Il Nicaragua e le aggressioni ibride

Cosa è accaduto a Haiti, cosa si muove a Cuba, perché il Nicaragua torna a essere oggetto di polemiche sulla stampa internazionale? La risposta è nei documenti del Pentagono; Julian Assange ci ha raccontato tutto nei dettagli e oggi è vittima del terrorismo imperialista. Intanto, a Fort Benning, all’Istituto per l’Emisfero Occidentale (ex Escuela de las Américas), si continua a formare i militari golpisti secondo la dottrina Reagan della guerra irregolare.

La stessa dottrina che propone Haiti come caso da studio e modello esemplare di golpe blando di successo, grazie al quale gli USA si sono presentati all’opinione pubblica mondiale come mediatori di fronte a Raoul Cedras quando, in realtà, sono stati i promotori dell’abbattimento di Aristide. E andiamo avanti così, purtroppo, per il Nicaragua, laboratorio della dottrina di controinsorgenza sin dagli anni Ottanta e oggi campo di dispiegamento della cosiddetta guerra ibrida; come nel caso di Cuba, la sua posizione geopolitica è strategica e considerata interna al perimetro di alta sicurezza per la sua naturale connessione, come per il Canale di Panama, tra l’Atlantico e il Pacifico, senza contare, come per il Brasile, le riserve d’acqua.

Se nel XX Secolo gli USA hanno promosso guerre imperialiste per il petrolio, i consiglieri del Dipartimento di Stato statunitense in questo millennio definiscono i conflitti in virtù del possesso del prezioso bene che è l’acqua. Come sempre, anche la lotta al sandinismo è una questione non solo ideologica, ma anche materiale; perciò, in questo contesto, dal 2018 e anche prima, come già avvenne nella guerra sporca della contra negli anni Ottanta, il governo di Daniel Ortega ha sofferto innumerevoli difficoltà per l’azione permanente delle forze collaborazioniste interne appoggiate dall’imperialismo.

Nonostante tutto, il governo sandinista ha ottenuto evidenti successi in materia di economia sociale, nella gestione del Covid, notevolmente migliore in Paesi progressisti come Cuba, rispetto ai casi di governi neoliberisti come quelli di Ecuador e Colombia. La scommessa sulla sovranità, la collaborazione sud – sud e il sostegno a piccoli e medi produttori con politiche attive di inclusione e partecipazione civica spiegano l’ampio consenso della popolazione verso il progetto di Sandino nel Paese, oltre che il fallimento dell’intervento golpista promosso con violenza dall’opposizione di destra, che ha lasciato un bilancio di oltre duecento morti. Nonostante ciò, la cosiddetta guerra ibrida non si ferma perché, come al suo inizio la guerra a bassa intensità, l’obbiettivo non è tanto militare quanto culturale: sconfiggere, sul fronte ideologico, la volontà di indipendenza e di trasformazione degli ampi settori popolari che appoggiano, come allora, il sandinismo.

L’intenzione di questo tipo di attacchi è generare sfiducia nel sistema democratico, politico e amministrativo del Paese e tentare di minare la sua coesione sociale per legittimare la restaurazione conservatrice, come già si era fatto con la vittoria di Violeta Chamorro dopo l’assedio e la guerra aperta e permanente dell’ultradestra statunitense e dei suoi alleati, quella che ha comportato una condanna internazionale del governo Reagan per l’Irangate.

Oggi le modalità d’intervento non sono apertamente militari ma l’obbiettivo e il modus operandi sono essenzialmente gli stessi; Brian Fleming definisce la guerra ibrida la sintesi di vari tipi di guerra: guerra convenzionale, guerra asimmetrica, guerra irregolare, guerra non lineare, cyberguerra, guerra composita, tra gli altri. In definitiva, un tipo di guerra infinita, senza limiti perché vale tutto. Da qui, all’impresentabile definizione de El País del Nicaragua come il gulag centroamericano (proclama di propaganda già usato ai tempi della Contra sulla stampa internazionale protetta dalla Casa Bianca, con la collaborazione di Felipe González, che ha seguito gli stessi passi in Venezuela) manca solo un passo.

A questo proposito, come avverte Maurice Lemoine, bisogna collocare la campagna di disinformazione sul Paese nel contesto della road map dell’opposizione “Nica” che ha iniziato a denunciare in anticipo una “farsa elettorale”; lo stesso copione seguito in Bolivia, ancora prima in Brasile o in Ecuador, nonostante tutti i sondaggi diano come vincitore l’attuale capo di Stato, compresi quelli della assolutamente insospettabile agenzia Gallup. Da questo punto di vista, l’obbiettivo di far cadere Ortega non è altro se non liquidare il sandinismo, come prima con Hugo Chávez o, come sappiamo da decenni, nella guerra condotta contro Castro.

È una nota legge della propaganda: personalizzare, demonizzare il nemico per distogliere l’attenzione dall’indiscutibile motivazione morale costituita dall’immoralità imperialista di rovesciare i cambiamenti e i progressi che persino The Economist riconosce e grazie ai quali Ortega ha vinto e vincerà ampiamente le elezioni, riconfermando l’appoggio popolare al progetto di cambiamento che egli rappresenta; ecco il perché della campagna mediatica che mette preventivamente in discussione ciò che la democrazia confermerà.

Per questo è prevedibile che, nella gestione del tempo di risposta variabile, in base all’esperienza del Trattato di Esquipulas e alla guerra a bassa intensità, gli attacchi e la campagna volta all’isolamento del governo del Nicaragua auspicato dalla Casa Bianca si intensifichino, con l’utilizzo a questo scopo di metodi e operazioni sotto copertura, in modo da giustificare di fronte all’opinione pubblica internazionale la rimozione di un governo molesto per gli interessi dell’impero. In questa guerra, il ruolo dell’Alleanza Civica per la Giustizia e a Democrazia (ACJD), dell’Unione Nazionale Azzurra e Bianca (UNAB), oltre a quello della presunta sinistra che non si è vergognata di appoggiare elettoralmente la destra e persino l’intervento straniero nel Paese, è semplicemente quello di collaborazionisti e peones dell’imperialismo.

Questi “guardiani della libertà”, i “campioni della democrazia”, finiranno tuttavia col frammentarsi, come in Venezuela, perché i Chamorro e i loro arieti dell’OEA come Almagro non hanno un progetto di Paese, ma affari di vario genere che presto o tardi finiscono per entrare in crisi e sfociare nel divisionismo proprio di coloro che progettano per l’istmo quanto già vissuto in altri territori come la Libia o l’Honduras; il copione è ormai più che conosciuto e documentato e prevede sanzioni, minacce, accuse infondate, danni interni ed esterni, cyberattacchi, guerra psicologica imperniata sulla manipolazione e l’inganno mediatici e sulle reti sociali, uso della criminalità comune, operazioni concertate con determinati Paesi guidati dagli USA e un’ampia batteria di risorse proprie della retorica imperiale, ben descritte da Carlos Midence nel suo ultimo saggio sulle relazioni degli Stati Uniti con Nuestramérica. Come fanno fin dal XIX Secolo, gli USA utilizzano sia la pressione bilaterale sui Paesi e le istituzioni che storicamente si sono prestati ai loro disegni, sia forme di intervento e aggressione militare nella continua occupazione di quello che considerano il loro cortile di casa, iniziando a questo scopo con lo strangolamento dei fondi della cooperazione internazionale e proseguendo con il sabotaggio e il finanziamento della contra delle ONG.

Rispetto a queste ultime, il politologo James Petras aveva già messo in guardia, nella misura in cui esse costituiscono il fronte culturale della guerra ideologica, come abbiamo visto a partire dalle operazioni di pace dell’amministrazione Clinton; l’intervento per ragioni umanitarie in Kossovo o quello attualmente proposto a Cuba, sono un classico del discorso dell’ingerenza imperialista. Così, ancora una volta, come in Venezuela, l’Agenzia degli USA per lo Sviluppo (USAID), la Fondazione per la Nuova Democrazia (NED), creata da Reagan nel 1983 per sostituire la CIA nell’organizzazione di azioni “non armate” ai tempi della Contra, la Freedom House o la Open Society di George Soros finanziano, formano, coordinano e sostengono la presunta “società civile” che vogliono democratizzare; immaginiamo a somiglianza della Colombia.
Nell’ultimo decennio si sono destinati a questo scopo oltre 80 milioni di dollari, beneficiando soggetti politici come la Fundación Chamorro, ramificando così le basi mediatiche interne dell’imperialismo: questa fondazione ha alimentato, tra l’altro, i canali televisivi 10, 11 e 12, Vos TV, Radio Corporación, Radio Show Café con Voz, oltre alle piattaforme digitali 100% Noticias, Artículo 66, Nicaragua Investiga, Nicaragua Actual, BacanalNica e Despacho 505. Nel frattempo, sulla stampa internazionale, proliferano accuse false diffuse dalla struttura concentrata di potere informativo, in una specie di golpismo mediatico che abbiamo ampiamente documentato nel nostro studio “Golpe mediatici. Teoria e analisi di casi in America Latina” (CIESPAL, Quito, 2016).

Il caso più recente è costituito dalla campagna sugli arresti, ordinati dal Pubblico Ministero nicaraguense, di soggetti che hanno tentato di destabilizzare, promuovere sanzioni e supplicare gli Stati Uniti di perpetrare un’invasione militare del Paese, ignorando che, come per l’invasione del Capitolio di Washington, esiste una Legge per la Sicurezza Nazionale da applicare e che in alcuni casi, a dispetto di quanto dice la stampa, gli arrestati non erano affatto candidati, come si è voluto fare credere dai media.

I media, però, non dicono nulla sul finanziamento che gli Stati Uniti hanno consegnato a soggetti locali per destabilizzare il Paese. Non so se i professionisti dell’informazione e i guardiani della libertà hanno accettato che chi rivela tali realtà occulte all’opinione pubblica subirà la stessa sorte di Assange; il fatto è che è ovvio ed evidente per qualsiasi analista attento, che non lavori sovvenzionato dalle generose fondazioni private al servizio dell’impero, che la nota di fondo della guerra ibrida utilizzata è volta a sviare il corso delle indagini e l’applicazione del quadro giuridico, riproducendo senza limiti le falsità mediante fake news, postverità, narrazioni illusorie, un adeguato framing e non notizie, che sono le vere basi mediatiche delle forze speciali di destabilizzazione del sandinismo. Nel mondo alla rovescia, l’arresto di golpisti è un attacco alla democrazia e l’abbattimento di presidenti eletti, come Evo Morales, la norma desiderabile per la restaurazione indiscutibile del sistema. Una semplice analisi del discorso comparato sulla copertura da parte della stampa internazionale della Santa Alleanza riguardo i massacri e i responsabili del golpe in Bolivia e i recenti arresti in Nicaragua, metterebbe in evidenza le contraddizioni dei media mercantilisti impegnati nel fare passare una realtà con la quale legittimare ciò che, in verità, ha sempre voluto l’imperialismo.

Il tallone d’Achille di questo progetto di aggressione è costituito, come sempre, dal filo rosso della storia e dalla circolazione del denaro, in questo caso dal finanziamento delle fondazioni, delle ONG e delle agenzie che sono state cavallo di Troia, scagnozzi che hanno agito all’ombra delle trame dell’impero per rovesciare le conquiste storiche di sovranità e dignità del popolo che, lo sappiamo, ha più intelligenza di quanto pensino gli strateghi del Pentagono.

Il Nicaragua, nel mezzo di tale assedio da parte dei centri di potere coloniale e imperiale che, per diverse ragioni, non sopportano che Paesi come questo difendano la loro sovranità, resiste per progredire e riprendere il filo storico che, nel suo caso, indicò Sandino. Tutta la macchina della propaganda è insufficiente per rovesciare la volontà ribelle di un popolo libero, per quanto sia accanita la campagna di discredito e manipolazione sui medi internazionali. Come gli scorpioni ne “L’età d’oro” di Luis Buñuel, i media nascondono nel loro pungiglione il veleno della guerra e l’informazione e questo è il terreno sul quale ci troviamo oggi in Nicaragua. È necessario, ora, a partire dalla libertà e dall’indipendenza, raccontare la verità sulle cronache diffuse dalla guerra ibrida imperiale. È una questione di dignità e di Diritti Umani.

di Francisco Sierra Caballero

Docente di Comunicazione dell’Università di Siviglia, Presidente dell’Unione Latina di Economia Politica della Comunicazione e membro della Rete di Artisti, Intellettuali e Comunicatori solidali con il Nicaragua e l’FSLN
Traduzione da www.el19digital.com
A cura di Gorri per il mensile Lavoro e Salute

25/7/2021

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