Il lavoro non ti ama

Il lavoro non ti ama è un libro indipendente come la sua autrice, Sarah Jaffe, giornalista statunitense di impostazione labourista, e come la casa editrice che lo ha da poco pubblicato in Italia, Minimum Fax.

Nel volume, l’autrice denuncia con fermezza la truffa sottesa al “lavoro fatto per amore” che nutre la società occidentale votata all’iper-produttività, e lo fa attraverso un’inchiesta che si muove su binari delicati ma decisi, manifestando una straordinaria sensibilità nel ricomporre una ricchissima mole di materiale bibliografico, di stampo soprattutto femminista materialista post-marxista, attorno alle storie di vita quotidiana che accomunano oggi moltissime persone – storie di tutte e tutti noi, che siamo “esauriti, in burnout, sommersi di lavoro, sottopagati, e impossibilitati a conciliare il lavoro con la vita privata”, e “allo stesso tempo ci viene ripetuto che è proprio dal lavoro che passano la nostra realizzazione, le nostre soddisfazioni, il nostro orizzonte di senso, la nostra stessa felicità”.

Le storie raccolte nell’opera di Jaffe sono prevalentemente storie di donne: madri, figlie, lavoratrici domestiche, insegnanti, commesse, lavoratrici del terzo settore, artiste, stagiste, accademiche, informatiche, sportive. Questi, giustifica l’autrice, sono i settori in più ampia e recente ascesa occupazionale negli Stati Uniti.

Non a caso nella prima parte del libro, intitolata Potremmo chiamarlo amore, si apprende di come “il lavoro per amore” abbia mosso i primi passi partendo da quello non retribuito delle casalinghe “passando per il lavoro domestico [e di cura] retribuito, l’insegnamento, la vendita al dettaglio e il terziario”. Jaffe illustra la storia dei processi di ‘femminilizzazione’ di questi mestieri e si avventura nell’analisi della condizione di lavoratori e lavoratrici ‘essenziali’ durante la pandemia, “che abbiamo preteso continuassero a presentarsi al lavoro mettendo a rischio la propria vita”, e da cui “ci aspettiamo che sorridano e che ci trattino con calore, e che mettano in secondo piano le loro necessità e i loro sentimenti”.

Il compito delle donne è ritenuto da sempre quello di amare, spiega Jaffe, ma questo “non è naturale per niente”: si tratta piuttosto di un costrutto sociale funzionale al capitale, che “estrae profitto dalla nostra disponibilità ad accettare che il compito delle donne sia amare, [e] che l’amore stesso ne sia la ricompensa”. L’idea che i lavori ritenuti ‘femminili’ non siano “veri” lavori, bensì lavori “intimi”, “emotivi” e altruistici, fa passare in secondo piano la ragione profonda del lavoro: quello di pagare le bollette. Non si dimentichi che si tratta proprio di quei “mestieri dove tuttora permangono divisioni di genere e di razza”, che riproducono le disuguaglianze.

La seconda parte del libro, intitolata Enjoy!, è invece dedicata “all’altra metà della storia”: se nell’immaginario collettivo la cura e i servizi sono tradizionalmente “lavori da donne”, allo stesso modo l’artista, il ricercatore accademico, l’informatico e lo sportivo sono maschi. Questo immaginario è costruito sulla figura del genio e del talento, che ci accompagna da sempre, “senza mai chiedersi come sia possibile che tutti i geni siano bianchi e maschi”. 

Per Jaffe le problematiche che affliggono questi settori sono fondamentalmente tre. La prima consiste nella mancata percezione da parte del lavoratore della propria attività come lavoro, quindi in una “forza lavoro priva di alcuna consapevolezza”, che risponde all’ideale – comune all’arte, allo sport, allo studio, e all’informatica – del “lavoro-come-gioco” e come “antitesi al lavoro”. Ideale che ha più a che fare con il talento naturale che con il mercato che in realtà nutre.

Un’ulteriore problematica risiede nella precarietà intrinseca di questi mestieri, dove “il mito dell’artista squattrinato [ha] contagiato, dopo i lavoratori dell’arte, anche (…) le precarie dell’università, le programmatrici e le atlete professioniste”. In realtà, questo gruppo comprende “chiunque faccia un lavoro considerato di per sé gratificante e lo consideri il luogo in cui esprimere se stesso e il proprio genio”.

Il terzo aspetto, che impedisce ai lavoratori e alle lavoratrici di migliorare le proprie condizioni, risiede nella cultura individualistica che pervade la maggior parte degli ambienti artistici, accademici, sportivi e informatici: qui “è ancora difficile concepire i propri problemi come questioni collettive”. 

La critica fondamentale, tutta anticapitalistica, dell’opera di Jaffe è quella al motto “fai quello che ami e non lavorerai un giorno della tua vita”. Parafrasando Silvia Federici, l’autrice ci mette in guardia cioè dal quel (neo)capitalismo che “per tenerci separati l’uno dall’altro, (…) deve controllare i nostri affetti, la nostra sessualità, i nostri corpi; e il più grande trucco che gli sia mai riuscito è stato convincerci che il lavoro fosse il nostro più grande amore”. 

Al centro dell’indagine di Jaffe emerge il tema dell’iper-produttività e del lavoro sottopagato, tema di forte attualità nell’era delle “grandi dimissioni” collettive partite negli Stati Uniti e di recente arrivate anche in Europa, come delle proteste cinesi degli “sdraiati”.  La dinamica con cui il neocapitalismo traduce la libertà (“di fare qualcosa” e “da ogni interferenza”) in un meccanismo di giustificazione della disuguaglianza, spiega l’autrice, è sempre strettamente individualizzante e privatizzata: “sei tu che scegli, ma se sbagli sei tu che paghi”.

Contro questo individualismo, Jaffe enuncia la sua dichiarazione di poetica: “sogno di superare i muri che le nostre carriere hanno alzato tra di noi. Sogno legami. E scrivo per costruirli”. L’autrice fa riferimento a ciò che racconta nel corpo della sua opera: numerose esperienze di sindacalizzazione statunitensi. E si spinge a descriverla oltre la pratica collettiva di protesta, sostenendo che “il processo sindacale, sia dentro che fuori il lavoro, è, dopotutto, un processo di connessione” e che “lo stesso lavoro conta solo se è uno strumento per creare legami”.

Questo libro è a tutti gli effetti un inno al sindacato, un appello alla rivolta collettiva e alla ricostituzione di legami fragilizzati, un’invocazione alla solidarietà perduta. Senza citarla, Jaffe sembra echeggiare la filosofa francese Simone Weil e i suoi scritti sull’importanza della sindacalizzazione della classe operaia, le cui parole risultano ancora di scottante attualità e così appropriate anche fuori dalla fabbrica. E racconta un’altra America, dove la solidarietà può esistere oltre lo stereotipo iper-individualizzante e iper-competitivo dell’american dream.

Le storie raccolte da Jaffe sono le nostre storie. Sono storie di violenza, di discriminazione, di ribellione, di fatica, di solidarietà, di conquista. Sono storie sul valore del tempo che, come dice  Selma James, “incidentalmente coincide con la nostra vita” (nonché sulla rivendicazione del diritto di sottrarre al lavoro il proprio tempo). Ma sono anche e soprattutto storie d’amore, perché ci permettono di fare un’operazione quanto più sana e necessaria: separare il lavoro dai sentimenti. “Il lavoro non ti ama, non ti amerà mai come lo ami tu” scrive Jaffe: l’ossessione della felicità sul lavoro pretende un costo emozionale troppo alto in cambio di un amore, quello del capitalismo, che non è ricambiato. 

La filosofa politica Nancy Fraser le definirebbe “lotte di confine”: battaglie che vengono combattute sul confine tra economia e società, produzione e riproduzione, lavoro e famiglia. Rivolte femministe, capaci di mettere in scacco il patriarcato, sul lavoro come tra le mura domestiche. 

Uno dei pregi del lavoro di Jaffe è quello di disseminare con maestria riferimenti puntuali, tra le altre, al pensiero di Angela Davis, Silvia Federici, Selma James, Nancy Fraser e Betty Friedman, quasi a voler evidenziare i suoi riferimenti culturali e a voler fare della sua opera un manifesto di sintesi femminista, statunitense, in ottica lavoristica. Quasi un invito ad andare oltre questo libro, a risalirne le fonti. E forse il suo spessore sta proprio in questo, e non solo nelle quasi cinquecento pagine che lo compongono.

Sofia Gualandi

1/9/2022 https://www.ingenere.it

Sarah Jaffe, Il lavoro non ti ama, Minimum Fax, 2022

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