Il Terzo Mondo in casa

Foto: Rebelión

La drammatica situazione di Los Angeles indica la portata della crisi morale che divora gli Stati Uniti.
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Le notizie che giungono dagli Stati Uniti sull’impatto del coronavirus somigliano sempre di più a una fction distopica per quanti hanno creduto in buona fede all’inganno del sogno americano. A causa del collasso sanitario generato dall’accelerata espansione del Covid-19 dopo le festività natalizie, l’Agenzia per i Servizi Medici d’Emergenza della Contea di Los Angeles ha emesso una direttiva che stabilisce che non si debbano utilizzare ambulanze per pazienti che non abbiano la possibilità di sopravvivere e che si debba lasciarli morire; per completare la “decisione umanitaria” si è determinato di non somministrare ossigeno ai moribondi da Covid-19, riservandolo solo a pazienti con livelli di saturazione inferiore al 90%: una decisione terribile, se si considera che questa malattia si manifesta con la difficoltà nel respirare. Coloro che hanno adottato questa determinazione, sostengono che si debbano curare solo quanti hanno reali possibilità di sopravvivere e superare il virus. Questa decisione, inumana da qualsiasi parte la si guardi, è un chiaro riflesso della logica darwinista dell’incubo americano: si salvi chi può e con i suoi mezzi; per dirla secondo la retorica neoliberista, si potrebbe sintetizzare nella formula “Tanto possiedi, tanto vivi!”.
Questa misura, una specie di eutanasia forzosa, senza il consenso di chi agonizza né dei suoi famigliari, si applica ai pazienti della massa, ai poveri ed emarginati, che non sono neppure un numero statistico degno di attenzione. Forse che se Bill Gates, Jeff Bezos, Mark Zuckerberg, si trovassero in tale condizione terminale non li porterebbero in ospedale? Non darebbero loro l’ossigeno? Non tenteranno l’impossibile per mantenerli in vita fino all’ultimo momento?
È una chiara disposizione classista, che dimostra il contesto del sogno americano; è come stare nel braccio della morte e non mi riferisco ai condannati alla pena capitale che, in questi giorni, sono giustiziati a piacimento nel Paese dove impera la libertà di ammazzare e di morire.
Affinché non si dica che gli alti funzionari degli Stati Uniti mentono o che i loro annunci non divengono realtà, la richiesta avanzata l’anno scorso dal vicegovernatore del Texas affinché gli anziani affetti da coronavirus accettassero di morire per salvare l’economia ora si sta estendendo a tutte le età, posto che adesso, a Los Angeles, si lasceranno morire i malati terminali maggiori di diciotto anni. Che non si dica che nel capitalismo la morte non si democratizza!
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La discussa disposizione di negare il ricovero ai malati non guaribili a Los Angeles non assolutamente nulla di umanitario, l’umanitarismo è difficile da trovare negli Stati Uniti, dove regna il dio Dollaro; è un risultato diretto della sopraffazione del sistema ospedaliero, mercificato e privatizzato, che ha dichiarato il massimo storico di occupazione, soprattutto nelle terapie intensive. Invece di costruire nuovi ospedali o ampliare quelli esistenti con l’aggiunta di nuovi reparti di terapia intensiva, che sono quelli necessari per affrontare la crisi del coronavirus, si opta per la tipica soluzione neoliberista: ridurre la domanda senza migliorare l’offerta.
I pronto soccorso sono talmente affollati che i pazienti devono attendere dentro le ambulanze fino a otto ore prima di avere un letto; questo ha un effetto domino controproducente, dato che le ambulanze restano bloccate e non possono provvedere ad altri pazienti in emergenza. Per liberare le ambulanze sono stati creati “spazi di ricevimento ambulanze”, un eufemismo per denominare gazebo e tendoni dove si ammassano i malati di coronavirus. L’altro meccanismo utilizzato dagli ospedali è dimettere il più rapidamente possibile i ricoverati, per lasciare letti liberi ai nuovi pazienti, con i rischi che questo sistema, detto “letto rovente” e tipico del Terzo Mondo, comporta; nonostante tutto questo, nonostante questi metodi choc, non si riesce a risolvere la massiccia affluenza di ammalati, dato che su 700 pazienti ricoverati nei giorni di Natale, 500 sono usciti morti o curati e 200 sono rimasti nelle terapie intensive, aggravandone il deficit. La situazione è talmente evidente che medici e infermieri protestano per le dure condizioni di lavoro, con ospedali che funzionano al 150% della loro capacità normale.
Il totale dei ricoverati per coronavirus alla fine dell’ultima settimana di dicembre, ha raggiunto gli 8.000, dei quali 1.600 in terapia intensiva e la situazione dell’immediato futuro si prospetta molto peggiore, come risultato dei nuovi contagi indotti dalle feste di fine anno e perché tra i nuovi ammalati e morti si trovano persone che non presentano malattie pregresse, mentre agli inizi della pandemia il 92% dei deceduti presentavano complicazioni preesistenti (obesità, pressione alta, diabete, problemi cardiovascolari…). A Los Angeles, ogni otto minuti muore un malato di Covid-19, come macabro indicatore del livello della pandemia in questa parte degli Stati Uniti, la terra dei grandi riccastri e delle celebrità del cinema, dello sport e dell’informatica; la mortalità raggiunge livelli tali da avere saturato gli obitori degli ospedali e, per questo, nei loro cortili si trovano camion frigoriferi pieni di cadaveri.
Questa drammatica situazione di Los Angeles indica la portata della crisi morale, fra le molte altre, che divora gli Stati Uniti. La cosa impressionante è che queste macabre informazioni non suscitano critiche, è come se si trattasse di aneddoti qualsiasi; se in qualcuno dei Paesi che, secondo la logica imperialista, fanno parte dell’asse del male si dicesse pubblicamente che si lascerà morire la gente e non la si curerà negli ospedali, la cosa susciterebbe condanne in prima pagina su falsimedia ma, siccome questo accade nel centro nevralgico del capitalismo mondiale, resta al massimo una nota a piè di pagina, che si dimentica rapidamente.

Di Renán Vega Cantor
Traduzione da https://rebelion.org/
Traduzione di cura di Gorri per Lavoro e Salute

11/1/2020

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