Il virus e il lavoro invisibile

La realtà che stiamo vivendo sta facendo venire alla luce aspetti che coinvolgono sempre più la nostra vita individuale e quella sociale e che vanno oltre quelli, pur molto drammatici, dell’infezione e della morte da coronavirus. La vita del singolo individuo è messa a dura prova dai decreti ‘a tempo’ da rispettare, piuttosto restrittivi e di durata oggi non determinabile, emanati – comunque – a tutela della comunità. Le pandemie non sono eventi frequenti e l’uomo non è preparato a modificare le sue ‘abitudini’ di vita. Queste non si possono cambiare a colpi di decreti, si cambiano con altre abitudini. In qualunque società libera le leggi senza le abitudini soccombono o durano poco e di fronte a problemi dove il bene dei singoli e il bene di tutti si implicano strettamente, la legge incontra limiti di efficacia se non può contare sulla partecipazione responsabile di ciascuno e di tutti[1].

Il virus, fra l’altro, ha accelerato la rivoluzione digitale, agendo sul singolo e sulla collettività, e anche la transizione della comunità globale verso una società contact-less. Non sappiamo se sarà migliore o peggiore di quella fisica di adesso, noi riluttanti uomini schizoidi del XXI secolo, però, non sappiamo ancora come comportarci[2]. A livello individuale, nel dopo lockdown gli psichiatri hanno registrato molte diagnosi di disturbo post-traumatico da stress e raccomandano che dobbiamo imparare a gestire il nostro benessere psichico in questo periodo incerto in termini di eventi e di durata; l’antidoto più forte indicato è l’impegno in un progetto collettivo, come la protezione personale e altrui attraverso il rigoroso rispetto delle nome sanitarie che ci consente di guardare al futuro; vanno condivise le proprie emozioni e preoccupazioni, vanno mantenute o riprese alcune ‘buone’ abitudini (spazio per leggere, ascoltare musica, alimentarsi in modo sano, esercizi di rilassamento) e vanno trovati i modi per scongiurare vissuti di solitudine e isolamento[3], anche se non possiamo incontrarci facilmente ‘in presenza’ ma ‘in remoto’.

Giuseppe Leocata

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1/2/2021 https://www.saluteinternazionale.info

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