l’imposizione fiscale e altri elementi essenziali di una società civile?

La storia della forza lavoro equina non offre risposte a questi interrogativi.

Né potranno offrircele le macchine, per quanto intelligenti possano diventare.

Le risposte scaturiranno invece dagli obiettivi che ci porremo per le nuove società ed economie tecnologicamente evolute, e dai valori in essi racchiusi.

Questo è il nostro compito.

Nadia Rosa

3/4/2017 www.rifondazione.it

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Documento conclusivo X Congresso Nazionale di Rifondazione Comunista

Il X Congresso Nazionale del Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea, riunitosi a Spoleto dal 31 marzo al 2 aprile, preso atto dei risultati del voto delle iscritte e degli iscritti nei congressi di circolo che hanno visto una larga maggioranza esprimersi a favore della proposta politica avanzata nel documento “Socialismo XXI, per un nuovo umanesimo”, approvate la relazione e le conclusioni del segretario uscente Paolo Ferrero e sentito il dibattito, impegna tutto il partito nell’attuazione degli indirizzi e degli obiettivi democraticamente assunti.

La democrazia all’interno del partito è un valore a cui non intendiamo rinunciare e di cui andiamo orgogliosi in un’epoca in cui il leaderismo sostituisce la partecipazione nella gran parte delle formazioni politiche. Abbiamo attraversato un lungo periodo di difficoltà e dobbiamo a noi stessi – a tutte le compagne e i compagni che hanno resistito – un rinnovata tensione nel coniugare il pluralismo e il confronto di posizioni con il comune impegno per il rafforzamento del partito e nel lavoro politico per concretizzare gli obiettivi che democraticamente ci siamo dati: la creazione di un polo politico e di un soggetto unitario della sinistra antiliberista, lo sviluppo di un vasto movimento per l’attuazione della Costituzione nel nostro paese e per un’altra Europa su scala continentale.

Siamo andati in direzione ostinata e contraria, non abbiamo ricercato riparo in comode quanto ingiustificabili alleanze: non era scontato che il nostro partito avrebbe resistito a lunghi anni di esclusione dal parlamento e oscuramento mediatico, a tante scissioni, alla mancanza di risorse e di una struttura funzionariale. Non ci nascondiamo i problemi, a partire dal calo progressivo degli iscritti, ma per affrontarli dobbiamo partire dalla consapevolezza che in questi anni abbiamo fatto scelte indispensabili per ricostruire la credibilità del nostro profilo politico.

Ci diciamo comunisti e comuniste e riteniamo che il progetto della rifondazione comunista sia più attuale oggi che 26 anni fa non solo per rispetto della storia e della memoria, ma sulla base dell’analisi della crisi sistemica del capitalismo e delle contraddizioni del mondo in cui viviamo. Il nostro partito, il nostro punto di vista di classe e internazionalista, il nostro orizzonte comunista li mettiamo a disposizione della lotta per costruire un’alternativa in Italia e in Europa.

La battaglia delle idee, l’analisi e l’inchiesta, l’internità nei movimenti e nelle lotte, l’impegno per lo sviluppo e la ricomposizione dei conflitti sociali sui luoghi di lavoro e sul territorio, le pratiche del partito sociale, il mutualismo e la solidarietà sono gli assi di lavoro principale su cui imperniare la ridefinizione del ruolo ed il rafforzamento culturale, politico ed organizzativo di un partito che supera una visione incentrata sulla presentazione del proprio simbolo alle elezioni. Per costruire un blocco sociale alternativo è necessario che la lotta ideologica, politica e sociale si accompagni alla risposta concreta ai bisogni materiali dei proletari qui ed ora. Occorre quindi sviluppare il partito sociale e operare per costruire “comuni solidali” che sul territorio diventino punto di ricomposizione sociale e di ostacolo concreto alle guerre tra i poveri.

La gravità della crisi sociale, le conseguenze delle politiche neoliberiste e dell’austerità, la stessa degenerazione del sistema politico ci impongono di continuare a lavorare per superare l’attuale frammentazione della sinistra sociale e politica.

La vittoria nel referendum in difesa della Costituzione ci indica il dovere di non disperdere un risultato storico. La disponibilità di energie, intelligenze e passione civile e il malcontento nei confronti delle politiche liberiste del governo Renzi che si sono manifestati nella campagna e nel voto popolare rischiano di non incrociare una proposta politica credibile della sinistra.

Rilanciamo con forza la nostra proposta di costruzione di un soggetto unitario della  sinistra antiliberista che raccolga il complesso delle forze sociali, culturali e politiche che si pongono sul terreno dell’alternativa alle politiche liberiste, dunque alternativo al PD ed ai socialisti europei. Insistiamo sulla necessità di andare oltre le forme delle aggregazioni unitarie elettorali perché una proposta per essere credibile deve avere le caratteristiche di processo democratico e partecipato che coinvolga da protagonista la stragrande maggioranza delle persone di sinistra e attive nei movimenti sociali che oggi non militano in nessun partito. La definizione di un programma dell’alternativa e un profilo di netta rottura sul piano della collocazione politica quanto dei comportamenti e della questione morale rispetto a una classe dirigente sempre più delegittimata sono altresì fondamentali.

Continuiamo a lavorare in questa direzione valorizzando tutti i percorsi unitari sin qui costruiti, a partire dalle esperienze già sperimentate nei territori e dall’iniziativa della rete delle “città in comune” con l’obiettivo di dar vita ad un processo di aggregazione.

Invitiamo le altre formazioni della sinistra di alternativa a intraprendere con determinazione un percorso che vada oltre l’ottica della mera lista unitaria e a condividere un progetto che vada oltre il perimetro degli attuali partiti senza chiedere a nessuno di sciogliersi.

Unire le lotte e unire le formazioni politiche esistenti sono due obiettivi fondamentali in questa fase se non vogliamo che la crisi sociale continui a tradursi nella crescita di spinte razziste, xenofobe e pericolose per la democrazia, se vogliamo contrastare efficacemente le politiche di privatizzazione, precarizzazione del lavoro, smantellamento del welfare e saccheggio dei beni comuni.

Noi lavoriamo a livello sociale e politico per unire la sinistra antiliberista e la diversità di posizioni su alcuni temi – vedi questione euro – non deve essere motivo che determina divisioni e contrapposizioni come d’altronde non accade nelle altre formazioni della sinistra radicale a livello europeo.

Di fronte alle politiche messe in campo dal governo Gentiloni non possiamo che denunciare la continuità col renzismo e un ulteriore spostamento a destra anche sul piano dei diritti e delle libertà con i decreti Minniti-Orlando.

Il nostro impegno per l’attuazione della Costituzione passa oggi per l’opposizione a queste misure con cui il Partito Democratico si omologa alle proposte della destra leghista e nel rilancio della mobilitazione per una legge elettorale proporzionale e l’abolizione dei capilista bloccati con il sostegno alla campagna lanciata dal Comitato per il NO.

L’attuazione della Costituzione implica la critica dell’Europa neoliberista: rilanciamo la campagna per l’abrogazione dell’articolo 81, contro l’inserimento del Fiscal compact nei trattati europei e per la sua cancellazione.

L’attuazione della Costituzione vive nella lotta sul terreno sociale.

L’annunciata abrogazione delle norme sui voucher segnala che dopo la sconfitta referendaria il governo teme uno scontro aperto sul tema della precarizzazione sempre più spinta del lavoro.

Rifondazione comunista sostiene la campagna referendaria della Cgil, a prescindere dagli esiti dell’iter parlamentare, ampliando il raggio di azione contro il Jobs act e puntando al ripristino dell’articolo 18. Il jobs act introduce nuovi meccanismi nell’ambito degli ammortizzatori sociali che penalizzano fortemente i lavoratori, lasciando libertà alle aziende di licenziare. La battaglia va estesa a tutti gli aspetti della controriforma del lavoro.

Di fronte a una realtà segnata da alta disoccupazione, super-sfruttamento, lavori sottopagati assume sempre più centralità la nostra storica battaglia per la riduzione dell’orario di lavoro e la riaffermazione del ruolo pubblico nel creare occupazione come risposta all’automazione e alla caduta degli investimenti.

Va rilanciato il Piano per il lavoro e l’economia ecologica e solidale traducendolo in un programma minimo di intervento sulla struttura economica e sociale: dalla cancellazione della vergognosa legge Fornero sulle pensioni alla proposta dell’intervento pubblico alla riduzione  dell’orario di lavoro, all’istituzione del salario minimo per i disoccupati, alla proposta di una radicale riforma fiscale per colpire i grandi patrimoni, ripristinare la progressività del prelievo e contrastare la grande evasione e elusione.

Battersi per l’attuazione della Costituzione significa per noi lottare per la difesa della scuola pubblica, della sanità, dei servizi, dell’ambiente e dei beni comuni.

Soprattutto battersi per una radicale modifica delle politiche migratorie e per un nuovo antifascismo che coniughi la difesa della memoria storica e della democrazia con il rifiuto della logica dell’immigrato come capro espiatorio.

Salutiamo la nuova ondata di mobilitazione delle donne e il suo caratterizzarsi sempre più per un femminismo del 99% con un’agenda inclusiva – allo stesso tempo antirazzista, anti-imperialista, anti-eterosessista, anti-neoliberista – come definita nell’appello per la giornata internazionale di sciopero dell’8 marzo.

La prospettiva del socialismo del XXI secolo è per noi l’alternativa alla barbarie di cui manifestazione più violenta è l’esplosione di razzismi e xenofobia, la strage di migranti che si continua a consumare nel Mediterraneo, il dilagare dei  conflitti e delle aggressioni armate. E’ nostro compito lavorare per il rilancio dei movimenti contro la guerra e per la pace, per il disarmo e l’uscita dalla Nato, la solidarietà internazionalista. Nostra patria è il mondo intero. Senza giustizia, nessuna pace.

Spoleto, 2 aprile 2017

 

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