IL PUBBLICO VA IN “GABBIA”

Correva l’anno 1995 quando la Lega Nord bossiana fece saltare il primo governo di destra della c.d. “Seconda Repubblica”. Ciò fu sufficiente affinché D’Alema si abbandonasse all’euforia affermando1:” La Lega Nord c’entra moltissimo con la sinistra. Tra Lega e sinistra c’è forte contiguità sociale. È una nostra costola e si esprime attraverso un anti-statalismo democratico e anche antifascista che non ha nulla a che vedere con un blocco organico di destra”!
Si trattò di una dichiarazione che, a rileggerla oggi, crea non poco imbarazzo a quanti ancora perseverano nel tentare di accreditare il primo ex comunista assurto al ruolo di Premier italiano, quale politico “illuminato” e grande stratega della sinistra!
In fin dei conti, però, un esperto politologo potrebbe anche avere qualche possibilità di successo cimentandosi nell’arduo tentativo di dimostrare che – considerato il contesto storico nel quale si svolgevano i fatti – nell’immaginario collettivo potesse facilmente affermarsi l’idea di una Lega Nord anti-sistema; se non proprio sufficientemente “sinistra”. Di certo, comunque, abbastanza contigua alla destra!
Nessuna attenuante, credo, vada (invece) riconosciuta oggi a chi, come Guglielmo Epifani, arriva al punto di definire Silvio Berlusconi quale novello liberaldemocratico. Naturalmente, a nessuno sfugge che, in un futuro abbastanza prossimo, un eventuale governo di maggioranza Salvini/Merloni rappresenterebbe, per l’Italia e l’Europa, una vera e propria jattura; con conseguenze, a mio parere, potenzialmente molto pericolose per la tenuta democratica del nostro Paese.
Da qui, però, a definire liberaldemocratico quel “Berlusca pro domo sua” – seppure in funzione di un’eventuale alleanza elettorale che depotenzi ed allontani lo spettro della destra fascio/leghista – equivale a ignorare la storia degli ultimi venticinque anni del nostro travagliato Paese e, in nome di interessi elettoralistici, mortificare quanti, alle leggi “ad personam”, contrapponevano istanze sociali collettive!
In questo senso, a mio parere, non può essere richiamato alcun contesto che possa, contribuire a giustificare e assolvere quella che, nella sua sconvolgente enormità, appare una valutazione politica dettata da motivazioni di carattere esclusivamente strumentale. Infatti, se, all’epoca, la Lega bossiana – pur nella sua prorompente forza disgregatrice – rappresentava, comunque, una realtà politica ancora tutta da scoprire e da valutare; tanto da indurre in errore lo stesso d’Alema, di Berlusconi, invece, sono già ampiamente noti “fatti e misfatti”!
Certo, in ossequio a un nuovo gioco di squadra e in nome della realpolitik, l’idea di un inedito “fronte”, capace di coinvolgere ciò che resta della forza politica dell’ex Cavaliere e realizzato al fine di sbarrare il passo al duo Salvini/Meloni, rappresenterebbe una novità assoluta – e, forse, indispensabile – nel panorama politico italiano.
Qualificare, però, liberaldemocratico chi, fino a ieri, nella più benevola delle ipotesi, si definiva “caimano”, va oltre ogni più lecita immaginazione; anche di fronte all’esigenza di “fare necessità virtù”.
Senza contare le richieste di “riabilitazione” che ne seguirebbero e alle quali, inevitabilmente, diventerebbe difficile sottrarsi.
Intanto, per fortuna, in Italia c’è anche chi fa della coerenza la sua Stella polare!
In questo senso, se, per alcuni, può rappresentare una novità che Giuseppe Sala – attuale Sindaco di Milano, in scadenza di mandato e con sguardo ammiccante agli elettori leghisti – improvvisamente riscopra la sua natura di ex manager (pubblico e privato), dichiarandosi favorevole all’istituzione (per i dipendenti della Pubblica amministrazione) delle già famigerate “gabbie salariali2”, non sorprendono la tenacia e la perseveranza che caratterizzano – anche su questo tema – le posizioni espresse da Pietro Ichino; alias “il licenziatore3”. Soprattutto quando si tratta di ridurre le tutele e le garanzie a favore dei lavoratori.
In effetti, lo spartito di riferimento – vero e proprio “specchietto per le allodole” – dell’ex senatore Pd è sempre lo stesso; un classico, ormai: il cd. “dualismo” presente nel mondo del lavoro.
È, infatti, in nome di quello che amava definire il superamento del dualismo, esistente tra i lavoratori “coperti” dall’art. 18 e quelli che ne erano sprovvisti, che Pietro Ichino ha fatto ricorso, negli ultimi anni, a “fiumi d’inchiostro” per affermare un principio che, grazie ai governi Monti e Renzi, ha poi trovato riscontri di carattere legislativo.
Una soluzione, in definitiva, di una semplicità disarmante. Piuttosto che ampliare la platea dei lavoratori titolari di maggiori diritti e tutele, il dualismo tra insider e outsider è stato risolto, per via legislativa4, cancellando garanzie e tutele a coloro che, a parere di Ichino, erano, immotivatamente, “garantiti”.
Non cambia la musica quando la discussione si sposta dal settore privato a quello pubblico.
Infatti, è ancora e comunque “in nome e per conto dei non garantiti”, questa volta i lavoratori privati rispetto a quelli pubblici, che l’ex senatore invita, in particolare il suo ex partito, a sanare quella “gravissima lacerazione” esistente tra lavoratori del privato che, in tempi di pandemia, corrono – purtroppo – il concreto rischio di perdere il proprio posto di lavoro e i dipendenti pubblici per i quali vige la “intangibilità del posto”.
Anche qui, quindi, la prescrizione non cambia: per ricucire una così grave “lacerazione”, non esiste altra alternativa che ricondurre la condizione dei lavoratori della P.A. a quella dei settori privati!
Senza dimenticare, naturalmente, l’esigenza – a parere di Ichino – di “differenziare i minimi tabellari in funzione degli indici regionali del costo della vita, al fine di parificare i minimi stessi in termini di potere d’acquisto effettivo”. Ergo: tornare indietro nel tempo di circa cinquant’anni. E questa volta, giusto per evitare inopportuni “dualismi”, prevedere misure comuni (gabbie salariali) per dipendenti pubblici e privati.
Non diversa, la posizione di Tito Boeri.
Infatti, anche l’ex Presidente Inps – già teorizzatore di una moratoria triennale dell’art. 18 dello Statuto, ben prima che Ichino ne proponesse il sostanziale superamento – sostiene, da tempo, che “Legare gli standard retributivi al costo della vita locale è equo e necessario”.
In questo quadro, è davvero arduo tentare di prevedere quali possano essere gli sviluppi di un confronto che, ancora una volta, corre il rischio di risolversi in un sostanziale peggioramento delle condizioni di vita dei lavoratori italiani; di quelli pubblici quanto di quelli privati.

NOTE
Intervista a “Il Manifesto”, del 30 novembre 1995
Sistema di calcolo dei salari in relazione a parametri quali, ad esempio, il costo della vita tra le diverse realtà territoriali. In Italia entrarono in vigore (solo nei settori privati) nel gennaio 1945 al nord e, nel 1954, su tutto il territorio nazionale. Furono abolite definitivamente a partire dal 1° luglio 1972
In virtù dei suoi reiterati attacchi alle garanzie previste, nei casi di licenziamenti illegittimi, dall’art. 18 dello Statuto dei lavoratori. Nonché l’invenzione del c.d. “contratto a tutele crescenti” che, di crescente, ha solo l’entità dell’indennità di licenziamento; non certo le tutele in quanto tali
Legge 28 giugno 2012, nr. 92 (legge Fornero) e Legge 10 dicembre 2014 (c.d. “Jobs-act)

Renato Fioretti

Esperto Diritti del Lavoro

Collaboratore redazionale di Lavoro e Salute

15/7/2020

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