Il suicidio e la pandemia di covid19

Il suicidio è un problema di sanità pubblica

A fine maggio di quest’anno, J. Cramer, docente della facoltà di sanità pubblica dell’università del Nord Carolina, negli USA, scriveva: “La pandemia di covid19 continua a mettere sotto stress il Paese e il mondo”, evidenziando come la probabilità di una “seconda ondata” – annunciata dai media – avrebbe potuto comportare una “perdita di speranza” e conseguente rischio di aumento di suicidi (Cramer, 2020).

Quell’incipit vale anche adesso, a ottobre, con il virus ancora pericolosamente e concretamente in circolazione in Italia e nel mondo.

Il suicidio rappresenta un problema di sanità pubblica rilevante, come dimostrato dai numerosi dati raccolti a livello locale e mondiale, ed è diventato un tema prioritario di interesse, come dichiarato da fonti autorevoli, ad esempio:
– l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha elaborato quest’anno un documento per la prevenzione del suicidio, rivolto ai professionisti del settore dei media, segnalando la potenziale influenza che questi possono avere rispetto al fenomeno, in particolare per le persone con una “vulnerabilità” al suicidio, e fornendo indicazioni sulle modalità informative più adeguate (WHO, 2020).
– sempre l’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel 2014 ha pubblicato il I rapporto ufficiale, dichiarando il suicidio la 15esima causa di morte a livello globale (WHO, 2014), contenente un forte richiamo ai governi di impegnarsi nell’elaborazione di policy di prevenzione, in continuità con il Piano di Azione Mentale 2013 – 2020 che prevede la riduzione del tasso dei suicidi almeno del 10% entro il 2020 (WHO, 2013)

Alcuni dati italiani, forniti da Epicentro, il portale di epidemiologia dell’ ISS – Istituto Superiore di Sanità:
<<In Italia si registrano ogni anno circa 4000 morti per suicidio. … Secondo i dati ISTAT della “Indagine sulle cause di morte”, nel 2016 (ultimo anno per il quale i dati sono attualmente disponibili) nel nostro Paese si sono tolte la vita 3780 persone. …. L’analisi dei tassi età-specifici riferita all’anno 2016 mostra che per gli uomini il tasso aumenta costantemente raggiungendo un valore di quasi 20 casi ogni 100.000 abitanti tra gli anziani di età superiore ai 70 anni. … Ma è tra i giovani che il suicidio è, analogamente a quanto si registra a livello mondiale, una delle prime cause di morte>>

Il suicidio correlato a eventi catastrofici e situazioni di emergenza

Come ha impattato la pandemia di covid19 sul fenomeno dei suicidi?

Sono pochi gli studi che hanno indagato il rapporto tra le pandemie e i suicidi, ecco alcuni risultati:

  • Un’analisi di serie storiche basate sulla regressione ha rilevato una correlazione significativa tra aumento del tasso di suicidi e l’influenza suina fino a due mesi dopo il periodo successivo all’ epidemia (Jung S et al. 2019)
  • studi sull’impatto psicologico dell’epidemia di SARS del 2003 hanno rilevato l’aumento del 30% dei suicidi nelle persone con età superiore a 65 anni (“solo” 8.000 casi riportati e 774 decessi nel mondo) (Rapporto ISS Covid19 n. 23/2020)
  • una revisione sistematica del 2015 hanno evidenziato una associazione positiva tra la recessione economica e l’ aumento dei tassi di suicidio (Oyesanya, 2015)
  • solo 1 studio ha rilevato una correlazione positiva diretta tra l’influenza suina (H1N1) e i suicidi avvenuti dopo il 2009 (Jung et al, 2019)

Ma aldilà di evidenze di una correlazione diretta, basta documentarsi su altri recenti eventi catastrofici per vedere come il tasso di suicidi generalmente aumenti in queste situazioni: <<Diversi studi hanno evidenziato come in caso di eventi epidemici straordinari è verosimile attendersi un aumento nella popolazione di sintomi ansiosi, perlopiù legati a risposte disadattative di fronteggiamento (coping) dello stress, e un aumento del rischio di sviluppare sintomi depressivi e comportamenti auto ed etero-aggressivi fino a condotte suicidarie (Brooks et al., 2020)>>

Il recente Manuale dell’ISS – Istituto Superiore di Sanità sull’ impatto della pandemia sulla salute mentale, destinato in primis ai Dipartimenti di Salute Mentale, ha raccolto una serie di elementi che ben documentano l’aumento di vari fattori di stress rischio psicosociale come recessione economica, lutto, perdita del ruolo/lavoro e della casa, allentamento delle relazioni, e il loro effetto sul numero dei suicidi (Rapporto ISS Covid19 n. 23/2020)

Tutte questi agenti stressanti si aggiungono al potenziale effetto “contrario” dell’intervento di lock down dei primi mesi di quest’anno in Italia mirato ad evitare la diffusione del covid19, ma che ha comportato situazioni quali l’isolamento e il ritiro sociale, la limitazione dei contatti interpersonali,… che rischiano di favorire l’ideazione suicidaria, soprattutto per le persone con problemi mentali (peggioramento dei sintomi o emergenza di nuova sintomatologia, specialmente di tipo depressivo).

Altri gruppi di persone maggiormente a rischio sono coloro a diretto contatto con la malattia, ad esempio i “sopravvissuti” e gli operatori sanitari, che possono anche diventare oggetto di “stigma” da parte della famiglia e della comunità (portatori di contagio).

Una preoccupazione crescente riguarda la popolazione tra i 15 e i 24 anni: in questa fascia di età risulta molto importante l’accettazione da parte del gruppo dei pari, pertanto il rischio di essere stigmatizzati è molto elevato, così come sono elevate le conseguenze in termini di gravità

La popolazione in generale si mostra piuttosto resiliente, risponde cioè alla crisi in maniera adattiva con le proprie risorse (biologiche, emotive, psicologiche, relazionali, affettive, sociali).

Ma secondo i modelli sui cicli di reazione agli eventi traumatici di portata collettiva (Altman, 2020), entro un anno dall’insorgenza dell’emergenza la resilienza sembra venire meno, e si avvia una fase di possibile ri-traumatizzazione, che richiede estrema attenzione e azione. E ci siamo dentro, pienamente.

La prevenzione del suicidio: approccio “multilivello”

La letteratura ci indica due approcci all’osservazione del fenomeno: previsionale e preventivo.

L’orientamento di tipo previsionale cerca di prevedere gli effetti/conseguenze della pandemia basandosi sull’esperienza di precedenti eventi catastrofici, con la finalità di “prepararsi” a ciò che potrebbe accadere.

Alla domanda “Quale è l’impatto che la pandemia di coronavirus potrebbe avere sull’ aumento del rischio di suicidio nella popolazione?”, e la risposta arriva da possibili proiezioni inerenti l’andamento dei tassi di suicidio e del rischio suicidario.

Ad esempio, a maggio 2020 3 ricercatori e medici psichiatri statunitensi hanno elaborato delle proiezioni nazionali sotto forma di grafico: osservando i tassi di suicidio degli ultimi anni non hanno rilevato una modificazione significativa all’interno del tessuto urbano, mentre nelle piccole comunità, e nelle zone più rurali, i suicidi sono aumentati vertiginosamente, al pari dell’ uso di sostanze; le persone più giovani e gli adolescenti, appaiono come quelli più a rischio, anche se in assoluto il gruppo più a rischio di ogni altro resta la fascia di età sopra i 50 anni. La proiezione (“aumento di morti per suicidio a seguito della recessione economica dovuta al covid19”) riguarda un aumento di oltre 100.000 casi di abuso di sostanze come effetto possibile della perdita del lavoro, della casa, ecc e i dati mostrano che tali casi porterebbero a un aumento delle morti per overdose, tutte riferite a droghe illegali senza includere l’alcool (Strakowsky et al. 2020).

Trattandosi di un fenomeno complesso legato a varie cause o con-cause, e poiché, come abbiamo visto, pochi studi hanno indagato la correlazione diretta del tasso di suicidi a una pandemia, alcuni autori suggeriscono di “andare oltre” i modelli previsionali: prevederne gli effetti/conseguenze, potrebbe essere poco utile rispetto a prepararsi e prevenire. Perciò, è necessario – soprattutto adesso – spostarsi da un atteggiamento mentale focalizzato sulle previsioni, a un orientamento di tipo preventivo.

Un’interessante e convincente proposta è l’adozione di un approccio socio-ecologico alla prevenzione del suicidio (Cramer, Kapusta, 2017), cioè promuovere una prospettiva multivello per comprendere il fenomeno e stimolare l’adozione di politiche/programmi a sostegno della popolazione e in particolare delle fasce vulnerabili, durante e dopo la pandemia, per ridurre i fattori di rischio e incrementare i fattori protettivi a livello individuale, sociale, ambientale (SESPM Model).

Un team internazionale di ricercatori ha elaborato delle linee guida per individuare i settori/ambiti su cui concentrare le azioni preventive, ad esempio potenziare le competenze di autonomia residua delle persone con problemi di salute mentale, ridurre l’accesso a strumenti potenzialmente letali (ad esempio armi da fuoco), mitigare lo stress economico con misure a sostegno del reddito, monitorare i fenomeni di violenza domestica e abuso di alcol, fornire indicazioni alla stampa e ai media sulla corretta informazione sui suicidi, ecc

In linea con le indicazioni di progettazione/realizzazione di “programmi comprensivi” multilivello (più tecniche e più setting), l’EAAD  – European Alliance Against Depression (associazione europea contro la depressione) ha elaborato e valutato un programma di ricerca europeo per la prevenzione del suicidio (OSPI – Europe) che è stato implementato simultaneamente e in maniera standardizzata in 4 Regioni EU (Irlanda, Portogallo, Ungheria, Germania), e si è dimostrato efficace nel ridurre i comportamenti suicidari

Il modello multilivello ed evidence-based dell’EAAD prevede varie azioni: formazione e supporto pratico ai medici delle cure primarie, attività di pubbliche relazioni e campagne mass mediatiche, training formativi per i facilitatori di comunità che hanno il compito di “prendersi cura” delle persone a rischio depressione e suicidio, formazione ad hoc per i professionisti della cura/trattamento, supporto per i gruppi ad alto rischio suicidario (es. help line telefoniche) e gruppi di autoaiuto (Hegerl, 2009). 

Il fenomeno del suicidio va quindi contrastato attraverso una strategia preventiva “comprensiva”, che si esplica a vari livelli (comunità, servizi, politica, ambiente, media), utilizza metodi validati, e tiene conto dei dati di sorveglianza inerenti i fattori di rischio  (Gunnell et al., 2020)

Figura 1: Public health responses to mitigating suicide risk associated with the COVID-19 pandemic Le risposte della sanità pubblica per ridurre il rischio di suicidio associato alla pandemia di covid19 (Gunnell et al. 2020)

Indicazioni per i servizi di salute mentale

I servizi di salute mentale devono sviluppare percorsi di assessment “da remoto” e percorsi terapeutici ad hoc per coloro che sono a rischio suicidario o hanno già tentato il suicidio; è necessaria una formazione per il personale per lavorare con le nuove modalità on line (piattaforme digitali, video consulenze, tele terapie) e rendere maggiormente flessibili ed efficaci modalità già in atto (help line telefoniche), ed è fondamentale facilitarne l’utilizzo soprattutto rispetto alle categorie più svantaggiate che spesso hanno minore accessibilità ai servizi.
Recenti studi hanno indagato e dimostrato:
–  l’efficacia degli interventi on line rispetto alla riduzione dell’ideazione suicidaria, subito dopo l’evento critico (Torok et al., 2020)
– l’utilità dei call center di supporto sociale durante la crisi, in integrazione coi servizi sanitari di cure primarie e i servizi di prima accoglienza per intervenire il più precocemente possibile (cfr. help line e loro modellizzazione a cura del Dipartimento di Sanità Pubblica australiano: Pirkis et al, 2016).

Sono inoltre stati diffusi documenti utili come ad esempio le indicazioni per i servizi di salute mentale, per la valutazione e gestione dell’utente a rischio di suicidio attraverso interventi di telemedicina, a cura del Center for Practice Innovation dell’Istituto di Psichiatria dello Stato di New York (Suicide Prevention-Training, Implementation and Evaluation program – SP-TIE), e le Linee guida per la gestione dei pazienti in tempi di covid19, per il personale clinico dei servizi di salute mentale, a cura del Sistema sanitario inglese (NHS – National Health Service), oltre al già citato manuale per i DSM dell’Istituto di Sanità italiano.

Conclusioni

Il coronavirus ci pone di fronte a delle sfide riguardanti vari aspetti (salute, economia, legami sociali, ecc), e il suicidio è una delle conseguenze.

E’ importante fare attenzione a quegli “indizi” che evidenziano un rischio suicidario (Montemurro, 2020): comportamenti (pregresso tentativo di suicidio), pensieri e parole, (“sono stanco della vita”, “nessuno mi ama”, “Lasciatemi da solo”, ecc), situazione socio-economica, contesto di vita, gruppo di appartenenza, ….  e agire in maniera “protettiva”, rispondendo a questi bisogni a livello professionale (interventi di telemedicina, sostegno emotivo e psicologico, ecc) e a livello comunitario (rinforzo del capitale sociale, azioni di volontariato, ecc)

E’ perciò necessario considerare prioritaria l’azione preventiva in questo ambito, e mettere in campo tutte le azioni possibili, a livello di decisori politici, professionisti della salute, singoli cittadini: creare/rinforzare reti di supporto per restare socialmente connessi anche se fisicamente distanti, condividere risorse utili anche in forma digitale, e patrocinare/realizzare programmi preventivi “comprensivi” con una particolare attenzione alle categorie più vulnerabili.

Un interessante modello per la prevenzione del suicidio, è il “caring letters” di Jerome Motto Negli anni ’70 lo psichiatra Jerome Motto ipotizzò un intervento per coloro che avevano tentato il suicidio e che rifiutavano di partecipare a programmi di sostegno in regime di ricovero ospedaliero: gli obiettivi erano la riduzione del senso di solitudine e l’aumento del senso di “connectedness” (essere in relazione), attraverso contatti (lettere o altro) a lungo termine (almeno 1 anno) con persone che manifestavano preoccupazione e interesse per il loro benessere. Un RCT ha valutato un intervento basato sul modello di Motto, rivolto al personale arruolato nell’esercito e nella marina statunitense, considerato a rischio di suicidio, con l’utilizzo di messaggi veicolati da smartphone, dimostrandone l’efficacia nel ridurre il numero dei morti per suicidio e i fenomeni di ideazione suicidaria (Comtois, 2019)

Sitografia e Bibliografia

Rita Longo

26/10/2020 https://www.dors.it

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