IN CAMERUN UN GENOCIDIO IN ATTO, NOI DELLA DIASPORA ESILIATI, L’OCCIDENTE TACE E ACCONSENTE

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Da mesi una violenta guerra civile che rischia di trasformarsi in genocidio sta insanguinando il Camerun, in un’escalation di uccisioni, incarcerazioni arbitrarie, stupri di massa, mutilazioni e sequestri di persona nelle province anglofone.
I dati sulle vittime si rincorrono da mesi, mentre Maurice Kamto, portavoce del partito di opposizione “The Movement for the Rebirth of Camerun” dalla sua residenza sorvegliata dove viene controllato a vista, accusa apertamente il regime dittatoriale del Presidente Paul Biya – che, lo ricordo, governa il Paese da ben 38 anni – di essere il responsabile dei gravi accadimenti che sconvolgono lo Stato centrafricano.
Intanto il regime sta procedendo con arresti abitazione per abitazione, con l’intento di soffocare ogni manifestazione prima del cambio della costituzione per imporre un vice Presidente che andrebbe a sostituire quello in carica. Biya pare sia gravamento malato ed è scomparso dalla scena da 6 mesi.
Nel frattempo l’opposizione ha annunciato una manifestazione permanente su tutto il territorio nazionale. Per capirne di più bisogna fare un passo indietro nella storia.

Il Camerun, come altre nazioni africane, ha subìto una pesante lacerazione dal colonialismo. La divisione del Paese in due zone distinte, quella anglofona (due regioni ex possedimenti britannici) e quella francofona (le restanti otto regioni), hanno compromesso la pre-esistente egemonia. La presidenza di Paul Biya ha accentuato questa lacerazione attraverso leggi che avrebbero avantaggiato le regioni di lingua francofona: da qui la ribellione della parte anglofona per chiedere maggiore tutela.
Nel 2016, da una serie di scioperi, scaturì una manifestazione pacifica composta perlopiù da insegnanti, medici e avvocati con l’intento di migliorare le condizioni della popolazione. Fu l’inizio delle violenze e il via ad una scia di arresti arbitrari, torture, uccisioni, donne stuprate e incendi da parte del governo. Questa strage di civili ha creato un sentimento di ribellione nelle due zone anglofone che portò alla nascita dello Stato indipendente di Ambazonia.
A questa già drammatica situazione si aggiunge altra violenza: quella dei gruppi estremisti confluiti da altri Stati. A Nord del Paese, una delle zone più popolate del Camerun con un tasso di analfabetizzazione molto alto, le incursioni della setta islamista Boko Haram per reclutare nuovi adepti continua a mietere vittime senza un vero piano di contrasto. Nella frontiera Est invece stazionano i ribelli sconfitti nella ventennale guerra che ha vissuto la repubblica Centrafricana.
Questo il quadro generale e le notizie che ci arrivano. Per sapere come stanno andando veramente le cose ho contattato lo scrittore camerunense naturalizzato italiano Emmanuel Edson, che da mesi segue con apprensione le drammatiche vicende del Paese d’origine. Ne è scaturita questa intervista.

EMMANUEL EDSON
è uno scrittore e attivista italo camerunense.
E’ laureato in Filosofia a Paris St.Denis e vive a Milano

Dottor Edson, dall’inizio del conflitto i numeri delle vittime e degli sfollati si sono rincorsi e smentiti generando confusione, ci può fornire dei dati ufficiali?

In una guerra asimmetrica come quella che sta vivendo il Camerun è difficile avere dati precisi perché i secessionisti vivono tra i civili e i capi in mezzo alla foresta. Ci sono due organizzazioni umanitaria la Redhac che è una ONG camerunense, nel mirino del Governo che continua a minacciare di chiuderne l’attività, e la Human Rights Watch, la cui inviata è stata interdetta dall’entrare nel Paese, che hanno parlato entrambe di oltre 30 mila morti, 500mila sfollati verso la vicina Nigeria e 1 milione di sfollati interni. Si parla anche di 100 soldati dello stato uccisi. Oltre a ciò sono stati bruciati 70 villaggi. Anche il palazzo reale di Bafut – patrimonio dell’Unesco – è stato attaccato e vandalizzato dai militari, i quali hanno trafugato tutte le opere preziose al suo interno.

I governi occidentali che ruolo hanno nella guerra civile? Mi pare di capire che, ad esempio, la Francia sia silente di fronte a quanto sta avvenendo.

Il Camerun entrò nella zona d’influenza francese a seguito della nota ripartizione di Berlino del 1854. Tuttavia quella ripartizione cessò di essere così scontata con l’arrivo della Cina nel mercato africano e la sua politica aggressiva non lascia indifferenti gli Stati Uniti. I contratti postcoloniali garantivano l’esclusività alla Francia sulle materie prime ma attualmente il Camerun è dentro il triangolo Cina, Francia, Stati Uniti. Poi c’è l’aspetto linguistico della guerra: il Camerun rischia di diventare un paese completamente anglofono nel tempo e questo sarebbe un altro problema per il governo francese. A sua volta questo cambiamento potrebbe rappresentare un vantaggio per gli americani nel contenere l’influenza della Cina. Il congresso americano il 7 luglio 2019 ha emesso una seconda sanzione contro il regime di Biya per violazione dei diritti umani contro i civili e ha messo in guardia il regime presidenziale che continua a credere di poter vincere la guerra contro il proprio popolo. L’unico paese ad avere inviato i militari in Camerun è quello francese: ufficialmente in missione di routine nella zona del Sahel, ma sappiamo tutti che è una bugia: lo dimostrano lo stazionamento al confine del Nord Ovest e Sud Ovest del Paese. La posizione della Francia spegne i riflettori sul conflitto perché è lei che garantisce gli interessi dell’Europa in quella zona. Ma credo che, come per la Libia, l’Europa rischia di risvegliarsi con un pugno di sabbia in mano.

Paul Biya, al potere da ben 38 anni, incarna l’immagine di molti Presidenti-dittatori africani, che sembrano più preoccupati del loro prestigio personale – e di quello delle loro famiglie – piuttosto che degli interessi del popolo. É effettivamente così?

Più che l’incarnazione direi che Biya impersonifica appieno quel modello! É al potere dai tempi di De Gaulle, ha ricoperto per dieci anni la carica di primo ministro, la presidenza per 38, più gli anni da ministro e sottosegretario, in totale fanno 60 anni! In Camerun i generali dell’esercito e i capi della polizia non vanno mai in pensione, quando raggiungono la veneranda età di 80 anni vanno a comporre quello che chiamano il “club dei saggi”. In più ci sono altri 4 o 5 ministri di stato inamovibili: il presidente del senato e quello dell’assemblea nazionale sono gli stessi da almeno 30 anni. Fino all’arrivo di Kamto perfino l’opposizione era nelle mani del partito di Biya. É con queste truffe che è riuscito a garantirsi una longevità al potere.
Inoltre tutte le risorse naturali del Paese sono sotto il suo controllo diretto e non entrano nel bilancio dello Stato. Non interviene mai in casi eclatanti di corruzione – vedi il caso del direttore della cassa pensionistica che è riuscito a rubare più di 1.500 miliardi di franchi CFA in 10 anni – mentre alcuni funzionari erano senza stipendio da mesi. Come fa dunque il Paese a non vivere di corruzione? La prigione di Yaounde è piena di politici e suoi ex amici sospettati di aver voluto prendere il suo posto, pensi che alcuni sono dentro da 25 anni senza mai esseri stati giudicati. Questo mostro freddo di Biya è arrivato al potere – era il 1982 – si è fatto un colpo di stato da solo per fare pulizia dentro il palazzo. Parla due volte all’anno alla nazione e non rilascia interviste, una garanzia per l’élite capitalistica occidentale che sa tutto da anni ma non fa niente. La lista dei crimini di Biya poi è esaustiva: torture, assassinati di prelati, riti macabri… addirittura si sospetta che abbia ucciso la prima moglie; dopo la sua morte le amiche confidenti, una dopo l’altra, sono state ritrovate morte.

Il saggista camerunense Patrice Nganang ha dichiarato “Io sono francofono, ma anglofono per protesta”. Lei condivide questa visione?

Per me Patrice Nganang è un personaggio ambiguo, gli stessi anglofoni non si fidano di lui. Le sue invettive tribaliste riflettono spesso la tattica di questo regime: dividere per regnare. Nonostante fosse uno scrittore impegnato e il suo attivismo abbia aiutato molto durante la detenzione arbitraria di Maurice Kamto e dei dirigenti di quel partito, le sue posizioni sono molto lontane da una soluzione pacifica. A mio avviso Nganang è un agitatore incoerente che va preso con le pinze.

Dato che non la convince Nganang cambiamo riferimento. Il camerunense Achille Mbembe, considerato uno dei più grandi filosofi del post-colonialismo, ha spesso esortato gli africani ad “abbandonare gli sterili j’accuse contro gli sfruttatori di ieri e di oggi, invitando a lasciarsi alle spalle non solo la visione terzomondista di stampo europeo, ma anche i miti del panafricanismo e della negritudine”. Secondo lei possiamo adattare questi concetti all’attuale questione camerunense?

Achille Mbembe si allinea alla visione Panafricanista di Frantz Fanon che aveva capito che non bastava che il popolo africano cacciasse il colonizzatore per essere libero, contrariamente alla corrente del pensiero Negritudine dei vari Cesar & Co. Fanon affermava che dietro questa lotta della Negritudine mancava un progetto di costruzione ed infatti, una volta che il colonizzatore trasferì il potere agli africani, non c’era un’ideale di costruzione delle società africane. Nel libro “De la postcolonie, Essai sur l’imagination politique dans l’Afrique contemporaine” Mbembe enfatizza questa mancanza, sostenendo che finché l’Africa non conoscerà le lotte di classe come quelle che l’Occidente ha vissuto nel diciannovesimo secolo, il cambiamento non arriverà mai. La battaglia in Camerun oggi è soprattutto una lotta di classe.

Come se non bastasse è arrivato anche il Covid19. Anche se l’Africa in generale se la sta cavando bene, la pandemia ha influenzato la già drammatica situazione in Camerun o in questo momento rappresenta l’ultimo dei problemi per la popolazione?

In generale il popolo africano ha accolto questa pandemia con indifferenza, sia per l’abitudine a confrontarsi con drammi di questo genere, sia per un aspetto pratico della vita. Il Camerun ormai è uno stato fallito e disintegrato dove la gente sopravvive grazie al compromesso. Non esistono sussidi quindi le preoccupazioni sono decisamente altre.

Tra le conseguenze di una guerra civile che genera sfollati ci sono i flussi migratori, anche per questo la Diaspora camerunense sta pressando i governi internazionali affinchè intervengano a placare il conflitto. Che impatto riceverebbe l’Italia in termini di rifugiati?

La balcanizzazione rappresenta una crisi in tutta la regione dell’Africa centrale dove l’età media è sotto i 24 anni e l’immigrazione pare l’unica via di scampo. La regione è popolata da 63 milioni di persone e già si parla di oltre 20 mila camerunensi che hanno preso la strada verso la Libia, senza contare quelli che sono morti. Alla frontiera con il Messico ci sono già dai 3 ai 4.000 camerunensi che hanno attraversano l’oceano verso gli Stati Uniti. I così detti trafficanti di esseri umani non sono solo in Libia: si muovono come se fossero agenti di viaggio all’interno dei paesi dove ci sono dei conflitti. Capisco che l’Italia non voglia screditare pubblicamente l’alleato francese, ma dovrebbe considerare che pagherà un prezzo molto alto derivante da questo conflitto.

Quali sono i prossimi passi che intendete fare come Diaspora e cosa chiedete al governo italiano?

Lo scorso 3 ottobre abbiamo manifestato a Ginevra davanti alla sede dell’ONU e abbiamo in vista una manifestazione a Roma. Altre manifestazioni sono previste alla sede del parlamento Europeo e in tutte le principale capitali d’Europa. Constatiamo che fino ad oggi il Papa non ha speso una sola parola sulla crisi in Camerun nonostante le nostre sollecitazioni, ancor meno il governo italiano e i parlamentari. Abbiamo mandato lettere a tutti ma non abbiamo ricevuto nessuna risposta. Vede, purtroppo noi della diaspora riceviamo minacce attraverso i nostri parenti, siamo degli esiliati. I nostri nomi sono stati inseriti nelle liste rosse degli aereoporti in Camerun. L’avvento dei social sta spaventando questo sistema che cerca in tutti modi di controllarci, alcune pagine vengono chiuse, riceviamo anche telefonate di intimidazioni. La mia famiglia non parla più al telefono con me anzi, mi hanno rinnegato quasi tutti per paura. Io li capisco. Forse se fossi in Camerun avrei agito come loro.

Agatha Orrico

Giornalista freelancer, si occupa di femminismo e temi sociali

Collaboratrice redazionale di Lavoro e Salute

Intervista pubblicata sul numero di ottobre del mensile cartaceo

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