il recupero del silenzio.

il racconto: una voce alla radio planetaria

Tra i diversi tipi d’inquinamento ambientale uno dei più sottovalutati è quello acustico. Eppure l’eccesso di rumore crea danni alla salute, può provocare ipertensione, malattie vascolari, stress, aggressività, depressione e stanchezza. L’inquinamento acustico, secondo le statistiche, penalizza sia la salute che la qualità della vita del 25% della popolazione europea. Tutti abbiamo bisogno del silenzio, importante ed essenziale come l’aria che respiriamo e l’acqua che beviamo, eppure sembriamo assuefatti, rassegnati e non ci accorgiamo di come la nostra vita sia immersa in un tunnel di rumore quotidiano. Di giorno i clacson, i cellulari, le motociclette senza marmitta, i lavori nei cantieri, la notte la violenza che subiamo in tanti assediati dal caos della vita notturna. Un “rumore di fondo” costante e ineluttabile.

Siamo abituati a vivere circondati da scatole che emettono suoni: le televisioni, che urlano impazzite quando vanno in onda le pubblicità o quando durante i talk show i partecipanti gridano tra loro, gli altoparlanti del supermercato che trasmettono i consigli per gli acquisti in mezzo a brani musicali di dubbio gusto, i cellulari con le loro suonerie invadenti, le macchine con i clacson isterici o gli antifurti maleducati, infine, la notte, le casse acustiche dei locali che vomitano a volume altissimo musica e voci distorte di cantanti improbabili.

Tutto un insieme di cattive abitudini, di maleducazione e di mancanza di rispetto verso il prossimo che si traduce nel tipo d’inquinamento più difficile da debellare. Ritengo però che sia anche il più significativo dell’epoca in cui viviamo, circondati dalle più potenti armi di distrazione di massa. Non accorgersi di essere sottoposti a una tale violenza equivale ad entrare in un posto puzzolente e non accorgersi più del cattivo odore. Andiamo in giro con questa costante puzza sotto il naso senza farci più caso: dal dentista, dal fisioterapista, dall’estetista, all’aeroporto, al bar, al ristorante, ovunque siamo costretti a sentire una musica che non abbiamo scelto, che ci viene imposta come riempitivo di qualcosa (del nostro tempo? delle nostre pause? dei nostri pensieri?) che magari vorrebbe soltanto essere lasciato vuoto, assenza, silenzio.

La musica così offerta si traduce in rumore e il rumore ci impedisce di essere, di essere il nostro pensiero, il nostro tempo, la nostra concentrazione, il nostro silenzio interiore. Come possiamo difenderci? Un gruppo d’intellettuali, tra cui gli scrittori Niccolò Ammanniti, Paola Mastrocola, il maestro Salvatore Accardo, il filosofo Remo Bodei, oltre giornalisti, docenti accademici e tanti altri hanno sottoscritto un appello intitolato “Ridateci il silenzio”.

L’appello è rivolto al governo, al parlamento, alle amministrazioni locali, alle forze dell’ordine, per rivendicare «il diritto a riposare tranquillamente all’ora che si preferisce, a concentrarsi nella lettura, ad ascoltare musica di propria scelta, a godere la tranquillità tra le mura di casa».

Si chiede prima di tutto che vengano rispettate le regole che dovrebbero assicurare una serena convivenza nelle aree metropolitane per garantire la difesa della “quiete pubblica”, espressione ritenuta arcaica, associata ad una immobilità quasi mortifera. Un termine a cui contrapporre la parola movida come espressione di vitalità, di dinamismo e divertimento. Il professore di filosofia all’università Bicocca di Milano, Duccio Demetrio, e la giornalista Nicoletta Polla-Mattiot hanno creato l’Accademia del silenzio, un’associazione che vuole «diffondere l’ecologia del silenzio nei luoghi di vita, contro l’inutile rumore» e ricordare quanto il silenzio sia invece utile, indispensabile per non disperdere la gioia di vivere nel caos devastante del rumore fine a stesso.

18/12/2014 www.mezzocielo.it/

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *