Il “soluzionismo tecnologico” per l’ambiente di Bill Gates: dall’ingegneria alle centrali nucleari

L’approccio di Bill Gates non è per niente strutturale ai cambiamenti climatici, ma è “emergenziale”. Oggi con il termine “emergenza” si può giustificare tutto, ma soprattutto si giustifica l’intenso business che dietro si crea. Sebbene oggi Bill Gates sia considerato grande filantropo attento ai temi della crisi climatica, in realtà basta leggere i danni che ha creato nel cosiddetto “Terzo Mondo”, soprattutto in India e in Africa con la “Rivoluzione Verde”, proponendo un sistema agricolo completamente fallimentare, tossico per la salute ed inquinante, ma in linea con particolari interessi economici. Basterebbe leggere il Rapporto di Navdanya International dal titolo “Gates to a Global Empire” – Gates verso un Impero Globale:
“Nel contesto neoliberista delle politiche di aggiustamento post-strutturale che hanno lasciato atrofizzati gli stati del Sud del mondo, della costante diminuzione dei fondi delle istituzioni internazionali dopo la fine della Guerra Fredda nel Nord del mondo, la porta è stata lasciata spalancata alla ‘generosità’ di Gates per rinvigorire la scena internazionale e spegnere la sete di capitali tanto necessari. Ma questo capitale è tutt’altro che puro. Una volta che si riesce a superare la fitta nebbia delle pubbliche relazioni, inizia ad emergere uno schema di consolidamento spietato dell’agenda e del programma di sviluppo. Una strategia di sviluppo basata su un consenso imposto in modo aggressivo, attraverso un’influenza diretta su tutti gli attori del colosso dello sviluppo globale – comprese istituzioni internazionali, università e centri scientifici e di ricerca internazionali, società private e stati – e sulla mentalità che qualsiasi problema può (e deve unicamente) essere risolto attraverso la tecnologia, l’innovazione, l’ingegneria e le regole del mercato privato. Questo vale per tutte le aree toccate dalla Fondazione Bill e Melinda Gates, da settori come l’alimentazione e l’agricoltura, alla salute, ai cambiamenti climatici, all’istruzione e ai media.”

Bill Gates, una delle due persone più ricche del pianeta con un patrimonio netto di quasi 117 miliardi di dollari, da patron di Microsoft, ora è visto come un generoso “ottimista impaziente” che cerca di aiutare a proprie spese i poveri del mondo e l’ambiente. Eppure, Gates aveva la reputazione di uno spietato gigante della tecnologia, pronto a schiacciare completamente i concorrenti per fare largo al suo impero monopolistico. Forse, dopo molteplici cause antitrust e vari contenziosi per le condizioni di sfruttamento dei suoi lavoratori, oltre all’impronta ecologica di Microsoft, Gates ha cercato di rigenerare la propria immagine pubblica con la “filantropia”, manovrata da un sacco di soldi, indirizzandola verso la strategia di influenzare l’agenda di sviluppo globale in linea con i suoi interessi molto specifici.

Gates ha deciso di reinventarsi, usando la sua influenza tecnologica e la sua conoscenza del mercato privato per “risolvere i problemi più urgenti del mondo”, spesso attraverso la sua The Bill and Melinda Gates Foundation. Tra questi principalmente spunta l’ambiente come tema caldo; ma, oltre al suo approccio retorico a quello che lui chiama “Terzo Mondo”, quali sono le sue soluzioni perla crisi climatica e il riscaldamento globale?

Il fondatore di Microsoft ha appena pubblicato un libro dal titolo “Come evitare una catastrofe climatica”, in cui espone ciò che per lui sono le soluzioni più dirette per coniugare “crescita economica e sostenibilità ambientale”. Due termini che i teorici della decrescita felice ripudierebbero in quanto materialmente contrastanti, a meno che non vengano usate strumentalmente per aprire altri mercati. Non a caso infatti questo libro è rivolto ai leader globali, ai dirigenti industriali e a politici, vedendo la soluzione nei governi, nelle fondazioni nonprofit e nelle aziende. Un approccio che non è di cambiamento dello sviluppo economico e del modello di produzione, ma che si discosta totalmente dalla linea di frattura che nacque negli anni Settanta tra istanze ecologiste e industrialismo. Un soluzionismo facile e sbrigativo che non ha come obiettivo salvare la Terra, gli ecosistemi e diritti umani; ma piuttosto cambiare modo di fare affari con la scusa di frenare il “disastro climatico”. Questo generano un’altra delle contraddizioni della nostra società capitalista neoliberale, per la quale chi ha generato strutturalmente certi problemi viene magicamente visto come la soluzione. D’altronde quali proposte poteva fare Bill Gates, un miliardario amministratore delegato di una azienda ha fatto i suoi soldi alle spalle del clima.

Il fondatore di Microsoft tratta i temi ambientali in maniera radicalmente diversa dai movimenti ambientalisti, dai no-global e dai movimenti di base, assimilando alcune basiche istanze ambientaliste in un discorso volto a non mettere in discussioni l’attuale sistema economico.

In un recente articolo apparso sul Financial Times Gates ha dichiarato che non si può estirpare la povertà nel mondo (860 milioni di persone) senza poter garantire l’accesso all’energia, all’elettricità nelle scuole e negli ospedali e ai fertilizzanti agricoli, ribadendo però che si devono abbandonare i combustibili fossili perché non possiamo più rilasciare gas serra. Ma come? Parti del problema della crisi climatica sono proprio come viene generata l’energia e l’ingente uso di pesticidi chimici nel sistema della monocoltura intensiva, di cui Bill Gates fa parte. Il problema è anche quella che viene spacciata per alternativa, ovvero l’energia green, in quanto porterebbe ad un massiccio dispendio di risorse naturali e sfruttamento del suolo.

L’approccio di Gates è esclusivamente economicistico, basato suoi cosiddetti green premiums, ossia il sovrapprezzo che deriva dalla scelta di una soluzione a emissioni zero rispetto a una tradizionale e inquinante. Uno strumento che si applica a settori come l’elettricità, la manifattura, l’agricoltura, i trasporti che porta con sé un rischio in quanto, se alcuni di questi sovrapprezzi sono sostenibili nei Paesi più ricchi, capaci di produrre più energia rinnovabile e accollare un sovrapprezzo contenuto al consumatore, nella stragrande maggioranza questi sovrapprezzi sono insostenibili. Il prezzo esorbitante dei green premiums nel mondo è dovuto al fatto che i “prodotti verdi” devono affrontare la competizione impressionante delle loro controparti inquinanti.

Il “fenomeno Bill Gates” in campo ambientale non è un progresso, ma una rigenerazione dell’attuale modello capitalistico di consumo per indirizzare nuovi investimenti “green”. L’intento è “forzare un’evoluzione innaturalmente veloce”, come dice Gates, per attivare il meccanismo della competizione tra un capitalismo liberale tossico basato sui combustibili fossili ed un capitalismo neoliberista si stampo sviluppista. Infatti, se c’è interesse tra i gruppi industriali e finanziari per guidare questa transizione, tutto andrà bene, ma se non ci saranno strutture economiche in grado di incidere sulla realtà, il problema non si risolverà: la grande instabilità interna nei progetti economici di cambiamento proposti dal capitalismo.
Il pragmatismo tecnocratico e neoliberista di Bill Gates si divide in quattro fasi:
⦁ Mobilitare il capitale per ridurre i green premium per le industrie in cui questi sono ancora a livelli proibitivi, accettando investimenti rischiosi e più probabilità di ritorni inferiori o perdite. La convenienza di spostarsi verso la “green economy” aumenterà seguendo le logiche di mercato.
⦁ Questo genererà crisi economiche, inevitabilmente, che permetterà al capitalismo di rigenerarsi e consolidarsi. Una crisi economica che verrà però pagata dagli ultimi della Terra, mentre i ricchi continueranno i propri profitti.
⦁ Scegliere i prodotti green: maggiore sarà la domanda, maggiore la spinta del mercato in quella direzione e la riduzione dei costi.
⦁ Incrementare la ricerca e lo sviluppo di “soluzioni”, come per esempio la nuova frontiera del capitalismo, ovvero il “cibo sintetico”. Un’alternativa che viene contrapposta al consumo di carne, ma che in realtà non è una strada sostenibile, il cui leader è Impossible Foods, una compagnia che ha raddoppiato gli investimenti in R&S per la commercializzazione di questi prodotti.
⦁ Ripensare le leggi e le politiche ambientali trasversali. Secondo Gates, solo una spinta dall’alto, superando la volontà degli Stati, può innescare dei cambiamenti, può permettere di legiferare sul clima in qualsiasi settore, rimuovere gli ostacoli burocratici all’ innovazione, aggiornare gli standard di emissioni e imporre prezzi più alti sulla produzione di gas serra.

Per Gates occorre attivare politiche, tecnologie e nuove strutture di mercato per rendere possibile la “transizione verde” possibile. Però il dilemma rimane: sarà veramente una svolta “verde”? Se non viene messo in discussione il capitalismo come si può prospettare la giustizia ambientale? Davvero il soluzionismo tecnocratico non sarà un pericolo ecologico?

Secondo Vandana Shiva questo è l’altra faccia di un capitalismo predatorio e di una colonizzazione dei saperi volta a profitti di pochi: solo una localizzazione dell’economia ed un cambiamento radicale del modello di sviluppo e di produzione può cambiare lo stato di cose esistente.
Infatti, il filantropo green sta spacciando per “sostenibile” ciò che in realtà sostenibile non è, come il ritorno alle centrali nucleari. Secondo quanto dichiarato, Bill Gates nelle prossime settimane cercherà di convincere il Congresso USA a finanziare, con miliardi di dollari per il prossimo decennio, il suo progetto per la realizzazione di un nuovo tipo di reattore nucleare definito “più efficiente, ecologico e sicuro”. Gates ha scritto una lettera al Congresso: “Il nucleare è ideale per combattere il cambiamento climatico perché è la sola fonte di energia ‘carbon-free’. Il problema dei reattori nucleari attuali, come il rischio di incidenti, può essere risolto attraverso l’innovazione”.

D’altronde nel 2006 l’imprenditore ha fondato e finanziato una startup che ha chiamato TerraPower per la progettazione, la ricerca e il design di nuovi reattori nucleari. La società ha 150 dipendenti ed ha sede a Bellevue, vicino a Seattle, nello stato di Washington. Il prototipo del reattore di TerraPower è denominato Twr e, secondo i programmi della società, dovrebbe essere pronto a metà del 2020.
Se questa sarà la riconversione ambientale c’è qualcosa che ci sta sfuggendo di mano.

di Lorenzo Poli

Collaboratore redazione del mensile Lavoro e Salute

26 febbraio 2021

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